Volare
o dissolversi
O
si fanno gli Stati Uniti d’Europa o sarà presto la fine del più
grande progetto di pace e di integrazione del novecento
E
ora? Il panico nelle borse non è inferiore a quello che, in verità,
si è diffuso nelle cancellerie europee. Ma davvero nessuno si
aspettava l’esito che noi avevamo previsto tre settimane fa?
Davvero in Europa abbiamo uomini di stato e di finanza talmente
lontani dal sentire delle loro opinioni pubbliche da credere a quel
moderno elefante che vola che sono i sondaggi?
Ora
è davvero un disastro. Lo è psicologicamente, perché l’idea di
un’Europa senza la Gran Bretagna è difficile da accettare. Lo è
economicamente, finanziariamente, socialmente perché i contraccolpi
saranno forti e duri e accentueranno povertà estreme.
Lo
è politicamente, non solo per la sconfitta congiunta dei leader
conservatori, laburisti, liberali, ma per l’effetto di contagio che
il prevalere degli anti europei può avere sull’intero continente.
Dalla Danimarca alla Francia, dalla Polonia all’Austria il nuovo
che avanza sembra un estratto dai peggiori ricordi del novecento: il
nazionalismo, l’isolazionismo, la paura dell’altro, la xenofobia.
Cosa
stia succedendo nel profondo delle coscienze di popolazioni
spaventate dalla crisi abbiamo cercato di descriverlo persino in modo
ossessivo da un anno a questa parte. C’è un passaggio d’epoca,
pericoloso come lo sono le transizioni, i grandi rivolgimenti. In
Europa finisce, temo saranno le elezioni spagnole di oggi a
confermarlo, quel bipolarismo tra cattolici e popolari che ha segnato
la storia di gran parte del nostro continente dal dopoguerra ad oggi.
Nascono
forze nuove che si collocano in zone estreme del paesaggio politico,
radicalità prevalentemente di destra, oppure in aree indistinte, con
una bandiera cangiante, veloci nel muoversi in una società che non
ricorda nulla, che non è capace di chiedere allo stesso leader: «Mi
scusi, lei fino al mese scorso era per l’uscita dall’Euro e ora
invece vuole restare. Come mai?». O viceversa. Il panorama politico
è del tutto originale e per chi, come me, continua a pensare che
destra e sinistra siano sempre separate da valori e programmi e che
non esista un indistinto, resta il compito difficile e affascinante
di immaginare la propria visione del mondo in un paesaggio nuovo. Non
si va nell’inverno con il costume da bagno.
Tutto
è cambiato, non capirlo significa contribuire al peggio. È cambiato
nella organizzazione produttiva, nelle gerarchie sociali, nel modo di
sapere e di comunicare, nel rapporto tra cittadini e potere, tra
cittadini e istituzioni. C’è un tale disagio, una tale sensazione
diffusa di non avere certezze e di camminare ogni giorno sull’acqua,
che chiunque abbia qualsiasi potere è individuato, spesso a
prescindere dalle sue responsabilità, come il bersaglio da colpire,
l’ostacolo da rimuovere.
In
attesa di bersagliare il prossimo orso che passa, come al luna park.
Cosa fare? Ci torneremo, con lo sguardo libero dagli inevitabili
condizionamenti che la partecipazione personale e attiva alle cose
della politica e del potere può avere. Da lontano, fisicamente, e da
vicino, col cuore, forse si vede più nitidamente. Lo spero e ne
parleremo.
Per
ora, per queste ore drammatiche che non avremmo mai voluto vivere, so
due cose. Una per l’Europa e una per l’Italia. La prima è che,
ad horas, l’Europa deve dimostrare essere viva e di essere
all’altezza della sua nuova condizione. O volerà o precipiterà,
non si va avanti in stallo. Il risultato inglese è nato anche nei
vertici ripetuti e inconcludenti, nelle politiche di austerità sorde
alla condizione di disperazione sociale di vasti strati di
popolazione, nelle burocrazie occhiute, nelle furbizie quando, come
nel caso dei migranti, bisogna assumersi congiuntamente
responsabilità difficili. Nasce dal deficit di messaggi di
opportunità, di equità, di innovazione che il più grande sogno di
generazioni è stato capace di generare dopo l’euro e Schengen.
Lo
ripeto, come feci mesi fa: o gli Stati Uniti d’Europa o sarà
presto la fine del più grande progetto di pace e di integrazione del
novecento. Un progetto nato sulle ceneri fumanti dei bombardamenti e
sognato da chi era al confine o nei lager. Perché la guerra gli
europei se la sono fatta, più volte. Non dimentichiamolo mai.
Per
l’Italia il mio sommesso invito è di comprendere bene quello che
sta accadendo e di restare uniti. Il nostro è uno dei pochi governi
riformisti sopravvissuti in Europa e tra i più sinceramente
impegnati per nuovi livelli di integrazione comunitaria. La sua
forza, oggi, è necessaria per evitare il rischio di una
dissoluzione. Dunque sostegno al governo, in questo momento
drammatico, e da parte di chi ha oggi le massime responsabilità lo
sforzo di aprirsi. Lo sforzo di cercare, anche per evitare un esito
negativo del referendum, le soluzioni di sistema capaci di assicurare
che il governo futuro sia scelto dai cittadini, sia stabile e che,
insieme, si eviti il rischio che, nel combinato della riforma
elettorale e di quella istituzionale, il quadro sia privo
dell’equilibrio necessario.
Oggi
per nessuno è tempo di divisioni, di manovre, di chiusure
pregiudiziali. E’ il tempo in cui la politica deve mostrare
saggezza e misura. Deve rendere chiaro che ciò di cui si occupa non
è il destino di singoli ma quello di una intera comunità , di un
paese che oggi osserva con rabbia e smarrimento questo tempo inedito
e carico, ora, più di pericoli che di opportunità.
Un’ultima
cosa: c’è solo un segno positivo, nel grande caos. Il voto dei
giovani inglesi e gli appelli che ora circolano in rete perché non
si arresti il processo di integrazione. Oltre il tunnel, c’è la
luce.
di
Walter Veltroni per L' Unità.TV