Per
i giudici militanti conta
solo la gogna mediatica
Sul
Fatto di oggi, Antonio Esposito espone il manifesto politico della
fase iniziata con l’elezione di Davigo
Antonio
Esposito divenne famoso nell’estate del 2013 non tanto per aver
presieduto la sezione Feriale della Cassazione che condannò in via
definitiva Silvio Berlusconi per frode fiscale, quanto per
l’intervista che rilasciò al Mattino qualche giorno dopo, prima
che venissero rese note le motivazioni della sentenza, per spiegare
che il Cavaliere fu “condannato perché sapeva, non perché non
poteva non sapere”. Non s’era mai visto un giudice, e per di più
di Cassazione, raccontare ai giornali i retroscena di un processo: e
infatti persino il Csm fu costretto ad intervenire, salvo poi, come
spessissimamente accade, assolvere l’interessato.
Sul
Fatto di oggi il giudice Esposito dice la sua sulle intercettazioni,
muovendo dall’inchiesta di Potenza, e il risultato è un
inquietante manifesto politico emblematico della nuova fase
inaugurata dall’elezione di Piercamillo Davigo alla presidenza del
sindacato delle toghe. L’incipit è eversivo: “I politici sono da
sempre allergici al controllo di legalità”. Tutti, senza eccezione
alcuna. All’esercito del Male – quello che popola le istituzioni
democraticamente elette, che risponde regolarmente agli elettori e
che, diversamente dai magistrati inamovibili dopo aver vinto un
concorso pubblico, è ogni volta revocabile – si contrappongono le
forze del Bene: i magistrati che intercettano e i giornalisti che
pubblicano le intercettazioni.
Nell’universo
concentrazionario di Esposito “il prestigio degli inquirenti esce
rafforzato per aver scoperchiato un sistema di malaffare, mentre
risulta compromesso il prestigio, se ne avevano, degli uomini
pubblici coinvolti nell’inchiesta”. Da notare quel “se ne
avevano”, a metà strada fra Mussolini e Grillo, che la dice lunga
sulla fedeltà costituzionale e sullo scrupolo professionale delle
frange militanti della magistratura.
Da
notare, anche, che in tutto l’intervento non si parla mai di
sentenze, ma soltanto di “inchieste”: non conta il risultato, il
processo penale è una formalità di nessun conto, il verdetto non
interessa a nessuno, e l’unica cosa che conta, l’unica vera
sentenza è l’indizio di colpevolezza, l’intercettazione
manipolata, la gloria dei riflettori per gli inquisitori e la gogna
mediatica per gli inquisiti. E la giustizia, come direbbe il primo ad
aver sfruttato la toga per fare politica, che c’azzecca?
di
Fabrizio Rondolino per L' Unità.TV
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