L’opera di falsificazione firmata Salvini e Casaleggio Associati
Il
ministro Boschi ha fatto semplicemente il suo mestiere, Saviano,
Salvini e la Casaleggio Associati stanno semplicemente cancellando i
fatti e alimentano un polverone con allusioni e vere e proprie
falsità
La
politica, diceva Rino Formica, è «sangue e merda»: e Maria Elena
Boschi, che andava alle elementari quando il combattivo ministro
socialista concludeva la sua carriera, dev’essersene accorta prima
di quanto sospettasse. La sua educazione sentimentale alla politica,
dalla minuscola Laterina al cuore del potere romano, ha bruciato i
tempi lenti e sovvertito i modi felpati della tradizione
gerontocratica e consociativa italiana: breve la carriera, rapidi i
risultati, immensa l’esposizione mediatica.
Del
resto, ad una giovane donna bella e brava – la Boschi ha compiuto
35 anni lo scorso gennaio – si può perdonare molto all’inizio,
quando la si considera poco più di una curiosità, e nulla
quando invece ci si accorge che fa sul serio: che cioè, detto un po’
brutalmente, non è una bella statuina da esibire di fronte alle
telecamere, ma un pilastro fondamentale del governo. Detto ancora più
brutalmente, se la Boschi fosse soltanto gradevole il circo
politico-mediatico si limiterebbe a qualche pettegolezzo e a molte
fotografie: ma siccome è anche brava – brava nel senso che lavora
in un paese di chiacchieroni e perditempo – le reazioni diventano
astiose, violente, e spesso feroci.
Lo
scandalo di Banca Etruria non risiede nel fallimento di una piccola
banca di provincia – una notizia in sé di scarsissimo peso, come
infatti fu presentata da tutti i giornali quando il governo presentò
il famoso decreto – ma nel linciaggio che si è scatenato nei
confronti del padre (per sette mesi vicepresidente senza deleghe),
del fratello Emanuele (dipendente della stessa banca) e persino
dell’altro fratello, Pier Francesco, accusato dal Fatto di aver
trovato un lavoro in una cooperativa di costruzioni a 1500 euro al
mese. Niente di grave né soprattutto di nuovo, intendiamoci: la
politica è, appunto, «sangue e merda».
L’importante
è sapere che il merito non c’entra nulla, che le sciocchezze sul
presunto «conflitto d’interesse» sono precisamente sciocchezze,
che Pierluigi Boschi non è il proprietario di Banca Etruria e non ne
è stato neppure l’amministratore, che il governo non ha salvato la
banca ma i correntisti, che chi ha sbagliato pagherà, che
un’indagine è in corso e nessuno la sta ostacolando, che i
truffati saranno rimborsati. Semmai merita di essere segnalata la
calma serafica con cui la ministra ha reagito, sebbene sia ben noto
il suo affetto per la famiglia e facilmente intuibile il dolore che
la gogna mediatica infligge senza possibilità di appello alle
sue vittime inconsapevoli.
Ora
ci risiamo: la sciagurata telefonata di Federica Guidi al compagno,
intercettata e resa pubblica e immediatamente seguita dalle
dimissioni della ministra, diventa il pretesto per un nuovo, violento
attacco alla Boschi: colpevole, questa volta, di aver fatto il suo
mestiere di ministro per i rapporti con il Parlamento e di aver
controfirmato l’emendamento che sbloccava, finalmente, il progetto
Tampa Rossa. Ieri, da Bologna, Maria Elena Boschi ha spiegato con
pazienza come stanno le cose: «Il ministro per i rapporti con il
Parlamento, cioè io, da regolamento deve autorizzare tutti gli
emendamenti del governo. Tampa Rossa è un progetto strategico per il
Paese che prevede molti occupati nel Mezzogiorno e lo rifirmerei
domattina». Poco prima, da Washington, anche Matteo Renzi aveva
difeso con forza l’emendamento – «un provvedimento giusto,
perché porta posti di lavoro: una cosa sacrosanta» –
aggiungendo che «è naturale che il ministro dei rapporti con il
Parlamento firmi l’emendamento del governo». Parole
sufficientemente chiare, ma anche del tutto inutili: perché le
regole della character assassination prevedono una minuziosa
cancellazione dei fatti accompagnata da un gran polverone alimentato
da allusioni, insinuazioni, vere e proprie falsità.
Maestro
in quest’opera di falsificazione della realtà è Roberto Saviano,
che per primo chiese le dimissioni della Boschi dopo il
commisariamento di Banca Etruria, subito seguito dai suoi nuovi
compagni di strada leghisti e grillini, e che ora ritorna
all’attacco, chiedendole di «chiarire in Parlamento se le tante
ombre che si addensano sul suo ruolo istituzionale sono solo
sfortunate coincidenze. O se c’è dell’altro». Come un qualunque
mafiosetto di quartiere, il prode Saviano si guarda bene dallo
specificare quali siano le «tante ombre», o che cosa mai possa
esserci di «altro»: il suo compito è alimentare la
disinformazione, alludere senza mai chiarire, gettare il sasso e
nascondere precipitosamente la mano. I nuovi compagni di strada di
Saviano sono naturalmente della partita: Salvini s’è persino
offerto di scrivere una mozione di sfiducia insieme alla Casaleggio
Associati srl (che peraltro ha risposto con una pernacchia), i
volenterosi picchiatori del Fatto suonano la grancassa e Renato
Brunetta, malinconico capogruppo di quel che resta di un grande
partito, ha subito aderito con entusiasmo. Le mozioni di sfiducia,
com’è noto, servono soltanto ad alimentare i talk show per un paio
di giorni: il governo supererà tranquillamente la prova, la Boschi
continuerà il suo lavoro, così come continueranno gli attacchi nei
suoi confronti. Tutto normale, insomma: e tutto sbagliato.
Di
Fabrizio Rondolino per L' Unità.TV
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