Pedofilia, lo strano incrocio fra Spotlight e la testimonianza
del cardinale Pell
La
lunga e terribile storia dello scandalo più
grave della Chiesa
A
volte la storia non ti lascia scampo: come è avvenuto la notte
scorsa quando uno strano cortocircuito mediatico ha messo in
relazione la cerimonia degli Oscar di Los Angeles con l’hotel
Quirinale a Roma.
Mentre
infatti veniva premiato come miglior film dell’anno ‘Spotlight’,
la pellicola che racconta la storica inchiesta da Pulitzer
del ‘Boston
Globe’ sullo scandalo pedofilia nella Chiesa,
il cardinale George Pell, in un albergo della Capitale, testimoniava
in videoconferenza davanti a una commissione governativa australiana
sulle decine e decine di casi di abusi avvenuti nella diocesi di
Ballarat, in Australia.
L’inchiesta
del Boston Globe risale al 2001 e anche in quell’occasione un
cardinale, l’arcivescovo delal città statunitense Bernard
Francis Law,
finì nell’occhio del ciclone e al centro delle indagini. Fu
richiamato frettolosamente a Roma dove è sempre rimasto da allora,
ormai solo come pensionato di rango, per non incorrere in eventuali
provvedimenti giudiziari.
George
Pell rappresenta però qualcosa di più: il cardinale australiano
infatti, è attualmente il prefetto della Segreteria per l’economia,
il super-dicastero delle finanze vaticane sotto
la cui direzione sono state riorganizzate le risorse economiche della
Santa Sede: dallo Ior alla messa a norma di bilanci e regole sulla
trasparenza. Pell è un conservatore granitico sotto il profilo
ecclesiale, ma allo stesso tempo è una pedina chiave del nuovo
potere vaticano costruito daBergoglio in
questi tre anni, è stato cioè uno degli uomini di punta del papa
argentino per scardinare il potere della Curia romana, per tale
ragione il suo coinvolgimento in questa vicenda costituisce un colpo
assai per il pontificato di Francesco.
Centinaia
di preti coinvolti
In
passato, e anche prima di ricevere l’incarico dal Papa nel 2014,
aveva già testimoniato davanti ad analoghe commissioni d’inchiesta
australiane (nel maggio del 2013, dove ammise responsabilità
generali ma si rifiutò di collaborare su singoli episodi), poi nel
corso degli ultimi mesi – di fronte a questa nuova importante
convocazione – ha addotto motivi di salute per non recarsi nel suo
Paese d’origine a testimoniare. Il che se gli garantisce certamente
una certa protezione, d’altro canto ha reso il suo caso ancor più
rilevante per l’opinione pubblica mondiale.
Pell,
che è stato a lungo l’uomo forte della Chiesa australiana e ha
guidato l’arcidiocesi di Sydney, viene chiamato in causa per il
periodo che va dal 1973 al 1983, quando ricopriva incarichi nella
diocesi di Ballarat, vicino Melbourne, e in particolare era
assistente del vescovo Ronald Mulkearns.
Qui
ha agito un sacerdote, George
Ridsdale (adesso
in carcere), accusato di moltissimi
abusi verso 53 vittime (ma
nella sola diocesi di Ballarat si contano centinaia di preti
coinvolti); Pell, che conosceva il sacerdote abusatore, secondo
l’accusa lo avrebbe protetto cercando anche di comprare il silenzio
di una delle vittime. Il cardinale, che stamane, al termine del primo
giorni di testimonianze, ha incontrato papa Francesco, dovrà tornare
per almeno altri tre giorni davanti alla commissione per essere
sottoposto a un serrato interrogatorio. Per altro assistono dal vivo
alla testimonianza – cioè sono presenti all’Hotel Quirinale – 14
vittime dell’epoca che
hanno fatto di tutto per essere presenti alle sedute.
“Una
catastrofe”
La
strategia difensiva di Pell nel primo giorno di testimonianza è
stata abbastanza buona, ha
ammesso “gli enormi errori commessi dalla Chiesa” nei
confronti dei minori, ha definito “una catastrofe” il non aver
denunciato Ridsdale scegliendo invece di spostarlo di parrocchia in
parrocchia (esattamente lo stesso schema emerso a Boston nel caso del
predatore seriale padre Gheogan, e in moltissimi altri eventi simili
in giro per il mondo), ha riconosciuto che in quel periodo
l’attitudine ella Chiesa era quella di salvaguarda l’istituzione
invece che la comunità dei fedeli.
Tuttavia
una volta di più ha
negato i fatti specifici che
lo riguardavano. Di fatto le argomentazioni generali sono quelle
ormai note e ammesse più volte nelle ricostruzioni generali del
fenomeno da parte della Chiesa, ma le accuse che gli sono rivolte sul
piano personale restano lì. Il prossimo 8 di giugno Pell compirà 75
anni, l’età in cui, secondo la norma canonica, viene presentata la
rinuncia all’incarico al Papa.
Il
fenomeno non si è mai fermato
Chi
scrive fu testimone, fra 2001 e 2002, del deflagrare dello scandalo
pedofilia nella Chiesa che travolse come un fiume in piena
l’episcopato americano; Boston mise
in luce una realtà sconcertante: decine e poi centinaia e migliaia
di insabbiamenti, protezioni,
accordi extragiudiziali, risarcimenti milionari che
hanno portato alla bancarotta diverse diocesi d’Oltreoceano; e poi
una vecchia cultura della segretezzache
induceva un cardinale come il colombiano Dario
Castrillon Hoyos,
all’epoca prefetto della Congregazione per il clero, a negare la
gravità del fenomeno e ad affermare come la Chiesa non dovesse
collaborare con le autorità civili.
Giovanni
Paolo II fu
il primo a dover chiedere perdono per i preti pedofili,
poi Ratzinger si
spinse più in là, cercò di arginare il fenomeno, fece dimettere
diversi vescovi, provò a mettere mano a una normativa adeguata. Ma
la verità è che il fenomeno non si è mai fermato del tutto.
Se
l’Irlanda oggi è meno cattolica di un tempo, è appunto a causa di
uno scandalo molto simile a quello americano e australiano; il
sistema scolastico pubblico, in quel caso, era gestito in gran parte
dalle congregazioni religiose, quando la sensibilità sociale, il
mutamento dei tempi lo hanno permesso, le
vittime hanno cominciato a parlare e una serie di indagini
governative hanno portato alla luce un quadro di abusi devastanti. Il
fenomeno ha percorso dunque il mondo, dalla Polonia al Messico,
dall’Irlanda agli Stati Uniti.
L’Italia
nemmeno è esente dal fenomeno, anzi.
Negli ultimi anni, numerosi casi di abuso sono venuti alla luce,
molti processi sono in corso, altri si sono già conclusi. Ma la Cei
sembra refrattaria a prendere di petto il fenomeno:
il tema è sempre quello del rifiuto, più o meno esplicito, a
collaborare con le autorità giudiziarie; un principio riaffermato in
una recente intervista dal cardinale Paolo Romeo, ex arcivescovo di
Palermo, proprio in riferimento a una vicenda finita con un’indagine
della magistratura.
Papa
Francesco ha istituito infine addirittura un
dicastero per la tutela dei minori,
guidato non a caso dal successore del cardinal Law a Boston, il
cardinale Sean Patrick O’Malley.
In
quest’organismo sono entrate a far parte alcune vittime, e tuttavia
proprio nei giorni scorsi una di loro, Peter Saunders, ha lasciato
l’incarico proprio perché in disaccordo, fra l’altro, sulla
gestione della vicenda Pell. La questione insomma è sul tappeto e
oltre al coté processuale, chiama la Chiesa a prendere decisioni su
temi come il celibato obbligatorio, il ruolo dei laici, la riforma
della struttura ecclesiale. Ne va della credibilità stessa
dell’istituzione.
Come
si legge nel volume “Tradimento” curato
dallo staff del Boston Globle, nel quale si racconta l’indagine su
Boston (appena aggiornato e ripubblicato da Piemme, e le
considerazioni sono estendibili a tutto il tema Chiesa-pedofilia),
“…è la storia di un vasto numero di preti che hanno abusato sia
della fiducia loro accordata sia dei bambini affidati alla loro
tutela. E’ la storia dei vescovi e dei cardinali che hanno
ordinato, spalleggiato, protetto e ringraziato quei preti, nonostante
le prove schiaccianti delle loro violenze. E’ la storia di una
Chiesa potente e orgogliosa sprofondata nella crisi a
causa dei reati, delle devianze e degli errori di valutazione del
suo stesso clero. E’ la storia delle vittime che per anni hanno
sofferto in silenzio, prima di ritrovare la voce e denunciare
pubblicamente la loro Chiesa. Ed è la storia dei molti cattolici
praticanti che hanno tratto una lezione dalla crisi e hanno preteso
riforme”.
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