Il
Pd, la destra e il M5S: ecco
l’analisi politica del voto
Il
voto ci consegna un’Italia arrabbiata, e quando uno è arrabbiato
se la prende con chi è più in vista: il governo, Renzi, il PD
Lo
schiaffo c’è stato a Roma e Torino, dove c’era il match diretto
Pd-M5S, e il Pd deve adesso ragionare su questo voto partendo da un
presupposto che non è consolatorio ma analiticamente granitico: non
ci sono, e non prendono corpo nemmeno dopo questo voto, alternative
credibili al governo Renzi.
In
senso stretto, il quadro politico non muta, e non perché il premier
lo avesse teorizzato da settimane («non è un voto sul governo») ma
perché –va ripetuto –l’alleanza «tutti contro il Pd» non
produce u n’alternativa di governo, né nel breve né nel medio
periodo. Accade, nelle elezioni di mid-term, che l’opinione
pubblica invii un segnale di insoddisfazione al governo in carica:
amministrative o Europee sono vissute proprio con questo
retropensiero, e hai voglia a dire che si vota solo per il sindaco.
Il
voto ci consegna un’Italia arrabbiata, e quando uno è arrabbiato
se la prende con chi è più in vista: il governo, Renzi, il Pd.
Dunque non sta per cadere il governo, ed è frettoloso dire che al
referendum di ottobre il No si avvii in discesa. Quella è un’altra
partita ancora. Ma la saldatura M5S-destra se da un lato getta
un’ombra sulla presunta verginità dei grillini e segna una riprova
della subalternità di una destra senza bussola, dall’altro lato è
un mostricciattolo politico che inquieta il Nazareno.
Spezzare
questa saldatura tutta “contro” è vitale, non solo per il Pd ma
per il ritorno a una normale fisiologia politica. Roma era una
missione impossibile, dopo tutto quello che è successo. Ma cosa c’è
dietro la vittoria a valanga di Virginia Raggi, una persona fino a
tre mesi fa sconosciuta ai più, priva di messaggi di governo ma
capace di interpretare lo spirito del tempo, un tempo cattivo, carico
di risentimento? Difficile che i romani abbiano creduto alle funivie,
ai pannolini e al baratto.
Non
sono state simili amenità a spostare il consenso di migliaia e
migliaia di cittadini sulla candidata grillina, ma la sua capacità
di tradurre in consenso elettorale lo spirito del “vaffa”,
condito –attenzione – da una fortissima richiesta di pulizia,
trasparenza, onestà che la Raggi (ad onta delle ripetute bugie su
incarichi mai denunciati) ha saputo cavalcare.
E
se uno sbaglio ha fatto Renzi è stato quello di sottovalutare
l’impatto negativo di tante storie, da Verdini alla Campania, di
varie polemiche, voci, proteste, cose vere e meno vere, un magma che
ha ribollito sotto la pelle del paese ed è fuoriuscito alla prima
occasione. Brucia semmai di più Torino. Una città ben governata che
però ha improvvisamente ruggito contro la continuità impersonata da
un grande sindaco come Piero Fassino, un uomo che dall’oggi al
domani si è trovato dinanzi una specie di muro ostile, eretto anche
in questo caso dal mostriciattolo M5S-destra, sul quale è saltata
un’altra giovane grillina, la Appendino che come la Raggi avrà ora
il compito di governare una Torino più nervosa: e non vorremmo
essere nei panni di entrambe.
La
destra ha giocato sporco, a Torino e a Roma. Vittoria di Pirro, però.
A Milano, da sola, ha perduto. Risultato finale: la destra ha perso
ovunque. A Milano prevale Beppe Sala: non era scontato, stante il
clima generale, e tenuto conto di un avversario forte come Stefano
Parisi. È un fatto molto importante che nella città più moderna
viene premiato il candidato del centrosinistra, forte anche del clima
unitario con tutta la sinistra. Infine, bene Virginio Merola a
Bologna contro la leghista Borgonzoni, e scontata la vittoria di de
Magistris contro uno spento Lettieri a Napoli.
Il
Pd si trova ora in una situazione un po’ paradossale: è il
partito-cardine del sistema politico ma anche il più isolato. Nulla
si può fare senza il Pd, ma poco può fare il Pd con tutti questi
nemici. E attenzione: non parliamo solo dei partiti politici ma di un
sistema complesso di ostilità verso il Nazareno e palazzo Chigi.
Spegnere i fuochi, dunque, diventa per Renzi uno dei compiti
dell’immediato futuro. Svelenire il clima. Invertire qualcosa anche
nei comportamenti politici, come già si è cominciato a fare, ad
esempio correggendo l’impressione del referendum-plebiscito,
incontrando i sindacati.
Aprire
senza paura una discussione interna libera e costruttiva, magari
anche in forme tali da consentire discussioni serie e non
estemporanee in omaggio alla logica dello streaming. Sapendo che il
Paese, al dunque, non vuole voltare pagina per inseguire i fantasmi
del “vaffa” o una destra indecifrabile, ed è da qui che si deve
ricominciare.
di
Mario Lavia per L' Unità.TV
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