Un
voto come quello del 1946,
ma tra due Repubbliche
Il
referendum costituzionale avrà, per la storia del nostro Paese, una
portata simile a quella che ebbe il referendum istituzionale del 2
giugno 1946 tra Monarchia e Repubblica
Non
si esagera se si sostiene che il referendum costituzionale
dell’autunno 2016 avrà – per la storia del nostro Paese – una
portata simile a quella che ebbe il referendum istituzionale del 2
giugno 1946 tra Monarchia e Repubblica.
Allora
gli italiani scelsero di uscire da uno schema politico-culturale che
vedeva nella tranquilla linea ereditaria dei Savoia da un lato il
costante perseverare dei valori nazionali, dall’altro la
sottrazione della scelta dell’arbitro del sistema (questo è il
ruolo del Capo dello Stato) al principio democratico: non c’è
nulla di meno democratico che la successione in via famigliare
d’altronde.
Gli
italiani lo fecero con poco scarto (finì 12 milioni di voti alla
Repubblica e 10 alla Monarchia) ma comunque decisero convinti che non
si potesse sottrarre una parte della vita istituzionale italiana alla
legittimazione, pur indiretta, del popolo sovrano. Si scelse,
semplificando, una linea che portasse il principio democratico fino
al “colle più alto”, certo in via non diretta, ma comunque si
ritenne di preferire un Paese nel quale anche il Capo dello Stato
fosse frutto di procedure democratiche.
La
decisione fu straordinaria nella sua portata istituzionale nella
misura in cui un popolo che non era riuscito a sbarrare la strada al
fascismo – al quale anzi aveva offerto ampi spazi di legittimazione
– si riabilitò nella sua interezza accettando la sfida di
dimostrare la capacità di scegliere – attraverso il Parlamento –
non solo il Governo ma anche il Presidente della Repubblica.
Certo,
il popolo si sentiva motivato perché voleva riscattare il ventennio
fascista che aveva sotterrato il principio democratico ma anche
perché poteva contare su un solido sistema di partiti ossia di
associazioni che avevano già dato prova di organizzazione,
strutturazione e consenso nella lotta di liberazione, e costituivano
veri e propri soggetti politici collettivi: partecipati e diffusi su
tutto il territorio, organizzati democraticamente e in grado di
raccogliere risorse.
Con
la riforma costituzionale il popolo italiano può fare un passo in
avanti nella scala della democrazia muovendo il piede proprio dal
gradino dove l’ha posizionato il referendum del 1946. Perché?
Semplicemente perché si rafforza ancora di più il principio
democratico nella misura in cui il voto degli italiani permetterà di
costruire una maggioranza stabile ed omogenea in Parlamento e quindi
a sostegno del Governo, considerato il più ridotto ruolo dei partiti
oggi rispetto ad allora (e la diminuzione del voto ideologico) e il
funzionamento del nuovo sistema elettorale.
Questa
volta, infatti, a Costituzione riformata il principio democratico
avrà come leva principale non più i partiti, che oggi sono chiamati
a svolgere un ruolo meno invasivo di prima, ma gli stessi elettori
che legittimeranno e delegittimeranno i governi nazionali attraverso
il voto alla lista per la Camera dei Deputati, come hanno ormai
imparato a fare addirittura direttamente con i Sindaci e i Presidenti
di Regione. Un quadro politico semplificato che punta ad una
democrazia decidente, capace di fare nell’arco del mandato
conferito dal popolo e allo stesso tempo in grado di cambiare chi non
è ritenuto all’altezza votando casomai in futuro per le minoranze.
Con
la riforma costituzionale lo scettro, per molti anni in mano ai
partiti, torna davvero ai cittadini allargando lo spettro di azione
del principio democratico. Chi, dunque, sostiene che la riforma
costituzionale lederebbe la democrazia o non ha letto la riforma o
pensa che le forme di democrazia dove è riconosciuto un ruolo
decisivo del voto dei cittadini siano meno democratiche degli accordi
tra partiti e pseudo-partiti che cambiavano, ogni pochi mesi, i
Governi nell’Italia della Prima Repubblica. Una Prima Repubblica
che finirebbe proprio con il referendum costituzionale insieme a
quella che giustamente Stefano Ceccanti ci ricorda essere una lunga
transizione.
Certo,
la scheda elettorale del referendum del 2016 sarà caratterizzata da
un Sì e un No, mentre quella del 1946 conteneva il nome e il simbolo
della Monarchia e della Repubblica. Ma dietro a quel Sì è come se
fosse scritto “Seconda Repubblica” e dietro quel No “Prima
Repubblica”. 70 anni dopo, la scelta referendaria torna a dirimere
i destini delle istituzioni italiane.
di
Alessandro Sterpa per L' Unità.TV
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