“Tutti
in galera”. Il mondo fantastico di
Travaglio e dei novelli
ayatollah
Da
giorni il direttore del Fatto scrive editoriali martellanti e sempre
uguali, la cui tesi di fondo è che il Pd è la più grande
organizzazione criminale del Paese. Non svegliamolo, potrebbe cadere
in profonda depressione
Il
ritorno di Piercamillo Davigo sulla scena – in realtà sarà
presidente dell’Anm per un solo anno, dopo un’estenuante
trattativa con le altre correnti della magistratura conclusasi con un
compromesso – ha ringalluzzito e ringiovanito Marco Travaglio, il
penultimo giapponese (l’ultimo è per l’appunto Davigo) della
Grande Guerra di Mani Pulite.
Intercettazioni
a strascico, gogna mediatica, uso della carcerazione preventiva per
estorcere confessioni e chiamate di correo, giudizi consumati sui
giornali, avvisi di garanzia più pesanti di una condanna in
Cassazione: è questo il clima che il direttore del Fatto spera di
ritrovare. E se non lo ritrova – non soltanto perché l’Italia è
cambiata, ma anche e soprattutto per la buona e inoppugnabile ragione
che la magistratura è composta in massima parte di persone serie –
se lo può sempre inventare.
Così,
da giorni Travaglio scrive editoriali martellanti e sempre uguali, la
cui tesi di fondo è semplice – il Pd è la più grande
organizzazione criminale del Paese – e la conclusione esemplare:
tutti in galera.
E
se qualcuno non è d’accordo? Sentite che cosa ha scritto oggi il
solerte direttore del Fatto: “Mentre alcuni geniali capicorrente
dell’Associazione magistrati spaccavano il capello in quattro per
trovare qualcosa che non va nelle dichiarazioni del neopresidente
Piercamillo Davigo e mettergli la museruola…”.
Sì,
avete letto bene: i magistrati che si permettono di distinguersi
dalle discutibilissime generalizzazioni di Davigo (“I politici non
hanno smesso di rubare, ma solo di vergognarsi”) sono
“capicorrente” – e Davigo invece? – impegnati a “mettere la
museruola” all’eroe senza macchia e senza paura.
Lasciamo
Travaglio in questo suo mondo fantastico, dove il popolo agita le
manette e i Pm, novelli ayatollah, s’insediano alla guida suprema
della nazione, perché siamo buoni e non vorremmo mai che, esposto
alla realtà, Travaglio cadesse in profonda depressione. Proprio come
la tenera mamma di “Good bye, Lenin!”.
di
Fabrizio Rondolino per L' Unità.TV
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