Livorno,
Parma e ora anche la Lega:
così il M5S sta danneggiando se stesso
Spesso
il “danno d’immagine” viene invocato per epurare i dissidenti,
ma chi ci rimette sono i vertici
Dal
caso Pizzarotti al rapporto ondivago con la Lega fino all’incoerenza
incarnata dal sindaco di Livorno Filippo Nogarin. Il M5S procede a
tentoni, nonostante la volontà di proporsi come forza politica di
governo. Gli ultimi episodi che vedono protagonisti gli
amministratori pentastellati, impegnati nella gestione delle città o
nelle varie campagne elettorali, ci raccontano uno stato di
confusione che sta investendo i pilastri sui quali è stata costruita
artificialmente la diversità grillina. Confusione oppure, scegliendo
una diversa lettura dei fatti, semplice opportunismo.
Come
quello esibito nei confronti della Lega: brutta, sporca e cattiva,
come tutti i partiti, ma utile nel caso possa rappresentare un bacino
di voti. La sponda giusta per la vittoria alle amministrative come
nel caso di Roma, considerato il cavallo di Troia per la conquista
del Paese. “A Salvini sfugge il fatto che sia io, sia lui non
votiamo a Roma: io comunque ai ballottaggi, se non c’è l’M5S,
non ho mai scelto nessuno degli altri contendenti”, ha detto Luigi
Di Maio a proposito dell’endorsment di Matteo Salvini
all’avvocatessa Raggi. Eppure a Milano il M5S potrebbe aiutare al
ballottaggio Parisi (cioè Salvini) che evidentemente si è già
portato avanti col lavoro, in uno scambio che appare reciproco e
conveniente per entrambi.
A
Parma, intanto, Federico Pizzarotti affila le armi per scongiurare
la sua espulsione dal Movimento 5 Stelle, dopo la sospensione. Sono
dieci i giorni di tempo dati al sindaco per le sue “controdeduzioni”
a fronte delle accuse che lo hanno investito: “Ho sentito di
parlamentari che vorrebbero un’assemblea interna per discutere, io
sono disponibile anche in quel caso al confronto, a portare la mia
voce e i miei documenti e le cose che abbiamo fatto. Anche in diretta
streaming”.
Pizzarotti,
insomma, vuole lanciare la sua sfida al direttorio e cerca di farlo
utilizzando due canali. Il primo lo ha sintetizzato il capogruppo del
M5s in Comune a Parma Marco Bosi, uno dei più stretti e fidati
collaboratori di Pizzarotti: “Noi siamo nel Movimento 5 Stelle ed è
il movimento che ci interessa”. L’altro messaggio è invece una
stoccata a Di Battista. “Io – ha scritto Pizzarotti su Facebook
in un post nel quale allude alle accuse mossegli dal membro del
Direttorio – i miei concittadini li porto tutti nel cuore, è il
loro benessere il mio primo pensiero quando mi alzo e l’ultimo
quando vado a riposare. Sono cose che tu non puoi nemmeno capire”.
La
procedura d’espulsione che ha investito Pizzarotti è di sicura la
prima nel suo genere. Intendiamoci, la lista dei dissidenti fatti
fuori è alquanto lunga, ma è anche vero che è la prima volta che
il M5S si trova ad espellere un profilo del calibro del sindaco di
Parma. Una spina nel fianco da sempre per le gerarchie interne dei
pentastellati che negli anni non hanno saputo gestire la capacità di
Pizzarotti di dissentire senza voler divorziare dal movimento. Ora
arriva la separazione unilaterale e non consensuale. Pizzarotti era
nel mirino da tempo. Grillo nel suo blog ha motivata la scelta con
il danno d’immagine, ma la scomunica potrebbe rivelarsi un
boomerang. La base non ne comprende e condivide le motivazioni. A
questo punto il vero d’anno d’immagine è solo per i vertici a
Cinquestelle.
Infine
l’arroccamento del sindaco di Livorno Filippo Nogarin, indagato che
dichiara di non avere alcuna intenzione di lasciare il suo posto fino
a quando non arriverà un rinvio a giudizio. La difesa a oltranza che
arriva dai vertici pentastellati cozza con quanto dichiarato fino a
ieri, e la diversità di trattamento riservata al primo di cittadino
di Parma, che lo stesso Nogarin ha accusato di “poca trasparenza”,
appesantisce il quadro. Eppure non si può dire che Nogarin abbia
giovato con la sua amministrazione all’immagine del movimento.
Anche in questo caso la filosofia del “due pesi e due misure”
rende difficile la comprensione per i militanti e la base cresciuti a
pane e dimissioni che ora si trovano ad avere a che fare con il
garantismo a corrente alternata del nuovo M5S.
Tutti
ingredienti che si amalgamano alla perfezione: il danno d’immagine
è servito.
di
Maddalena Carlino per L' Unità.TV
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