Il Pd guidato da Renzi è protagonista, non un intruso nella sinistra
D’Alema
e Mauro continuano a considerare il premier come un usurpatore della
storia dei progressisti. In realtà, proprio lui sta cercando una
risposta alla crisi dei partiti
Vorrei
provare a collegare tre fatti accaduti ieri: l’editoriale di Ezio
Mauro su la
Repubblica, la
partecipazione di Massimo D’Alema a “Otto e mezzo”,
la diretta
#matteorisponde con
cui Matteo Renzi ha affrontato sui social media un confronto con gli
elettori seguito da circa un milione di cittadini.
Comincio
dall’interessante riflessione di Mauro sull’attuale condizione
delle forze riformiste in Europa. Giustamente nell’articolo si
segnala la difficoltà
della tradizione politica progressista in Europa (ma
forse le primarie Usa dovrebbero dirci che il tema è più ampio) a
tornare protagonista nell’azione di governo e a dare risposte
convincenti alle sfide che la crisi finanziaria, economica e sociale
di questi anni hanno reso urgenti, e sulle quali le forze populiste
vedono crescere il loro spazio e consenso. Premesso che condivido
totalmente le conclusioni del ragionamento di Mauro, quando ci invita
ad “annaffiare la rosa riformista”, mi ha molto stupito che il Pd
non sia mai citato.
Eppure
noi oggi siamo a tutti gli effetti parte della famiglia dei
Socialisti e Democratici in Europa e il Pd al governo – a
differenza, ad esempio, dei socialdemocratici tedeschi o dei
socialisti olandesi – esprime il presidente del Consiglio e la
maggioranza schiacciante della coalizione. Non solo. A me capita
spesso di partecipare a riunioni con gli altri partiti progressisti
europei (a febbraio abbiamo ospitato a Roma una
conferenza dei leader parlamentari del Pse e
lo scorso sabato un
seminario di Policy Network,
solo per citare i due appuntamenti più recenti) nelle quali,
interrogandoci su come innovare e rilanciare una piattaforma comune
sui temi economici e sociali capace di cogliere le paure e le domande
di sicurezza e di nuove opportunità che serpeggiano nei nostri
paesi, a
noi del Pd viene riconosciuto un ruolo di primissimo piano e per
molti aspetti una leadership.
Per tre ragioni di fondo: per essere stati capaci di dare vita ad una
forza di centrosinistra, andando oltre le tradizionali radici
socialiste e socialdemocratiche ma rimanendo fortemente ancorati al
campo progressista; per aver impostato con il governo Renzi un
programma di riforme molto ambiziose che stiamo rapidamente
realizzando; per aver ottenuto una grande affermazione elettorale
alle ultime europee ed essere ancora oggi accreditati di un largo
consenso.
D’altra
parte Hollande in Francia sta discutendo una riforma del lavoro
simile alla nostra, sulla lotta all’austerità e sulle proposte per
rilanciare la crescita siamo un punto di riferimento,
sull’immigrazione ci riconoscono di aver per primi colto la
dimensione strutturale del fenomeno e la necessità di un approccio
europeo, in tanti studiano con interesse la nostra riforma
costituzionale ed elettorale…
Insomma non
vorrei che Mauro avesse omesso di citare il Pd ritenendo che Renzi
sia un intruso nel campo riformista europeo.
I fatti smentiscono questo assunto e anzi ci dicono che, seppure in
un contesto molto difficile, noi siamo tra coloro che possono
innaffiare meglio la rosa riformista.
E
veniamo, più brevemente, alla partecipazione di D’Alema alla
trasmissione di Lilli Gruber. Naturalmente non considero un reato di
lesa maestà la critica, anche dura, all’attuale presidente del
Consiglio. Renzi
non è un usurpatore nel Pd.
E’ un leader che ha combattuto, e vinto, nel partito una battaglia
politica a viso aperto, che non ha avuto e non ha timori
reverenziali, che non si spaventa della discussione aperta come si è
visto anche nell’ultima
riunione della Direzione nazionale.
Si può criticare le singole scelte politiche, ci si può organizzare
per contendere la leadership nel prossimo congresso, si può con
delle proposte cercare di contribuire di volta in volta alle
decisioni da prendere: sono tutte modalità possibili e legittime per
stare da minoranza in un partito democratico e plurale in cui certo
non sono mancate e non mancano le possibilità per esprimere le
proprie opinioni. Mi sembra meno comprensibile – tanto più se
viene da una personalità dello spessore e dell’esperienza di
D’Alema – a due mesi da una prova davvero difficile come il voto
di Roma, parlare di ‘momento di riflessione’ sulla scelta di
votare il candidato del Pd.
Infine
il #matteorisponde di ieri. Tra i tanti commenti ho trovato molto
interessante la
riflessione di Giovanni Boccia Altieri (@gba_mm)
che paragona questa esperienza ai “discorsi al caminetto” di
Roosevelt, all’insegna
della disintermediazione.
Il leader parla direttamente con i cittadini, in modo diretto, senza
la mediazione del giornalista… e del partito aggiungo io.
Si
discute molto in questo periodo sulla personalizzazione della
politica e non pochi tra i critici di Renzi gli contestano di aver
indebolito il partito per un eccesso di leadership e per un’eccessiva
attenzione alla comunicazione. Siamo
sicuri che invece Renzi non stia cercando una strada 2.0 per
rispondere alla crisi dei partiti? E
siamo sicuri che non sia necessario che anche la sinistra riformista
riesca ad arrivare al cuore (e forse alla pancia) del Paese con i
suoi contenuti piuttosto che attendere che la società finalmente ci
capisca e torni a fidarsi di noi piuttosto che dei leader radicali e
populisti? Ieri Renzi ha detto che il governo sta studiando la
possibilità di dare gli 80€ alle persone che percepiscono pensioni
più basse. A me sembra una questione seria, sulla quale ovviamente
sarà necessario fare le verifiche in termini di copertura
finanziaria. Ma perché dispiacerci se questa e altre idee
raggiungono una vasta opinione pubblica grazie a nuove forme di
comunicazione tra il premier e i cittadini?
Personalmente non
vedo una contraddizione tra leadership, comunicazione e ruolo dei
partiti.
Se c’è un leader forte e comunicativo se ne avvantaggia tutto il
partito, se un leader forte ha un partito ben organizzato le idee
(tanto più quelle riformiste!) possono essere meglio difese e
realizzate nella società. So bene che c’è molto da fare perché
il Pd sia pienamente all’altezza del compito che abbiamo ma non
sono certo le divisioni tra noi o la delegittimazione del Premier che
potranno aiutarci a diventare un partito migliore.
Di
Marina Sereni per L' Unità.TV
Nessun commento:
Posta un commento