12 mar 2016

D'Alema si prende la scena, ma la minoranza Pd non lo segue. Speranza: "Nostra sfida dentro il Pd"

D'Alema si prende la scena, ma la minoranza Pd non lo segue. Speranza: "Nostra sfida dentro il Pd"

L’odore del Napalm non eccita Roberto Speranza e Pier Luigi Bersani. Il giro di telefonate parte di mattina, dopo l’Apocalypse now di Massimo D’Alema: “Noi – si dicono – dobbiamo ribadire che si sta dentro al Pd. Che il Pd lo amiamo e lo vogliamo cambiare creando l’alternativa a Renzi”. Le parole dell’ex premier suonano, in modo inequivoco, come un invito alla scissione. Anche Alfredo Reichlin giudica l’intervento sbagliato. L’attivismo del leader maximo turba il giorno della riunione della minoranza dem a San Martino in Campo (Perugia), luogo che evoca il conclave del governo Prodi, insomma l’Ulivo. D’Alema parla, egemonizza la discussione, si prende la scena, eccitando gli animal spirits renziani che vogliono trasformare la direzione del 21 in una specie di “Che fai mi cacci”.
Esaspera la discussione l’ex premier, dopo mesi di silenzio, con l’obiettivo di suonare la sveglia alla minoranza e lanciare la sfida definitiva a Renzi. Nel suo schema, la battaglia da dentro è inutile, perché il Pd è già cambiato, “è già un partito della Nazione”, guidato da quello che giudica un gruppo dirigente arrogante e opaco moralmente. Va fatto saltare e con esso il governo. Prima botta le amministrative, seconda il referendum. Parlottando a margine del convegno con alcuni parlamentari, Miguel Gotor ragiona a voce alta: “Il giudizio su Renzi coincide tra D’Alema e Bersani. Non coincide la strategia. Fuori dal Pd non si sono le masse oceaniche ad attenderci”. Poi, si concede ai giornalisti: “In questa fase bisogna tenere la barra dritta e stare e stare larghi con la testa. Lavorare nel Pd per l’alternativa a Renzi e interloquire con quelli che non si sentono rappresentati da questo Pd”.
Le parole dell’intervento di Roberto Speranza suonano anche come una risposta proprio a Massimo D’Alema: “Noi il Pd lo amiamo e ci crediamo, ma vogliamo cambiarlo. Vogliamo creare una alternativa dentro il Pd”. Insomma, quella che Speranza chiama “l’inquietudine montante dei nostri militanti” non deve sfociare in un nuovo partito. In sala è palpabile il disorientamento dei quadri del Pd, cresciuti nella Ditta e nelle Feste dell’Unità. Condividono ogni parola di D’Alema e con Renzi la distanza è quasi antropologica: l’Etruria, Verdini, una comunicazione fatta di slogan. Ma fuori è un’incognita. “Extra ecclesiam nulla salus” si diceva una volta. I militanti della Ditta vivono l’avventura fuori come un salto nel buio. Alfredo D’Attorre, che ha lasciato il Pd per andare in sinistra italia, è arrivato a Perugia come segno di rispetto e di amicizia: “La politica – dice – ha una sua logica oggettiva. E io resto convinto che ci ritroveremo presto con molti che sono qui, volenti o nolenti. Il referendum istituzionale sarà lo spartiacque, quello sarà il vero congresso del partito della Nazione, non ce ne sarà un altro”.
È un’analisi non dissimile da quella di D’Alema. Il quale, nel giorno dell’investitura di Roberto Speranza, ha voluto mettere nero su bianco la sua scarsa stima di una minoranza di cui parla, nelle conversazioni private, quasi come di un gruppo di morti, privi di coraggio e di capacità di iniziativa politica perché, per uno cresciuto nella scuola comunista, la politica è innanzitutto rapporti di forza e analisi realistica delle forze in campo. L’analisi dice che il Pd è già un partito della Nazione e la minoranza invece di far saltare il tavolo, chiede il congresso di un partito dove, con l’ingresso di pezzi di Forza Italia, è ancora più minoranza già ora.
Ecco, l’ennesima tappa di una divergenza di vedute tra D’Alema e Bersani, dopo la gestione delle primarie, la gestione del post voto, è questa: per D’Alema il Pd è un errore storico da superare, facendolo saltare – primo colpo le amministrative, secondo il referendum - per rifare un partito di sinistra, nella consapevolezza che c’è un pezzo di cattolici che non disdegna l’idea di rifare la margherita. Bersani e Speranza invece non solo non vogliono prendere atto del fallimento del Pd, ma vogliono salvarlo, nel senso che considerano la loro presenza, dentro, un modo per evitare che diventi una forza centrista. Sussurrano che, è vero, al momento l’arcipelago della sinistra è diviso. Cuperlo balla da solo, D’Alema è all’opposizione, ma che di qui al congresso un “correntone” è possibile. Perché tra i turchi monta il malessere rispetto alla linea di Orfini, troppo schiacciata su Renzi. Tra i catto-dem non è un mistero che l’ala di Delrio, uno che ha buoni rapporti anche con Mattarella, è in contrasto col giglio magico. Anche nel mondo veltroniano sta accadendo qualcosa se Walter Verini, per dirne una, ha criticato il modo in cui il partito ha gestito il caso delle primarie truccate a Napoli.

Ecco, in questo quadro – ragiona Speranza – il ragionamento di D’Alema divide, non unisce, impedendo di costruire l’alternativa dentro. Alternativa che Bersani vuole agevolare anche passando il testimone alla nuova generazione di 40enni: “Quelli della mia generazione – dice Bersani - non han bisogno di essere rottamati: la nostra generazione di quest’area non ha niente da chiedere. Io dico solo ‘chiedimi chi erano i Beatles’, basta, punto”. Niente Napalm.

Di Alessandro De Angelis per http://www.huffingtonpost.it

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