29 gen 2016

Il nuovo Erasmus dei laureati Gli italiani sono i più bravi d’Europa

Il nuovo Erasmus dei laureati
Gli italiani sono i più bravi d’Europa

di Antonella De Gregorio per IL Cvorriere Della Sera.it

La metà di chi fa il tirocinio all’estero viene assunto. Il presidente di Almalaurea: «Abbiamo dei licei che li preparano benissimo»



Esplora il significato del termine: Né choosy, né in fuga. I ragazzi italiani che si sistemano all’estero sono semplicemente bravi. I 70 mila laureati che ogni anno partono in cerca di condizioni migliori, di paga o di vita, sanno farsi valere e con poco sforzo si conquistano la stima dei datori di lavoro (e una carriera). La conferma in un’analisi della Commissione europea sull’impatto di «Erasmus+», ultimo nato e molto amato tra i programmi per la mobilità che, erede dello storico Erasmus (nato per agevolare esperienze di studio all’estero durante gli anni dell’università), consente scambi ed esperienze di lavoro, generalmente della durata di sei mesi, a giovani lavoratori, volontari, insegnanti
l’Erasmus»Mogherini e la tesi sull’Islam


Le offerte delle imprese
Un programma che sembra far bene soprattutto agli italiani: 6 mila quelli impegnati in attività di tirocinio, secondi solo ai turchi per numero di candidature presentate. Il focus della Ue sottolinea che per i giovani del Sud dell’Europa si riducono i tempi di disoccupazione e che gli italiani sono quelli con gli esiti migliori: dopo il tirocinio, il 51% riceve un’offerta di lavoro dall’impresa che l’ha ospitato. La media europea è del 30%. Dati che il direttore dell’Agenzia Nazionale Erasmus+ Indire, Flaminio Galli, commenta in chiave politica: «Viviamo un momento storico in cui torna la tentazione di alzare frontiere e steccati, mentre la mobilità degli studenti e dei docenti rafforza l’identità comune europea, migliora la preparazione individuale e favorisce l’occupazione».
Curiosi e determinati
Ivano Dionigi, ex rettore dell’Alma Mater di Bologna e da ottobre presidente di Almalaurea, li legge come conferma di un fenomeno tutto italiano: un flusso netto di capitale umano altamente qualificato, fortemente sbilanciato in una sola direzione. Lo scambio non è più scambio, insomma, ma drenaggio. «Una perdita secca di risorse umane per il Paese», dice. Fuga, appunto, non interazione, come invece sarebbe nelle intenzioni della Ue. «Che i nostri ragazzi siano apprezzati e si facciano valere mi allieta, non mi sorprende e mi fa arrabbiare — dice — perché il Paese è maledettamente noncurante di loro». Sul perché vengano premiati non ha dubbi: «Sono più bravi». E lo sono perché «in Italia abbiamo i licei migliori del mondo, e i nostri studenti sono più flessibili». Abbiamo meno laboratori e risorse, ma più linguaggi, «combiniamo meglio le due culture, le humanities e le scienze». L’analisi della Ue mette in luce anche alcune caratteristiche psicologiche: i candidati dell’area Europa del Sud, più dei coetanei di altre aree geografiche e più di quelli che non hanno intenzione di partire, mostrano più marcati tratti di personalità in aree ritenute importanti dai datori di lavoro: fiducia in se stessi, serenità, determinazione, energia, curiosità.
Emigrazione di cervelli
Ma se è consolatorio riconoscere le peculiarità del nostro sistema formativo, che fa sì che — riassume Dionigi — «la soluzione tecnica a un problema un imprenditore magari la chiede a un tedesco, ma per stendere la relazione preferisce un italiano», resta il fatto che l’emigrazione dei nostri giovani professionisti è un buco nero. E se lo studio e il lavoro all’estero diventano il destino finale del percorso formativo, anziché rappresentarne una tappa, è perché fuori dai confini si trovano servizi migliori e aiuti allo studio: «I ragazzi imparano le lingue, non pagano le tasse e trovano lavoro», sintetizza Dionigi. Che una soluzione ce l’ha: «Iniziamo con il garantire il primo triennio di studi universitari gratuito per tutti». Con l’obbligo di frequentare e di sostenere gli esami nei tempi previsti. Poi, certo, serve un mercato del lavoro più equo, dove tutti abbiano le giuste tutele, serve debellare nepotismo e baronie. Poi si potrà andare all’estero «per completare gli studi e perfezionarsi, trovare un primo o magari un secondo lavoro e, alla fine, tornare in patria, per mettere a frutto le esperienze accumulate e occupare posizioni di maggiore vantaggio e responsabilità».Né choosy, né in fuga. I ragazzi italiani che si sistemano all’estero sono semplicemente bravi. I 70 mila laureati che ogni anno partono in cerca di condizioni migliori, di paga o di vita, sanno farsi valere e con poco sforzo si conquistano la stima dei datori di lavoro (e una carriera). La conferma in un’analisi della Commissione europea sull’impatto di «Erasmus+», ultimo nato e molto amato tra i programmi per la mobilità che, erede dello storico Erasmus (nato per agevolare esperienze di studio all’estero durante gli anni dell’università), consente scambi ed esperienze di lavoro, generalmente della durata di sei mesi, a giovani lavoratori, volontari, insegnanti.
«Noi abbiamo fatto l’Erasmus»Mogherini e la tesi  sull’Islam

Le offerte delle imprese
Un programma che sembra far bene soprattutto agli italiani: 6 mila quelli impegnati in attività di tirocinio, secondi solo ai turchi per numero di candidature presentate. Il focus della Ue sottolinea che per i giovani del Sud dell’Europa si riducono i tempi di disoccupazione e che gli italiani sono quelli con gli esiti migliori: dopo il tirocinio, il 51% riceve un’offerta di lavoro dall’impresa che l’ha ospitato. La media europea è del 30%. Dati che il direttore dell’Agenzia Nazionale Erasmus+ Indire, Flaminio Galli, commenta in chiave politica: «Viviamo un momento storico in cui torna la tentazione di alzare frontiere e steccati, mentre la mobilità degli studenti e dei docenti rafforza l’identità comune europea, migliora la preparazione individuale e favorisce l’occupazione».
Curiosi e determinati
Ivano Dionigi, ex rettore dell’Alma Mater di Bologna e da ottobre presidente di Almalaurea, li legge come conferma di un fenomeno tutto italiano: un flusso netto di capitale umano altamente qualificato, fortemente sbilanciato in una sola direzione. Lo scambio non è più scambio, insomma, ma drenaggio. «Una perdita secca di risorse umane per il Paese», dice. Fuga, appunto, non interazione, come invece sarebbe nelle intenzioni della Ue. «Che i nostri ragazzi siano apprezzati e si facciano valere mi allieta, non mi sorprende e mi fa arrabbiare — dice — perché il Paese è maledettamente noncurante di loro». Sul perché vengano premiati non ha dubbi: «Sono più bravi». E lo sono perché «in Italia abbiamo i licei migliori del mondo, e i nostri studenti sono più flessibili». Abbiamo meno laboratori e risorse, ma più linguaggi, «combiniamo meglio le due culture, le humanities e le scienze». L’analisi della Ue mette in luce anche alcune caratteristiche psicologiche: i candidati dell’area Europa del Sud, più dei coetanei di altre aree geografiche e più di quelli che non hanno intenzione di partire, mostrano più marcati tratti di personalità in aree ritenute importanti dai datori di lavoro: fiducia in se stessi, serenità, determinazione, energia, curiosità.
Emigrazione di cervelli
Ma se è consolatorio riconoscere le peculiarità del nostro sistema formativo, che fa sì che — riassume Dionigi — «la soluzione tecnica a un problema un imprenditore magari la chiede a un tedesco, ma per stendere la relazione preferisce un italiano», resta il fatto che l’emigrazione dei nostri giovani professionisti è un buco nero. E se lo studio e il lavoro all’estero diventano il destino finale del percorso formativo, anziché rappresentarne una tappa, è perché fuori dai confini si trovano servizi migliori e aiuti allo studio: «I ragazzi imparano le lingue, non pagano le tasse e trovano lavoro», sintetizza Dionigi. Che una soluzione ce l’ha: «Iniziamo con il garantire il primo triennio di studi universitari gratuito per tutti». Con l’obbligo di frequentare e di sostenere gli esami nei tempi previsti. Poi, certo, serve un mercato del lavoro più equo, dove tutti abbiano le giuste tutele, serve debellare nepotismo e baronie. Poi si potrà andare all’estero «per completare gli studi e perfezionarsi, trovare un primo o magari un secondo lavoro e, alla fine, tornare in patria, per mettere a frutto le esperienze accumulate e occupare posizioni di maggiore vantaggio e responsabilità».


Nessun commento:

Posta un commento