Kunduz, tra le rovine di quell'ospedale l'America scopre l'ultimo inganno
Di Vittorio Zucconi per Repubblica.it
La
strage dimostra che, 14 anni dopo l'attacco ordinato da Bush, questa
è sempre più una missione incompiuta. Un conflitto a cui più
nessuno pensa
La
" guerra dimenticata", quell'Afghanistan rimosso dalle
coscienze e dai teleschermi del mondo, riesplode nelle rovine
dell'ospedale di Medici Senza Frontiere a Kunduz colpito dalle bombe
della Coalizione. Restano almeno 19 morti, fra medici e personale
afgano che inutilmente avevano tentato di avvertire i comandi
militari, poi feriti, ruderi affumicati, collera fra la popolazione
locale, inutili scuse formali del generale americano John Campbell al
presidente Ashraf Ghani. E al fondo la constatazione che, quattordici
anni dopo la troppo facile liberazione dell'Afghanistan dal regime
dei Taliban e le promesse di George W Bush sulle travi contorte delle
Torri Gemelle, anche questa è diventata una guerra sempre più
sporca, che non potrà essere pulita da una vittoria.
L'attacco
aereo all'ospedale di Kunduz sovraffollato di feriti dopo la
battaglia che aveva visto i Taleban riconquistare la città e
prenderne il controllo sopraffacendo le truppe governative- notizia
che neppure aveva raggiunto il pubblico americano - ha il sapore
disperante, eppure prevedibile, del " deja vu", della
replica di tragedia già viste. La cronistoria della spedizione
punitiva contro il regime che aveva accolto e protetto i comandi di
Al Quaeda negli anni '90 è punteggiata di episodi come questo
dell'ospedale di Kunduz, prodotti non della crudeltà, della
stupidità militare, della stoltezza di bombe che non possono mai
essere più " intelligenti" di chi le lancia, ma figli
dell'inevitabile degenerazione di guerre che dopo l'illusione
iniziale della " missione compiuta" si trasformano in
interminabili e controproducenti " missioni incompiute".
L'esistenza
di quell'ospedale costruito e gestito da " Medici Senza
Frontiere" a Kunduz era ben nota a tutti, civili, guerriglieri,
truppe regolari e comandi delle Forze Aeree. Ma l'"
intelligence", le informazioni raccolte da collaborazionisti,
spie, doppio o triplo giochisti, da personaggi che in queste
situazioni proliferano spesso in cambio di pochi dollari, avevano
segnalato che quella struttura sanitaria era stata assalita e
conquistata dai Taliban ed era divenuta una base di combattimento.
Queste informazioni, che potevano avere o non avere un fondamento,
hanno fatto alzare in volo i cacciabombardieri americani della
Coalizione e partire i razzi che lo hanno centrato, uccidendo medici,
infermieri, personale afgano e pazienti di ogni parte, perché le
strutture di Msf, assistono tutti i feriti, senza chiedere documenti
o appartenenze. Un comportamento che il governo, se così lo si può
chiamare, di Kabul aborre.
Siamo
lontani, geograficamente e temporalmente, dalla massacro di MyLai,
del villaggio sudvietnamita sterminato nel 1968 dai fanti del tenente
William Calley che fece uccidere almeno 500 abitanti nel dubbio che
fossero tutti agenti di supporto per i Vietcong, ma siamo vicinissimi
a quella palude di operazioni di " counterinsurgency", di
antiguerriglia, nelle quali gli eserciti regolari inesorabilmente si
fanno risucchiare. E' un processo visto e rivisitato troppe volte per
non essere ormai divenuto un caso di scuola: si parte dall'arrivo
apparentemente trionfale dei liberatori. Prosegue con la formazione
di governi e amministrazioni locali che fingono di avere legittimo
potere nazionale e sono accreditate dagli occupanti in mancanza di
altro. Si sgretola nella constatazione che le forze armate e di
sicurezza costruite in fretta non hanno nessuna affidabilità.
Degenera infine nella caccia " search and destroy",
nell'inseguimento di capi, sottocapi, cellule, ras ribelli e nella
illusione che la forza aerea, gli aerei e gli elicotteri guidati da
satelliti e indirizzati da improbabili " agenti" sul posto
possano domare la ribellione, senza sporcare stivali nella polvere.
E
tutto questo copione desolatamente scontato viene rappresentato
sempre più lontano dall'attenzione e dalla coscienza della nazione
più impegnata a interpretarlo, in questo caso gli Stati Uniti che da
tempo hanno rimosso l'Afghanistan, e la piccola, sporca guerra in
atto laggiù, la più lunga nella storia della nazione, dalle loro
preoccupazioni, oggi concentrate su altre aree del mondo. Le puntuali
notizie di bombardamenti di ospedali, ristoranti, feste di
matrimonio, cortei funebri, scambiati per movimenti o centrali
operative di ribelli passano nella indifferenza di una nazione che ha
lasciato quasi tre mila morti, su quel terreno, 100 miliiardi di
dollari di tesoro nazionale e ora 10 mila mila vivi in uniforme per
fingere di addestrare e assistere forze locali refrattarie
all'addestramento e al combattimento. Come già gli eserciti
fantoccio di Saigon o di Baghdad.
Nell'ultimo
sondaggio nazionale importante condotto nel 2013, l'82%, una
proporzione plebiscitaria, era ormai del tutto contrario a quella
presenza americana in Afghhanistan che lo stesso 80% aveva applaudito
quando George W Bush aveva lanciato piccoli reparti speciali e gruppi
della Cia (ma mai le grandi unità militari di un Pentagono che non
volle assumersene il peso e ne diffidava) verso Kabul. Nel 2015,
nessun sondaggio è stato più condotto e nei dibattiti televisivi
fra i candidati alla Casa Bianca, dal mattatore Donald Trump alle
comparse marginali, la parola " Afghanistan" è mai stata
neppure nominata.
Il
Presidente Obama resta fedele alla promessa di ritirare anche
l'ultimo soldato americano, entro il 2016, per poter dire, nel
momento dell'addio alla Casa Bianca, di avere mantenuto la parola
data nel 2008, quando, prima della catastrofe finanziaria ed
economica di quell'autunno, Afghanistan e Iraq sembravano nel cuore
delle preoccupazione nazionali. Potrà dire di avere rispettato un
impegno del quale ormai importa niente a nessuno, oltre alle decine
di migliaia di soldati, reduci e famiglie che ancora sono prigionieri
dell'ingranaggio di queste guerre
"
asimmetriche", sempre troppo facili da lanciare e sempre
impossibili da chiudere, dove il cammino trionfale del primo giorno
lentamente degenera in sabbie mobili. Quelle paludi nelle quali ora
si sta avventurando Putin in Siria, come lo ha avvertito Obama, uno
che ora se ne intende.
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