Il
carrozzone dell’ente per il Turismo
spende per gli stipendi
e
non per l’Italia
Paghe più alte che alla Casa Bianca. Ma per promuovere il Paese solo «centinaia di migliaia di euro»
Esplora
il significato del termine: E lmetto e baionetta, i 78 dipendenti
italiani dell’Enit sono in trincea. E diffidano il governo: altolà
alla nascita della «nuova» agenzia per il turismo. C’è da
capirli: quasi uno su due è «quadro» o dirigente e la busta paga è
più alta che alla Casa Bianca. Così, mesi dopo gli squilli di
tromba sulla svolta, tutto è fermo.
È
da un anno e passa che il vecchio Enit, fondato 96 anni fa, è stato
affidato a un commissario, Cristiano Radaelli, incaricato di dare una
sistemata ai costi (vedi un taglio del 29% sugli affitti) e avviare
la conversione dell’ente statale in un’agenzia per il turismo,
inquadrata come ente economico regolato da contratti di tipo
privatistico.
È
da maggio che Renzi ha scelto come presidente Evelina Christillin, la
«testona sabauda» (autoritratto) già alla testa
dell’organizzazione per le Olimpiadi invernali di Torino, del
Teatro Stabile, del Museo egizio. Ed è da metà giugno che il
passaggio viene dato per fatto. Di più: ai primissimi di luglio
Dario Franceschini ha firmato anche le nomine dei due consiglieri,
Antonio Preiti e Fabio Lazzerini, che per rilanciare il nostro
turismo lascerebbe la Emirates dove è direttore generale per
l’Italia. Il ministro era raggiante: «L’Italia ha ora uno
strumento snello, efficiente ed efficace in grado di affrontare le
grandi sfide e cogliere le enormi opportunità rappresentate dalla
crescita esponenziale del turismo internazionale».
Sì,
ciao... Anche la data del 1° ottobre, che registrava già un
ritardo, è saltata. Contro il passaggio piovono ricorsi sia dei
dipendenti Enit che non vogliono perdere il loro status sia dei
precari di PromuoviItalia che, avviato il fallimento societario,
chiedono di esser recuperati all’interno del settore pubblico.
L’ultima diffida è stata appena inviata da uno studio di avvocati
per conto di due delle 7 sigle sindacali interne (sette per 78
dipendenti: una ogni 11 persone!) e intima a tutti, da Palazzo Chigi
ai nuovi consiglieri, a non fare un passo avanti.
Immaginatevi
Matteo Renzi! Furibondo. Il punto è che una storia come quella di
Enit non poteva che finire così, farraginosamente. Al di là anche
della dedizione e della professionalità di molti. Si è visto di
tutto, negli ultimi anni. Sedi estere (un centinaio di dipendenti
stranieri per 23 «filiali») megalomani come quella di New York al
Rockefeller Center che, prima di venir spostata dal commissario
all’Istituto italiano di cultura, costava 400.000 euro l’anno.
Uffici come Vienna capaci di spendere in un anno 20.000 euro di
giornali, pari a 77 euro a giorno lavorativo. Ripetuti ricorsi ai
giudici come quello che ha permesso all’unico giornalista di farsi
riconoscere la qualifica di «direttore».
Per
non dire dei «manager» piazzati via via da questo e quel governo.
Su tutti il «brambilliano» Paolo Rubini, nominato direttore
generale pur avendo nel curriculum, come scrisse Emanuele Fittipaldi
su l’Espresso , «solo la vice-presidenza della StemWay Biotech,
un’azienda specializzata nel congelamento di cordoni ombelicali».
Un campo vicino al turismo quanto Carugate a Tokio.
Come
dimenticare poi la selezione di dirigenti mandati all’estero? Per
conquistare il mercato cinese, come già abbiamo raccontato, fu
mandata ad esempio a Pechino l’ex segretaria comunale di Zeme,
Velezzo, Lardirago, Bascapè, Affile, Labico e Campagnano romano...
«E se la cavò perfino meglio di altri...», ammicca uno che l’Enit
lo conosce bene. Quanto a un suo collega inviato in Brasile, non
riuscì a ottenere il visto e se ne restò a conquistare i possibili
turisti brasiliani da Buenos Aires. Un capolavoro.
Lo
status di tutti, poi, era appena inferiore a quello di un
ambasciatore e le indennità varie, stando ai documenti, potevano
arrivare a ventimila euro netti al mese più lo stipendio. Per un
totale di oltre trecentomila euro puliti l’anno. Fatti rientrare
tutti a Roma dal commissario Radaelli, i sei «distaccati d’oro»
hanno fatto tutti causa. Perdendo. Risparmio finale da un anno
all’altro: un milione e 900mila euro. Oltre trecentomila a testa di
sole indennità e spese varie.
C’è
poi da stupirsi se l’ex commissario alla spending review Carlo
Cottarelli aveva inserito il carrozzone Enit al secondo posto, dopo
il Cnel, tra gli enti pubblici da chiudere? Lo stesso «Piano
strategico per lo sviluppo del turismo in Italia», forse lo studio
più serio degli ultimi anni, voluto dall’allora ministro Pietro
Gnudi con la collaborazione di Boston Consulting Group, era
chiarissimo. E dopo avere denunciato la «graduale marginalizzazione
dell’Enit» usava parole tombali: «L’Agenzia Nazionale del
Turismo è percepita come legata più a logiche burocratiche che di
mercato».
Dopo
un anno passato a tagliare e battagliare (a volte a dispetto della
scarsa collaborazione di pezzi dello Stato, come l’Avvocatura che
non gli ha mai fornito un esperto per il passaggio dei contratti da
pubblico a privato), Cristiano Radaelli avrebbe confidato agli amici
di sentirsi la coscienza a posto: «Quello che potevo fare l’ho
fatto». Compresa la definizione delle strategie del «nuovo» Enit
(a partire dal web dove il famigerato italia.it che è migliorato ma
è ancora in 6 lingue contro le 10 della Gran Bretagna o le 16 della
Norvegia!) e la futura pianta organica: otto dirigenti, 31 quadri,
101 dal quarto al secondo livello.
Il
passaggio dal vecchio organismo statale al nuovo «ente economico»,
però, non sarebbe indolore per i dipendenti. Anzi. Status a parte,
col nuovo contratto del turismo c’è chi perderebbe il 45% dello
stipendio. Va da sé che nessuno, potendo essere spostato in un altro
ministero, abbia voglia di andarci a rimettere. Col rischio che
l’Agenzia, e sarebbe un peccato, perda alcune professionalità che
anche nei momenti peggiori hanno consentito all’Enit di dare un
contributo.
Il
guaio è che anche il nuovo ente, ammesso che fili tutto liscio,
avrebbe difficoltà a distribuire i vecchi stipendi. Il bilancio
dell’Enit che riceve dallo Stato 17,6 milioni l’anno (contro i 50
di un tempo) riserva alla promozione vera e propria «alcune
centinaia di migliaia di euro». Briciole, rispetto alla settantina
di milioni che mediamente spendono la Francia, la Gran Bretagna o la
Spagna. Da noi se ne va quasi tutto nelle spese di gestione e nel
personale. Basti dire che, nonostante i tagli (proseguiti anche
quest’anno) i 78 dipendenti italiani sono costati nel 2014 la
bellezza di 6,7 milioni. Pari a 85.897 a testa. Oltre ventimila euro
più di quanto hanno mediamente guadagnato (62.363 euro) i dipendenti
della Casa Bianca. Contro i «gufi», Evelina Christillin si è
attrezzata con una collezione di centinaia e centinaia di gufi e
civette di ceramica, di pietra, di peluche... Auguri. E lmetto e
baionetta, i 78 dipendenti italiani dell’Enit sono in trincea. E
diffidano il governo: altolà alla nascita della «nuova» agenzia
per il turismo. C’è da capirli: quasi uno su due è «quadro» o
dirigente e la busta paga è più alta che alla Casa Bianca. Così,
mesi dopo gli squilli di tromba sulla svolta, tutto è fermo.
È
da un anno e passa che il vecchio Enit, fondato 96 anni fa, è stato
affidato a un commissario, Cristiano Radaelli, incaricato di dare una
sistemata ai costi (vedi un taglio del 29% sugli affitti) e avviare
la conversione dell’ente statale in un’agenzia per il turismo,
inquadrata come ente economico regolato da contratti di tipo
privatistico.
È
da maggio che Renzi ha scelto come presidente Evelina Christillin, la
«testona sabauda» (autoritratto) già alla testa
dell’organizzazione per le Olimpiadi invernali di Torino, del
Teatro Stabile, del Museo egizio. Ed è da metà giugno che il
passaggio viene dato per fatto. Di più: ai primissimi di luglio
Dario Franceschini ha firmato anche le nomine dei due consiglieri,
Antonio Preiti e Fabio Lazzerini, che per rilanciare il nostro
turismo lascerebbe la Emirates dove è direttore generale per
l’Italia. Il ministro era raggiante: «L’Italia ha ora uno
strumento snello, efficiente ed efficace in grado di affrontare le
grandi sfide e cogliere le enormi opportunità rappresentate dalla
crescita esponenziale del turismo internazionale».
Sì,
ciao... Anche la data del 1° ottobre, che registrava già un
ritardo, è saltata. Contro il passaggio piovono ricorsi sia dei
dipendenti Enit che non vogliono perdere il loro status sia dei
precari di PromuoviItalia che, avviato il fallimento societario,
chiedono di esser recuperati all’interno del settore pubblico.
L’ultima diffida è stata appena inviata da uno studio di avvocati
per conto di due delle 7 sigle sindacali interne (sette per 78
dipendenti: una ogni 11 persone!) e intima a tutti, da Palazzo Chigi
ai nuovi consiglieri, a non fare un passo avanti.
Immaginatevi
Matteo Renzi! Furibondo. Il punto è che una storia come quella di
Enit non poteva che finire così, farraginosamente. Al di là anche
della dedizione e della professionalità di molti. Si è visto di
tutto, negli ultimi anni. Sedi estere (un centinaio di dipendenti
stranieri per 23 «filiali») megalomani come quella di New York al
Rockefeller Center che, prima di venir spostata dal commissario
all’Istituto italiano di cultura, costava 400.000 euro l’anno.
Uffici come Vienna capaci di spendere in un anno 20.000 euro di
giornali, pari a 77 euro a giorno lavorativo. Ripetuti ricorsi ai
giudici come quello che ha permesso all’unico giornalista di farsi
riconoscere la qualifica di «direttore».
Per
non dire dei «manager» piazzati via via da questo e quel governo.
Su tutti il «brambilliano» Paolo Rubini, nominato direttore
generale pur avendo nel curriculum, come scrisse Emanuele Fittipaldi
su l’Espresso , «solo la vice-presidenza della StemWay Biotech,
un’azienda specializzata nel congelamento di cordoni ombelicali».
Un campo vicino al turismo quanto Carugate a Tokio.
Come
dimenticare poi la selezione di dirigenti mandati all’estero? Per
conquistare il mercato cinese, come già abbiamo raccontato, fu
mandata ad esempio a Pechino l’ex segretaria comunale di Zeme,
Velezzo, Lardirago, Bascapè, Affile, Labico e Campagnano romano...
«E se la cavò perfino meglio di altri...», ammicca uno che l’Enit
lo conosce bene. Quanto a un suo collega inviato in Brasile, non
riuscì a ottenere il visto e se ne restò a conquistare i possibili
turisti brasiliani da Buenos Aires. Un capolavoro.
Lo
status di tutti, poi, era appena inferiore a quello di un
ambasciatore e le indennità varie, stando ai documenti, potevano
arrivare a ventimila euro netti al mese più lo stipendio. Per un
totale di oltre trecentomila euro puliti l’anno. Fatti rientrare
tutti a Roma dal commissario Radaelli, i sei «distaccati d’oro»
hanno fatto tutti causa. Perdendo. Risparmio finale da un anno
all’altro: un milione e 900mila euro. Oltre trecentomila a testa di
sole indennità e spese varie.
C’è
poi da stupirsi se l’ex commissario alla spending review Carlo
Cottarelli aveva inserito il carrozzone Enit al secondo posto, dopo
il Cnel, tra gli enti pubblici da chiudere? Lo stesso «Piano
strategico per lo sviluppo del turismo in Italia», forse lo studio
più serio degli ultimi anni, voluto dall’allora ministro Pietro
Gnudi con la collaborazione di Boston Consulting Group, era
chiarissimo. E dopo avere denunciato la «graduale marginalizzazione
dell’Enit» usava parole tombali: «L’Agenzia Nazionale del
Turismo è percepita come legata più a logiche burocratiche che di
mercato».
Dopo
un anno passato a tagliare e battagliare (a volte a dispetto della
scarsa collaborazione di pezzi dello Stato, come l’Avvocatura che
non gli ha mai fornito un esperto per il passaggio dei contratti da
pubblico a privato), Cristiano Radaelli avrebbe confidato agli amici
di sentirsi la coscienza a posto: «Quello che potevo fare l’ho
fatto». Compresa la definizione delle strategie del «nuovo» Enit
(a partire dal web dove il famigerato italia.it che è migliorato ma
è ancora in 6 lingue contro le 10 della Gran Bretagna o le 16 della
Norvegia!) e la futura pianta organica: otto dirigenti, 31 quadri,
101 dal quarto al secondo livello.
Il
passaggio dal vecchio organismo statale al nuovo «ente economico»,
però, non sarebbe indolore per i dipendenti. Anzi. Status a parte,
col nuovo contratto del turismo c’è chi perderebbe il 45% dello
stipendio. Va da sé che nessuno, potendo essere spostato in un altro
ministero, abbia voglia di andarci a rimettere. Col rischio che
l’Agenzia, e sarebbe un peccato, perda alcune professionalità che
anche nei momenti peggiori hanno consentito all’Enit di dare un
contributo.
Il
guaio è che anche il nuovo ente, ammesso che fili tutto liscio,
avrebbe difficoltà a distribuire i vecchi stipendi. Il bilancio
dell’Enit che riceve dallo Stato 17,6 milioni l’anno (contro i 50
di un tempo) riserva alla promozione vera e propria «alcune
centinaia di migliaia di euro». Briciole, rispetto alla settantina
di milioni che mediamente spendono la Francia, la Gran Bretagna o la
Spagna. Da noi se ne va quasi tutto nelle spese di gestione e nel
personale. Basti dire che, nonostante i tagli (proseguiti anche
quest’anno) i 78 dipendenti italiani sono costati nel 2014 la
bellezza di 6,7 milioni. Pari a 85.897 a testa. Oltre ventimila euro
più di quanto hanno mediamente guadagnato (62.363 euro) i dipendenti
della Casa Bianca. Contro i «gufi», Evelina Christillin si è
attrezzata con una collezione di centinaia e centinaia di gufi e
civette di ceramica, di pietra, di peluche... Auguri.
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