1 ott 2015

Il carrozzone dell’ente per il Turismo spende per gli stipendi e non per l’Italia

Il carrozzone dell’ente per il Turismo
spende per gli stipendi
e non per l’Italia





Paghe più alte che alla Casa Bianca. Ma per promuovere il Paese solo «centinaia di migliaia di euro»


Esplora il significato del termine: E lmetto e baionetta, i 78 dipendenti italiani dell’Enit sono in trincea. E diffidano il governo: altolà alla nascita della «nuova» agenzia per il turismo. C’è da capirli: quasi uno su due è «quadro» o dirigente e la busta paga è più alta che alla Casa Bianca. Così, mesi dopo gli squilli di tromba sulla svolta, tutto è fermo.
È da un anno e passa che il vecchio Enit, fondato 96 anni fa, è stato affidato a un commissario, Cristiano Radaelli, incaricato di dare una sistemata ai costi (vedi un taglio del 29% sugli affitti) e avviare la conversione dell’ente statale in un’agenzia per il turismo, inquadrata come ente economico regolato da contratti di tipo privatistico.


È da maggio che Renzi ha scelto come presidente Evelina Christillin, la «testona sabauda» (autoritratto) già alla testa dell’organizzazione per le Olimpiadi invernali di Torino, del Teatro Stabile, del Museo egizio. Ed è da metà giugno che il passaggio viene dato per fatto. Di più: ai primissimi di luglio Dario Franceschini ha firmato anche le nomine dei due consiglieri, Antonio Preiti e Fabio Lazzerini, che per rilanciare il nostro turismo lascerebbe la Emirates dove è direttore generale per l’Italia. Il ministro era raggiante: «L’Italia ha ora uno strumento snello, efficiente ed efficace in grado di affrontare le grandi sfide e cogliere le enormi opportunità rappresentate dalla crescita esponenziale del turismo internazionale».
Sì, ciao... Anche la data del 1° ottobre, che registrava già un ritardo, è saltata. Contro il passaggio piovono ricorsi sia dei dipendenti Enit che non vogliono perdere il loro status sia dei precari di PromuoviItalia che, avviato il fallimento societario, chiedono di esser recuperati all’interno del settore pubblico. L’ultima diffida è stata appena inviata da uno studio di avvocati per conto di due delle 7 sigle sindacali interne (sette per 78 dipendenti: una ogni 11 persone!) e intima a tutti, da Palazzo Chigi ai nuovi consiglieri, a non fare un passo avanti.




Immaginatevi Matteo Renzi! Furibondo. Il punto è che una storia come quella di Enit non poteva che finire così, farraginosamente. Al di là anche della dedizione e della professionalità di molti. Si è visto di tutto, negli ultimi anni. Sedi estere (un centinaio di dipendenti stranieri per 23 «filiali») megalomani come quella di New York al Rockefeller Center che, prima di venir spostata dal commissario all’Istituto italiano di cultura, costava 400.000 euro l’anno. Uffici come Vienna capaci di spendere in un anno 20.000 euro di giornali, pari a 77 euro a giorno lavorativo. Ripetuti ricorsi ai giudici come quello che ha permesso all’unico giornalista di farsi riconoscere la qualifica di «direttore».


Per non dire dei «manager» piazzati via via da questo e quel governo. Su tutti il «brambilliano» Paolo Rubini, nominato direttore generale pur avendo nel curriculum, come scrisse Emanuele Fittipaldi su l’Espresso , «solo la vice-presidenza della StemWay Biotech, un’azienda specializzata nel congelamento di cordoni ombelicali». Un campo vicino al turismo quanto Carugate a Tokio.
Come dimenticare poi la selezione di dirigenti mandati all’estero? Per conquistare il mercato cinese, come già abbiamo raccontato, fu mandata ad esempio a Pechino l’ex segretaria comunale di Zeme, Velezzo, Lardirago, Bascapè, Affile, Labico e Campagnano romano... «E se la cavò perfino meglio di altri...», ammicca uno che l’Enit lo conosce bene. Quanto a un suo collega inviato in Brasile, non riuscì a ottenere il visto e se ne restò a conquistare i possibili turisti brasiliani da Buenos Aires. Un capolavoro.


Lo status di tutti, poi, era appena inferiore a quello di un ambasciatore e le indennità varie, stando ai documenti, potevano arrivare a ventimila euro netti al mese più lo stipendio. Per un totale di oltre trecentomila euro puliti l’anno. Fatti rientrare tutti a Roma dal commissario Radaelli, i sei «distaccati d’oro» hanno fatto tutti causa. Perdendo. Risparmio finale da un anno all’altro: un milione e 900mila euro. Oltre trecentomila a testa di sole indennità e spese varie.
C’è poi da stupirsi se l’ex commissario alla spending review Carlo Cottarelli aveva inserito il carrozzone Enit al secondo posto, dopo il Cnel, tra gli enti pubblici da chiudere? Lo stesso «Piano strategico per lo sviluppo del turismo in Italia», forse lo studio più serio degli ultimi anni, voluto dall’allora ministro Pietro Gnudi con la collaborazione di Boston Consulting Group, era chiarissimo. E dopo avere denunciato la «graduale marginalizzazione dell’Enit» usava parole tombali: «L’Agenzia Nazionale del Turismo è percepita come legata più a logiche burocratiche che di mercato».


Dopo un anno passato a tagliare e battagliare (a volte a dispetto della scarsa collaborazione di pezzi dello Stato, come l’Avvocatura che non gli ha mai fornito un esperto per il passaggio dei contratti da pubblico a privato), Cristiano Radaelli avrebbe confidato agli amici di sentirsi la coscienza a posto: «Quello che potevo fare l’ho fatto». Compresa la definizione delle strategie del «nuovo» Enit (a partire dal web dove il famigerato italia.it che è migliorato ma è ancora in 6 lingue contro le 10 della Gran Bretagna o le 16 della Norvegia!) e la futura pianta organica: otto dirigenti, 31 quadri, 101 dal quarto al secondo livello.
Il passaggio dal vecchio organismo statale al nuovo «ente economico», però, non sarebbe indolore per i dipendenti. Anzi. Status a parte, col nuovo contratto del turismo c’è chi perderebbe il 45% dello stipendio. Va da sé che nessuno, potendo essere spostato in un altro ministero, abbia voglia di andarci a rimettere. Col rischio che l’Agenzia, e sarebbe un peccato, perda alcune professionalità che anche nei momenti peggiori hanno consentito all’Enit di dare un contributo.


Il guaio è che anche il nuovo ente, ammesso che fili tutto liscio, avrebbe difficoltà a distribuire i vecchi stipendi. Il bilancio dell’Enit che riceve dallo Stato 17,6 milioni l’anno (contro i 50 di un tempo) riserva alla promozione vera e propria «alcune centinaia di migliaia di euro». Briciole, rispetto alla settantina di milioni che mediamente spendono la Francia, la Gran Bretagna o la Spagna. Da noi se ne va quasi tutto nelle spese di gestione e nel personale. Basti dire che, nonostante i tagli (proseguiti anche quest’anno) i 78 dipendenti italiani sono costati nel 2014 la bellezza di 6,7 milioni. Pari a 85.897 a testa. Oltre ventimila euro più di quanto hanno mediamente guadagnato (62.363 euro) i dipendenti della Casa Bianca. Contro i «gufi», Evelina Christillin si è attrezzata con una collezione di centinaia e centinaia di gufi e civette di ceramica, di pietra, di peluche... Auguri. E lmetto e baionetta, i 78 dipendenti italiani dell’Enit sono in trincea. E diffidano il governo: altolà alla nascita della «nuova» agenzia per il turismo. C’è da capirli: quasi uno su due è «quadro» o dirigente e la busta paga è più alta che alla Casa Bianca. Così, mesi dopo gli squilli di tromba sulla svolta, tutto è fermo.
È da un anno e passa che il vecchio Enit, fondato 96 anni fa, è stato affidato a un commissario, Cristiano Radaelli, incaricato di dare una sistemata ai costi (vedi un taglio del 29% sugli affitti) e avviare la conversione dell’ente statale in un’agenzia per il turismo, inquadrata come ente economico regolato da contratti di tipo privatistico.


È da maggio che Renzi ha scelto come presidente Evelina Christillin, la «testona sabauda» (autoritratto) già alla testa dell’organizzazione per le Olimpiadi invernali di Torino, del Teatro Stabile, del Museo egizio. Ed è da metà giugno che il passaggio viene dato per fatto. Di più: ai primissimi di luglio Dario Franceschini ha firmato anche le nomine dei due consiglieri, Antonio Preiti e Fabio Lazzerini, che per rilanciare il nostro turismo lascerebbe la Emirates dove è direttore generale per l’Italia. Il ministro era raggiante: «L’Italia ha ora uno strumento snello, efficiente ed efficace in grado di affrontare le grandi sfide e cogliere le enormi opportunità rappresentate dalla crescita esponenziale del turismo internazionale».
Sì, ciao... Anche la data del 1° ottobre, che registrava già un ritardo, è saltata. Contro il passaggio piovono ricorsi sia dei dipendenti Enit che non vogliono perdere il loro status sia dei precari di PromuoviItalia che, avviato il fallimento societario, chiedono di esser recuperati all’interno del settore pubblico. L’ultima diffida è stata appena inviata da uno studio di avvocati per conto di due delle 7 sigle sindacali interne (sette per 78 dipendenti: una ogni 11 persone!) e intima a tutti, da Palazzo Chigi ai nuovi consiglieri, a non fare un passo avanti.




Immaginatevi Matteo Renzi! Furibondo. Il punto è che una storia come quella di Enit non poteva che finire così, farraginosamente. Al di là anche della dedizione e della professionalità di molti. Si è visto di tutto, negli ultimi anni. Sedi estere (un centinaio di dipendenti stranieri per 23 «filiali») megalomani come quella di New York al Rockefeller Center che, prima di venir spostata dal commissario all’Istituto italiano di cultura, costava 400.000 euro l’anno. Uffici come Vienna capaci di spendere in un anno 20.000 euro di giornali, pari a 77 euro a giorno lavorativo. Ripetuti ricorsi ai giudici come quello che ha permesso all’unico giornalista di farsi riconoscere la qualifica di «direttore».


Per non dire dei «manager» piazzati via via da questo e quel governo. Su tutti il «brambilliano» Paolo Rubini, nominato direttore generale pur avendo nel curriculum, come scrisse Emanuele Fittipaldi su l’Espresso , «solo la vice-presidenza della StemWay Biotech, un’azienda specializzata nel congelamento di cordoni ombelicali». Un campo vicino al turismo quanto Carugate a Tokio.
Come dimenticare poi la selezione di dirigenti mandati all’estero? Per conquistare il mercato cinese, come già abbiamo raccontato, fu mandata ad esempio a Pechino l’ex segretaria comunale di Zeme, Velezzo, Lardirago, Bascapè, Affile, Labico e Campagnano romano... «E se la cavò perfino meglio di altri...», ammicca uno che l’Enit lo conosce bene. Quanto a un suo collega inviato in Brasile, non riuscì a ottenere il visto e se ne restò a conquistare i possibili turisti brasiliani da Buenos Aires. Un capolavoro.


Lo status di tutti, poi, era appena inferiore a quello di un ambasciatore e le indennità varie, stando ai documenti, potevano arrivare a ventimila euro netti al mese più lo stipendio. Per un totale di oltre trecentomila euro puliti l’anno. Fatti rientrare tutti a Roma dal commissario Radaelli, i sei «distaccati d’oro» hanno fatto tutti causa. Perdendo. Risparmio finale da un anno all’altro: un milione e 900mila euro. Oltre trecentomila a testa di sole indennità e spese varie.
C’è poi da stupirsi se l’ex commissario alla spending review Carlo Cottarelli aveva inserito il carrozzone Enit al secondo posto, dopo il Cnel, tra gli enti pubblici da chiudere? Lo stesso «Piano strategico per lo sviluppo del turismo in Italia», forse lo studio più serio degli ultimi anni, voluto dall’allora ministro Pietro Gnudi con la collaborazione di Boston Consulting Group, era chiarissimo. E dopo avere denunciato la «graduale marginalizzazione dell’Enit» usava parole tombali: «L’Agenzia Nazionale del Turismo è percepita come legata più a logiche burocratiche che di mercato».


Dopo un anno passato a tagliare e battagliare (a volte a dispetto della scarsa collaborazione di pezzi dello Stato, come l’Avvocatura che non gli ha mai fornito un esperto per il passaggio dei contratti da pubblico a privato), Cristiano Radaelli avrebbe confidato agli amici di sentirsi la coscienza a posto: «Quello che potevo fare l’ho fatto». Compresa la definizione delle strategie del «nuovo» Enit (a partire dal web dove il famigerato italia.it che è migliorato ma è ancora in 6 lingue contro le 10 della Gran Bretagna o le 16 della Norvegia!) e la futura pianta organica: otto dirigenti, 31 quadri, 101 dal quarto al secondo livello.
Il passaggio dal vecchio organismo statale al nuovo «ente economico», però, non sarebbe indolore per i dipendenti. Anzi. Status a parte, col nuovo contratto del turismo c’è chi perderebbe il 45% dello stipendio. Va da sé che nessuno, potendo essere spostato in un altro ministero, abbia voglia di andarci a rimettere. Col rischio che l’Agenzia, e sarebbe un peccato, perda alcune professionalità che anche nei momenti peggiori hanno consentito all’Enit di dare un contributo.


Il guaio è che anche il nuovo ente, ammesso che fili tutto liscio, avrebbe difficoltà a distribuire i vecchi stipendi. Il bilancio dell’Enit che riceve dallo Stato 17,6 milioni l’anno (contro i 50 di un tempo) riserva alla promozione vera e propria «alcune centinaia di migliaia di euro». Briciole, rispetto alla settantina di milioni che mediamente spendono la Francia, la Gran Bretagna o la Spagna. Da noi se ne va quasi tutto nelle spese di gestione e nel personale. Basti dire che, nonostante i tagli (proseguiti anche quest’anno) i 78 dipendenti italiani sono costati nel 2014 la bellezza di 6,7 milioni. Pari a 85.897 a testa. Oltre ventimila euro più di quanto hanno mediamente guadagnato (62.363 euro) i dipendenti della Casa Bianca. Contro i «gufi», Evelina Christillin si è attrezzata con una collezione di centinaia e centinaia di gufi e civette di ceramica, di pietra, di peluche... Auguri.


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