7 mag 2015

Milano No Expo, Savina: «Perché non abbiamo attaccato i black bloc»

Milano No Expo, Savina: «Perché non abbiamo attaccato i black bloc»


Di
 Gianni Santucci per IL Corriere Della Sera.it




Luigi Savina

Il questore di Milano: «La scelta è stata fatta durante il corteo, per tutelare tutti gli altri manifestanti. Chi sfila pacificamente dovrebbe andarsene»


Sulla scrivania conserva una cartina. Una fotocopia in bianco e nero del centro città. Il percorso del corteo risalta in giallo, segnato da un evidenziatore; gli «obiettivi» sono sottolineati in arancione. È la mappa del rischio messa a punto prima del corteo. Il questore di Milano, Luigi Savina, scorre il dito su quella carta e racconta: «L’intelligence ha funzionato, la strategia degli incappucciati era arrivare in centro, in corso Vittorio Emanuele e alla Scala, per portare la guerriglia tra i passanti. In alternativa puntavano la Borsa o, sull’altro fronte, il palazzo che ospita gli uffici della Comunità europea, un bersaglio soprattutto dei greci». Su quella carta il questore ha continuato a riflettere nei giorni successivi, tenendo in mente le immagini delle devastazioni del Primo maggio: «Oggi posso dire di esserne ancora più convinto: se avessimo agito d’impeto, e non con l’intelletto e la freddezza, le conseguenze sarebbero state dieci volte più gravi».
Macchine incendiate, assalti alle banche. Qualcuno dice che è andata bene. Condivide? 
«L’aver evitato danni gravi alle persone resta un dato di fatto, anche se di certo non possiamo commentarlo con toni trionfalistici». 
Come era organizzata la difesa? 
«Sul fronte Sud abbiamo sbarrato l’accesso con i mezzi e gli idranti, che permettono di respingere gli assalti senza far male a nessuno. Così è andata in piazza della Resistenza partigiana». 
Come hanno reagito gli «incappucciati»? 
«Hanno cambiato strategia, con due obiettivi tattici ben definiti: cercare di farci attaccare, affinché scoprissimo un fronte, per poi muoversi tra la folla e infilarsi nel lato scoperto. Soprattutto, cercavano di farci avanzare durante il corteo, per creare ancora più caos». 
È per questo che non avete reagito? 
«In alto, a Cadorna, c’era uno sbarramento massiccio. E allora hanno deciso di colpire in largo d’Ancona, come si vede dalle immagini. Si sono divisi in due gruppi, per attaccare in contemporanea su due lati, sempre con lo stesso scopo: provocarci, farci scoprire per entrare alle nostre spalle». 
È lì che hanno incendiato le prime auto, perché non li avete contrastati subito? 
«Erano oltre 600, decisi e organizzati. Ma all’inizio dell’attacco le 10 mila persone del primo spezzone di corteo erano ancora lì, a contatto, mentre la coda si stava avvicinando. Entrare in quel momento avrebbe permesso ai devastatori di tornare a farsi scudo del corteo “normale”, per poi uscire di nuovo. Sono stati i 15-20 minuti più critici». 
Come vi siete riorganizzati? 
«Abbiamo fatto due cose. Primo, spostare una squadra sul retro, per isolare la coda del corteo; secondo, far sfilare via il primo spezzone, per allontanarlo il più possibile dai disordini. A quel punto, radunata la forza, abbiamo iniziato ad avanzare. Loro arretravano, coprendosi con decine di fumogeni e molotov». 
Cinque arresti per danni così gravi non sono pochi? 
«Iniziata la “ritirata”, avremmo potuto chiuderli alle spalle e bloccarli, ma tenere qualche centinaio di persone armate di martelli, bastoni e molotov dentro una strada stretta avrebbe potuto scatenare una violenza pesantissima». 
Significa, allora, che in casi simili non si può reagire? 
«Non c’è stata a priori una scelta di contenimento e riduzione del danno, né una direttiva di evitare contatti. Non ci siamo chiusi gli occhi, e sono dispiaciuto per le conseguenze. Ma in pochi secondi abbiamo dovuto fare scelte complesse e abbiamo deciso di tutelare l’incolumità degli altri manifestanti, di eventuali cittadini di passaggio, degli uomini delle forze dell’ordine». 
I cortei così a rischio potrebbero essere vietati? 
«L’autorità prende atto delle manifestazioni, il riferimento fondamentale resta l’articolo 17 della Costituzione. Due giorni prima, il 29 aprile, un gruppo di 60-70 devastatori ha provato a inserirsi in una manifestazione antifascista che contestava la commemorazione per la morte di Sergio Ramelli. In quel caso gli organizzatori del corteo li hanno isolati e contenuti, per evitare che la situazione degenerasse. Una cosa simile è avvenuta il giorno dopo, con gli studenti. Li ringrazio per questo comportamento». 
Il Primo maggio non è successo? 
«Un ragazzo sparava razzi contro la polizia, altri cominciavano a picchiare contro le vetrine. E ciò, all’inizio, è accaduto nell’indifferenza più totale degli altri manifestanti. Non voglio criticare nessuno, ma in quei casi mi aspetterei che chi è in strada soltanto per manifestare si allontanasse, dicendo “questo non è il mio corteo”». 
Cosa si può fare per evitare nuove giornate di guerriglia in futuro? 
«Per contrastare la violenza negli stadi sono state introdotte due armi giudiziarie, da una parte l’arresto in differita, dall’altra il Daspo, cioè l’obbligo di firma in commissariato, prima e dopo le partite, per le persone con precedenti di violenza. Sarebbe molto utile anche per le manifestazioni, soprattutto per chi arriva da altre città». 




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