29 feb 2016
Nel caos Turchia-Russia il premier tiri fuori gli attributi. E scelga di stare con Putin.
Nel
caos Turchia-Russia il premier
tiri fuori gli attributi. E scelga di
stare con Putin.
Renzi non si è mosso male dopo le tristi giornate di Parigi.
Mantengo i miei dubbi sulla capacità degli uomini di governo a ciò preposti di guidare la “sicurezza” del Paese, ma il premier ha fatto i passi giusti.
Uno, quello che conta di più, deve farlo nelle prossime ore.
L’abbattimento dell’aereo militare russo da parte dei turchi è un segnale di guerra di prima grandezza. Agli inizi o alla metà del secolo scorso i due Stati coinvolti si sarebbero scambiati gli ambasciatori con dichiarazioni di guerra.
L'ERRORE DI OBAMA, SCEGLIERE ERDOGAN. Putin e Erdogan non sono due leader limpidi. Il russo è probabilmente un autocrate. Il turco è, invece, un pericoloso doppiogiochista. Obama ha scelto – i presidente democratici solitamente sbagliano a fine mandato – di stare con i turchi per via della comune appartenenza alla Nato.
Mantengo i miei dubbi sulla capacità degli uomini di governo a ciò preposti di guidare la “sicurezza” del Paese, ma il premier ha fatto i passi giusti.
Uno, quello che conta di più, deve farlo nelle prossime ore.
L’abbattimento dell’aereo militare russo da parte dei turchi è un segnale di guerra di prima grandezza. Agli inizi o alla metà del secolo scorso i due Stati coinvolti si sarebbero scambiati gli ambasciatori con dichiarazioni di guerra.
L'ERRORE DI OBAMA, SCEGLIERE ERDOGAN. Putin e Erdogan non sono due leader limpidi. Il russo è probabilmente un autocrate. Il turco è, invece, un pericoloso doppiogiochista. Obama ha scelto – i presidente democratici solitamente sbagliano a fine mandato – di stare con i turchi per via della comune appartenenza alla Nato.
L’Italia
dovrebbe fare e dire le stesse cose degli Usa. Invece no. Questa
volta no. Questa volta serve il temperamento di Craxi a Sigonella e
Renzi deve mettere sul piatto la ripulsa della irresponsabilità
turca e, forse, chiamare il dubbio sulla possibilità che la Turchia
possa diventare politicamente europea.
La scelta a favore di Mosca ha ottime ragioni economiche e strategiche anche perché impedirebbe a Putin di pensare di dover reagire da solo all’offesa di Erdogan. Fra le altre ragioni c’è anche quella che la Russia è la più coerente sul campo contro l’Isis. Soprattutto è un interlocutore mondiale che non può essere svillaneggiato dal doppiogiochista di Ankara.
Un premier italiano con gli attributi farebbe un discorso chiaro alla Turchia incentrato sulla necessità che dia prove vere di combattimento anti-Isis e che nessuna sua scelta provocatoriamente rivolta contro laSERVE UN PREMIER CON GLI ATTRIBUTI. Russia potrà mai trovare nella Nato il voto favorevole dell’Italia persino violando il trattato di comune solidarietà.
Se gli americani non sono convinti, pazienza. Forse se un alleato importante sa parlare con fermezza, da statista, il linguaggio della ragione e del realismo anche Obama può misurare parole e passi.
Renzi acquisterebbe così uno status di interlocutore internazionale di prima grandezza in grado di porre l'Italia come Paese “forte” della Nato e capace di dialogare con il gigante russo.
Se invece il nostro premier sceglie il balbettio, le dichiarazioni facili e anodine perché è troppo distratto dalle polemiche interne e di partito, allora il dubbio che la sicurezza italiana sia in fragili mani si estende da alcuni ministri e sottosegretari all’intero governo
La scelta a favore di Mosca ha ottime ragioni economiche e strategiche anche perché impedirebbe a Putin di pensare di dover reagire da solo all’offesa di Erdogan. Fra le altre ragioni c’è anche quella che la Russia è la più coerente sul campo contro l’Isis. Soprattutto è un interlocutore mondiale che non può essere svillaneggiato dal doppiogiochista di Ankara.
Un premier italiano con gli attributi farebbe un discorso chiaro alla Turchia incentrato sulla necessità che dia prove vere di combattimento anti-Isis e che nessuna sua scelta provocatoriamente rivolta contro laSERVE UN PREMIER CON GLI ATTRIBUTI. Russia potrà mai trovare nella Nato il voto favorevole dell’Italia persino violando il trattato di comune solidarietà.
Se gli americani non sono convinti, pazienza. Forse se un alleato importante sa parlare con fermezza, da statista, il linguaggio della ragione e del realismo anche Obama può misurare parole e passi.
Renzi acquisterebbe così uno status di interlocutore internazionale di prima grandezza in grado di porre l'Italia come Paese “forte” della Nato e capace di dialogare con il gigante russo.
Se invece il nostro premier sceglie il balbettio, le dichiarazioni facili e anodine perché è troppo distratto dalle polemiche interne e di partito, allora il dubbio che la sicurezza italiana sia in fragili mani si estende da alcuni ministri e sottosegretari all’intero governo
di
Peppino Caldarola per Lettera43.it
L’attesa è finita: il commissario Montalbano torna in tv
L’attesa è finita: il commissario Montalbano torna in tv
Due nuovi minifilm per il commissario più amato della tv con una “nuova” LiviaL’attesa è finalmente finita: stasera torna in tv “Il commissario Montalbano”. Due nuovi episodi che andranno in onda questa sera lunedì 29 febbraio e lunedì 7 marzo alle 21.20. Soltanto due film tv per questo miniciclo, con la promessa però che presto si inizierà a lavorare su nuovi adattamenti.
Le
due puntate, “Una faccenda delicata” e “La piramide di fango”,
saranno trasmesse anche in Live Streaming sul sito Rai.tv, dove
saranno poi visibili on demand dopo la prima visione.
Questa
sera è il turno dell’episodio “Una
faccenda delicata“,
interpretati come sempre da Luca Zingaretti, con la regia di Alberto
Sironi che ha firmato tutti gli episodi della ricca collezione
Palomar- Rai Fiction, tratti dai romanzi di Andrea
Camilleri.
Accanto a Salvo Montalbano, questa volta, una “nuova” Livia
interpretata da Sonia
Bergamasco.
Abbiamo
lasciato la storica fidanzata di Salvo, molto scossa per la morte di
Francois, e ora sembra tornata quella di sempre. Salvo è da lei
a Genova e Livia è davvero felice di averlo tutto per sé per
qualche giorno. Purtroppo però Montalbano riceve una chiamata dal
suo commissariato: c’è stato un omicidio e Fazio gli chiede di
tornare subito a Vigata. Anche perché del caso ha già cominciato a
occuparsene Augello, che ha imboccato però una pista d’indagine
totalmente assurda e non c’è modo di dissuaderlo. Montalbano deve
partire, Livia dovrà avere pazienza, per l’ennesima volta.
Da
L' Unità.TV
Porto Torres, dove il M5S “tiene famiglia” e ne combina di tutti i colori
Porto Torres, dove il M5S “tiene famiglia” e ne combina di tutti i colori
Nella
cittadina sarda i grillini travolti dalla spaccatura interna e dalle
polemiche
Dallo scandalo
Equitalia ai rapporti
amministrativi poco trasparenti fino
alla brutta storia dell’accusa di minacce a
danno dell’ormai ex capogruppo della maggioranza
pentastellata, Paola
Conticelli.
Nella giunta grillina di Porto
Torres,
guidata da luglio dello scorso anno dal sindacoSean
Christian Wheeler sta
succedendo di tutto.
L’ultimo
capitolo riguarda la spaccatura all’interno del M5S: in una lettera
la Conticelli spiegava le ragioni delle sue dimissioni.
Un allontanamento dettato da gravi ragioni: “Si stanno tradendo gli
impegni che abbiamo preso con i cittadini”, aveva spiegato la
capogruppo raccontando di aver ricevuto “offese personali, minacce,
gravissime ingerenze nella mia vita privata e nella mia libertà
intellettuale” e specificando di poter dimostrare quanto
denunciato.
Da
allora, ancora non sono stati chiariti i particolari, ma l’addio è
stato sicuramente al veleno. Il sindaco ha dichiarato che, comunque,
era intenzione del gruppo sfiduciarla e che sarebbe doveroso per l’ex
collega lasciare la carica di consigliera. Un invito non raccolto.
Anzi Paola Conticelli ha sempre dichiarato la sua volontà di essere
parte dei Cinquestelle e rilanciato le accuse: “Stiamo assistendo
ad un incredibile rovesciamento dei ruoli”; i dirigenti e i
funzionari sono “privi di indirizzo politico; i cittadini non sono
“coinvolti nelle decisioni”.
Ma
i problemi per il primo cittadino non vengono solo dalla Conticelli.
La stampa locale non ha ignorato i rapporti molto stretti
tra Marcello
Zirulia,
assessore ai Lavori pubblici, edilizia privata e urbanistica
e Antonella
Demelas,
consigliera comunale e collaboratrice di Zirulia nel suo studio
privato. Ma sono soprattutto le tempistiche dell’assunzione di
Demelas a destare dei sospetti. Il contratto
è stato firmato il 2 luglio 2015,
proprio alla vigilia dell’insediamento del nuovo consiglio
comunale. Una firma che rende accessibili per la consigliera i
rimborsi comunali previsti per le assenze della stessa Demelas dal
lavoro durante le sedute consiliari. Ad aggravare la bontà dei
rapporti c’è poi la nomina della donna come presidente della
commissione urbanistica: insomma tra i suoi compiti c’è quello di
controllare l’operato dell’ assessore, suo datore di lavoro.
Ma
questa non è stata l’unica nomina che ha fatto storcere il naso
all’opinione pubblica: le amicizie e i rapporti di affari si
mescolano, infatti, alle parentele. Capita così che Antonella
Palmas,
assessore alla pubblica istruzione, cultura, spettacolo e sport sia,
cognata del responsabile dei lavori pubblici geometra Silvio
Cambula,
già rinviato a giudizio con l’accusa di abuso d’ufficio e falso
in atto pubblico.
A
condire il tutto poi si nota un
aumento esponenziale degli incarichi di responsabile unico del
procedimento del
geometra Cambula rispetto agli anni precedenti. Tra questi viene
approvato un progetto con finanziamento regionale per la
ristrutturazione dei sei edifici scolastici comunali. Su cinque
complessi interessati l’incarico viene affidato al geometra
Cambula.
Non
solo. A dicembre con due delibere, una della giunta e l’altra
del consiglio comunale viene approvato un programma integrato
d’interventi per il recupero edilizio di opere pubbliche e edifici
privati situati nel centro storico cittadino. Fra gli otto interventi
privati ammessi al finanziamento da parte del Comune uno porta la
firma del geometra Alessandro
Pintore,
marito della consigliera Demelas. E il responsabile del procedimento,
guarda caso, è ancora il geometra Cambula.
A
dicembre la Giunta viene investita dallo scandalo
Equitalia.
Contrariamente a quanto promesso in campagna elettorale e alle
disposizioni del movimento, il recupero dei tributi pregressi viene
affidato alla società pubblica di riscossioni. La notizia diffusa da
Unità.tv provoca l’irritazione di Luigi Di Maio, il sindaco allora
scarica la responsabilità del conferimento ad Equitalia sulla
struttura tecnica e ricuce lo strappo.
Per
Sean Christian Wheeler e la giunta grillina mettere una pietra sopra
e silenziare la vicenda di Paola Conticelli e delle sue gravi accuse
sarà di sicuro molto più complicato.
Assicurazioni stradali: trucchi, bugie e ritardi. Ecco perché in Italia l'assicurato non vince mai
Assicurazioni
stradali: trucchi, bugie
e ritardi. Ecco perché in Italia
l'assicurato non vince mai
di
Elisabetta Ambrosi pe L' Espresso.it
Calano sinistri e risarcimenti, ma i costi per gli assicurati continuano ad aumentare. Un ex liquidatore che conosce il settore dall'interno ora rivela in un libro perché in caso di incidente è davvero difficile ottenere ciò che è giusto. Con qualche consiglio per non farsi fregare dai colossi del settore
Da
un lato calano sinistri e risarcimenti. Dall’altro aumentano i
costi per gli assicurati (più 245 per cento dagli anni Novanta, più
21 per cento solo nel 2014, più 10 per cento fino alla metà del
2015). Come spiegare questo dato in apparenza contraddittorio, così
come il fatto che il settore assicurativo in questi anni difficili, e
nonostante le continue proteste da parte delle assicurazioni sulle
presunte truffe, non abbia dato segnali di crisi (anzi, può vantare
un utile che nel 2013 ha superato i 5 miliardi di euro)?
Semplice:
grazie a un’abissale differenza tra quanto promesso in suadenti
spot di assicurazioni che invadono treni, autobus, metropolitane e la
triste verità dei risarcimenti effettivi. È proprio di questa
verità che parla l’acceso pamphlet Assicurazioni a delinquere,
appena uscito per Chiare Lettere. L’autore, Massimo Quezel, è ex
liquidatore che proprio in seguito ad un incidente ha deciso di
aprire una propria rete di studi di infortunistica , cioè di studi
professionali che si occupano di gestire tutto il percorso successivo
ad un incidente, con lo scopo di garantire il giusto risarcimento
dalla compagnia assicurativa.
Perché
a vederla da vicino la realtà italiana del mondo delle assicurazioni
è soprattutto questa: trucchi, bugie e ritardi ingiustificati sono
all’ordine del giorno, mentre otto volte su dieci le compagnie non
riconoscono in prima battuta il giusto risarcimento al cliente, anche
a fronte di prove e perizie dettagliate, costringendolo eventualmente
a rivolgersi a un giudice per ottenere quanto gli spetta.
Questo
accade perché nella maggior parte dei casi il cliente accetta
passivamente quanto propostogli, accontentandosi di cifre molto
inferiori rispetto a quanto dovuto per timore di cause lunghissime.
Cause che generano ansia nel danneggiato, mentre per la compagnia il
fattore tempo è determinante: più tardi paga, più guadagna. Per
dirla più brutalmente, negli ultimi anni il diktat imposto dai
grandi gruppi assicurativi ai propri liquidatori è: “Pagare il
meno possibile, se non addirittura niente, ritardare al massimo i
pagamenti, sfiancando i danneggiati e costringendoli ad accettare
proposte di risarcimento del tutto inadeguate”.
SE
LA NORMATIVA AIUTA LE LOBBY
Gli
stratagemmi delle assicurazioni per non pagare i clienti si avvalgono
anche di precise agevolazioni normative, come l’introduzione
dell’art. 32 della legge 27/2012, che prevede che anche le lesioni
di lieve entità debbano essere accertate strumentalmente (ad esempio
via tac o risonanza), aumentando i costi per i cittadini e rendendo
accessorio il parere del medico.
Anche
il “risarcimento diretto”, introdotto nell’estate del 2005 con
le lenzuolate di Bersani, si è rivelato essere l’ennesima arma
nelle mani della compagnia. Si tratta di una speciale procedura per
la liquidazione di un sinistro stradale, che obbliga il danneggiato a
richiedere il risarcimento direttamente alla propria compagnia. Ma
quella che doveva essere una protezione si rivela il suo contrario:
il cittadino si trova solo a confrontarsi con un gruppo assicurativo,
in un ristrettissimo lasso di tempo che non consente a nessuno,
compagnia a parte, di valutare se l’offerta sia congrua oppure no.
Inoltre se il sinistro “vale” di più di quanto recuperabile
dalla compagnia di chi ha la responsabilità del sinistro, la
compagnia della vittima tenderà a una corsa al ribasso, per non
spendere di più e se possibile guadagnarci.
Nei
contratti assicurativi si nascondono poi clausole di ogni tipo,
spesso difficilmente riconoscibili per l’assicurato. Una delle più
subdole prevede il cosiddetto “risarcimento in forma specifica”,
l’obbligo di far riparare il veicolo incidentato presso
un’autofficina convenzionata con la compagnia stessa, con un
esborso ovviamente maggiore per gli assicurati (nel corso del 2015
questo tipo di risarcimento era stato inserito nel disegno di legge
“Concorrenza”, ma per fortuna la norma, che sarebbe stata una
pacchia per le lobby, non è mai passata).
L’altro
cavallo di battaglia utilizzato dalle compagnie per aumentare le
polizze e diminuire i risarcimenti è la lamentela sull’incremento
esponenziale delle truffe a loro carico, un pretesto che, ad esempio,
ha falcidiato i rimborsi a lesioni come il colpo di frusta. La
verità, scrive l’autore, è che se lo volessero le compagnie
avrebbero a disposizione sistemi di controllo talmente avanzati da
fare piazza pulita dei veri furbi. Peccato che non abbiano alcun
interesse a fermare questa tendenza, che consente loro di tenere alti
i premi assicurativi. In ogni caso basta citare un dato per capire
l’inesistenza del problema: secondo la stessa Ania le denunce
complessive presentate sono state circa 7.007, lo 0,2 per cento dei
sinistri totali. Una percentuale minuscola, che parla da sé.
CONTROLLORI CHE NON CONTROLLANO
E che succede quando un veicolo non assicurato provoca un incidente o quando si viene investiti da un pirata della strada? Entra in gioco il cosiddetto “Fondo di garanzia”. Il fondo è gestito dalla Consap, controllata dal ministero dell’Economia, e alimentata con soldi pubblici. Il problema è che la Consap demanda ogni volta la gestione regionale della riserva a uno specifico gruppo assicurativo, che di conseguenza agisce con i meccanismi usuali, con la conseguente difficoltà a ottenere quanto dovuto.
Nel
frattempo i costi delle assicurazioni hanno raggiunto livelli
talmente elevati da non consentire a tutti la possibilità di
accedervi, come invece sarebbero tenute a fare le compagnie secondo
all’articolo 132 del Codice delle assicurazioni, che prevede un
“obbligo a contrarre”: come chi possiede un auto è costretto a
stipulare una polizza, così le assicurazioni devono consentire a
chiunque di poter godere del servizio. Così non è, tanto che
l’Italia ha la maglia nera dei veicoli non assicurati a causa dei
premi troppo alti (1250 euro di media contro la metà per gli altri
paesi europei) .
Ma
non c’è una forma di controllo sulle assicurazioni? Sì, anche se
nessuno ne conosce l’esistenza: è un organo di vigilanza sulle
assicurazioni che si chiama Ivass (il cui presidente è il direttore
generale di Bankitalia) e che ha tra i suoi compiti quello di
verificare il comportamento delle varie società nei confronti dei
clienti e stabilire sanzioni salate in caso di comportamenti
scorretti. Quasi tutte le compagnie sono state sanzionate (solo nel
2014 sono state inflitte multe da oltre 23 milioni di euro). Eppure a
loro conviene collezionare multe, spesso più sostenibili di quelle
inflitte ai semplici agenti, piuttosto che comportarsi correttamente;
basta un aumento dei costi delle polizze per farci rientrare anche le
sanzioni.
La
verità, conclude l’autore, è che in questi anni c’è stata la
sistematica riduzione dei diritti di chi ha la sventura di incappare
in un incidente stradale: punteggi di invalidità permanente più
bassi, tabelle di calcolo del danno biologico più favorevoli alle
compagnie, graduale erosione di un decoroso ristoro dei microdanni.
Sullo sfondo, le nuove tabelle unificate delle macrolesioni che
“infliggeranno il colpo mortale a un intero settore”. Resta solo
la giustizia a tutelare i cittadini, con sentenze che danno ragione
quasi sempre all’assicurato rispetto alla compagnia. Se si ha la
pazienza di aspettare anni, quando non decenni.
La crociata del Fatto contro l’airbus di Renzi. Arruolato un-ricercatore-uno
La crociata del Fatto contro l’airbus di Renzi. Arruolato un-ricercatore-uno
Paradossale
teoria di un certo Barison: niente aerei di Stato per favorire i più
poveri
Da
settimane, lo sappiamo, il Fatto conduce un’eroica battaglia contro
il nuovo aereo di Stato, colpevole di essere troppo grande,
troppo bello (c’è anche il wifi, pensate un po’!)
e, soprattutto, troppo renziano.
Il
presidente del Consiglio è infatti autorizzato a recarsi all’estero
– al momento Travaglio non sembra sollevare obiezioni su questo
punto -, purchè non pretenda di scimmiottare gli altri capi di
governo, i quali viaggiano su aerei di Stato con l’unico
obiettivo di fare un dispetto al Fatto.
“Air
Force Renzi, ecco i misteri. I ricercatori: I soldi dateli a noi” è
il titolo che compare oggi in prima pagina, e più dei misteri,
che sul Fatto non mancano mai e di misterioso hanno soltanto il
motivo per cui sono considerati “misteri”, ci hanno incuriosito i
ricercatori: d’accordo, la ricerca in Italia è da sempre una
Cenerentola, ma possibile che per rilanciarla sia necessario far
viaggiare il premier in autostop?
I
“ricercatori” citati nel titolo non sono un sindacato e neppure
un gruppo di amici o un dopolavoro, ma un singolo: tal Barison
Marcello, “filosofo”, oggi impiegato a Chicago.
Diversamente
da quanto indicato nel titolo di prima pagina, Barison i soldi non li
vuole per sè ma – dev’essere proprio un tesoro di ragazzo –
per “coloro che vivono sotto la soglia di povertà, cioè
quasi otto milioni di persone”. Che diventerebbero di colpo
benestanti se “Renzi e la sua cricca” rinunciassero
all’aereo.
Tanto
più che, aggiunge il filosofo, “i suoi continui viaggi
servono a creare l’illusione di essere qualcuno, di avere un ruolo
internazionale che nei fatti non esiste”. E se lo dice Barison
Marcello, che sta a Chicago, dev’essere per forza vero.
Renzi
non è nessuno, ma Barison Marcello è qualcuno, e per dimostrarlo
mette in fila una di quelle gioiose sequenze di parole che da
ormai mezzo secolo qualsiasi studente fuoricorso di sinistra è
in grado di generare a qualsiasi ora del giorno e della notte a
proposito di chiunque e qualsiasi cosa. Sentite come suona
originale e inatteso, questo Debord per sciampiste: “Il premier,
vivendo in un universo parallelo, ha in mente solo la celebrazione
del proprio feticcio. E’ l’oscena indifferenza del potere
che narcisisticamente celebra se stesso”.
E
se lo dice Barison Marcello, che sta a Chicago, dev’essere per
forza vero.
Di
Fabrizio Rondolino per L' Unità.TV
Maxi stipendi ed extra nelle Regioni: così gli enti aggirano i tetti
Maxi stipendi ed extra nelle Regioni: così gli enti aggirano i tetti
Cosa
possono avere in comune Martha Stocker, assessore Svp della provincia
di Bolzano e Rosario Crocetta, presidente di area Pd della Regione
Sicilia? Niente. A parte il vizietto tutto italiano di strapagare i
propri dirigenti amministrativi o delle società partecipate
aggirando alla grande, in nome degli statuti speciali, la legge che
dal 2014 impone il tetto di 240.000 euro lordi ai compensi annuali
dei burocrati più importanti oltre ad altri due tetti di 192.000 e
120.000 euro per i dirigenti di prima e seconda fascia. La gabbatura
più clamorosa della legge arriva da dove non te l’aspetti, ovvero
dal Nord più profondo. La provincia di Bolzano, infatti, nelle
scorse settimane ha cercato di imporre il tetto di 240.000 euro a
partire dal 2016. Ma la proposta ha suscitato una sorprendete rivolta
di massa. Già perché si è scoperto che nel settore sanitario della
Provincia più a Nord d’Italia vengono pagati ben 51 stipendi
superiori a 240.000 euro che - va ricordato - è il compenso previsto
per il capo dello Stato. Possibile che in una Provincia con appena
510.000 abitanti la Asl paghi così tanto i suoi manager? Possibile.
Perché a loro si affiancano fior di primari che hanno minacciato di
fare in massa le valigie. Risultato: la Provincia di Bolzano ha
deciso, sì, di imporre un tetto ai suoi dirigenti pubblici ma
rialzandolo del 20% rispetto a quello ”italiano”. Siamo a quota
288.000 euro. Nella stratosfera dell’innocuità.
UN FILM TRAGICOMICO Il secondo episodio della commedia all’italiana chiamata ”tetto agli stipendi pubblici”, si svolge mille chilometri più a Sud, nella Sicilia guidata da Rosaio Crocetta. Qui la sceneggiatura tocca ineguagliabili vette tragicomiche che si incrociano con le raffinatissime menti della tradizione sicula. Ecco quanto è accaduto la settimana scorsa: il governo Crocetta propone di imporre un tetto di 118.000 euro agli stipendi dei manager dell’esercito di aziende partecipate dalla Regione. In Commissione, però, e sfruttando il voto segreto, gli astutissimi parlamentari regionali approvano un emendamento dei 5Stelle che taglia il tetto a meno di 75.000 euro, totalmente fuori mercato. Anche qui scoppia un’iradiddio di polemiche. E così Crocetta cancella tutti i tetti, il suo e quello approvato a voto segreto. Nulla cambia, dunque. Ma sono tutti contenti: Crocetta e il Pd possono dire d’averci provato; i 5Stelle esultano per la propria purezza rivoluzionaria; l’opposizione di centro-destra può criticare il governo regionale per la mancanza di risultati; i manager della partecipate della Trinacria continuano a guadagnare come prima.
UN FILM TRAGICOMICO Il secondo episodio della commedia all’italiana chiamata ”tetto agli stipendi pubblici”, si svolge mille chilometri più a Sud, nella Sicilia guidata da Rosaio Crocetta. Qui la sceneggiatura tocca ineguagliabili vette tragicomiche che si incrociano con le raffinatissime menti della tradizione sicula. Ecco quanto è accaduto la settimana scorsa: il governo Crocetta propone di imporre un tetto di 118.000 euro agli stipendi dei manager dell’esercito di aziende partecipate dalla Regione. In Commissione, però, e sfruttando il voto segreto, gli astutissimi parlamentari regionali approvano un emendamento dei 5Stelle che taglia il tetto a meno di 75.000 euro, totalmente fuori mercato. Anche qui scoppia un’iradiddio di polemiche. E così Crocetta cancella tutti i tetti, il suo e quello approvato a voto segreto. Nulla cambia, dunque. Ma sono tutti contenti: Crocetta e il Pd possono dire d’averci provato; i 5Stelle esultano per la propria purezza rivoluzionaria; l’opposizione di centro-destra può criticare il governo regionale per la mancanza di risultati; i manager della partecipate della Trinacria continuano a guadagnare come prima.
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Un doodle di Google per festeggiare il 29 febbraio dell'anno bisestile
Un doodle di Google per festeggiare il 29 febbraio dell'anno bisestile
E c'è chi lancia un sondaggio per sapere cosa si farà con questa giornata in più
Quante
volte abbiamo detto: 'Non ho tempo' o 'Se solo la giornata fosse
fatta di 36 ore...'. Il 2016 sembra rispondere a questa esigenza: ci
regala un giorno in più, il 29 febbraio.
Per
utilizzare al meglio le 24 ore "extra" dell'anno
bisestile, Amani Institute (definita una delle 10 migliori "School
for life" che stanno cambiando il paradigma dell'istruzione) e
la no profit iLEAP hanno lanciato una proposta: sfruttare questo
tempo per riflettere sui propri valori e su come riportarli nel
lavoro che abbiamo scelto. Sto facendo quello in cui credo? Sono
felice? Il mio lavoro rispecchia ciò in cui credo? Su cosa sto
basando la mia vita? Sono le domande lanciate dalla campagna #24more,
che invita i lavoratori di tutto il mondo a trasformare il 29
febbraio in un momento di riflessione e consapevolezza: un'occasione
per smettere una volta tanto di correre e soffermarsi su quello che
si sta facendo.
Da
Ansa.it
MOSCA Infermiera per strada con la testa di un bambino
MOSCA
Infermiera per strada
con
la testa di un bambino
Caminava
gridando “Allah akbar», Dio è grande, vicino a
Un’infermiera,
di 39 anni, è stata arrestata con l’accusa di omicidio nei pressi
della alla stazione della metropolitana Oktiabriskoie Pole di Mosca,
zona semi-centrale della capitale. La donna brandiva la testa mozzata
di un bambino e urlava «Allah akbar», Dio è grande. La stazione è
stata circondata dalla polizia. Lo riporta il quotidiano Rbk.
Nel
quartiere era stato trovato in precedenza il corpo di un bambino
senza testa in un appartamento devastato dal fuoco. Dalle prima
ricostruzioni sembra che l’infermiera fosse la tata del bambino. La
donna, forse colta da un raputs, ha prima ucciso il piccolo e poi
dato fuoco all’appartamento.
Da
La Stampa.it
A Salerno Grillini verso la scissione: due liste, si decide a Roma
A Salerno Grillini verso la scissione: due liste, si decide a Roma
di
Giovanna Di Giorgio
per IL Mattino.it
SALERNO
- I dati certi al momento sono due. E appaiono in netto contrasto tra
loro. Il primo dato è che Oreste Agosto è il vincitore
dell’election day di febbraio per la scelta del candidato sindaco
del M5S. Il secondo dato è che dei 33 candidabili consiglieri votati
dagli attivisti lo scorso novembre, in 15 hanno ufficializzato la
loro ritirata e altri starebbero per lasciare. Due fatti, dunque, che
dicono una sola verità: la spaccatura del gruppo sembra insanabile.
E l’ipotesi che i grillini si avviino verso le due liste è dietro
l’angolo. A confermarlo, la lettera di ieri di Francesco Virtuoso.
Dopo le sei defezioni delle scorse settimane, sono stati altri nove
gli aspiranti consiglieri che hanno deciso di rinunciare alla
candidatura. Si tratta della maggior parte di coloro che hanno
firmato una mozione di sfiducia per chiedere ad Agosto di fare un
passo indietro: Virtuoso, che già aveva rinunciato mesi fa a
proporre la sua candidatura come sindaco, Nicola Vernieri, Alberto
Basso, Fabio Paolucci, Massimo Lauria, Emanuele Laurino, Francesca
Severino, Vincenzo Coppola. A questi otto si è aggiunta ieri anche
Anna Nisivoccia. E altri ancora ci starebbero pensando. Alla base
della loro scelta, la volontà di non far parte di un gruppo
capeggiato dall’avvocato anti Crescent. In lui, infatti, hanno
perso la fiducia per i comportamenti contrari ai principi del M5S di
cui si sarebbe macchiato: influenzare il voto con telefonate tese non
solo a screditare il competitor Nicola Provenza, ma anche fatte per
«caldeggiare una sua diretta designazione bypassando il voto del 7
febbraio». Comportamenti, questi, che, se provati, andrebbero contro
i principi del Non Statuto. Che, all’articolo 7, recita:
«Pubbliche, trasparenti e non mediate saranno le discussioni
inerenti tali candidature».
L'esercizio fisico protegge dal tumore grazie all'adrenalina
L'esercizio fisico protegge dal tumore grazie all'adrenalina
di
VALERIA PINI per
RepubblicaSalute.it
Lo
sostiene una ricerca dell'Università di Copenhagen sui topi. Meno
casi e prognosi migliore. Effetto positivo anche in caso di attacchi
cardiaci
POTREBBE
essere l'adrenalina il segreto dell'effetto protettivo dell'attività
fisica nei confronti del cancro. Lo afferma uno studio, per ora solo
sui topi, pubblicato da Cell
Metabolism,
il primo a indagare sui meccanismi molecolari di questo fenomeno.
Secondo studi precedenti, chi fa regolare esercizio fisico ha sia una
minore probabilità di avere un cancro che una maggiore
sopravvivenza.
Diversi studi in passato hanno messo in relazione lo sport e l'insorgenza di tumori. I ricercatori dell'università di Copenhagen hanno impiantato cellule di melanoma in due gruppi di topi, uno con nella gabbia delle ruote, mentre l'altro senza possibilità di fare esercizio. Gli animali del primo gruppo dopo un mese hanno avuto molti meno tumori e anche meno metastasi. Dalle analisi del sangue è emerso che nei corridori c'era un maggior tasso di adrenalina, di una molecola chiamata interleuchina 6 e di un componente del sistema immunitario. Un esperimento successivo ha stabilito che è proprio l'adrenalina la principale responsabile della protezione, perché con la sua presenza favorisce la formazione delle altre due molecole.
"Con questi risultati dimostriamo che i topi che fanno esercizio fisico hanno visto una riduzione del cancro - spiga Pernille Hojman, ricercatrice dell'università di Copenhagen - . Ma i topi non sono persone ed è impossibile dire se il meccanismo si applica anche all'uomo, anche se è noto che l'esercizio, specialmente quello moderatamente intenso, aumenta la produzione di adrenalina". Oltre che a proteggere parzialmente dal cancro, l'esercizio sembra avere un effetto benefico anche sugli attacchi cardiaci. Secondo un altro studio pubblicato dall'American Journal of Medicine, il rischio di depressione, che è triplo negli infartuati rispetto a chi non ha avuto attacchi, è dimezzato nelle persone atletiche, e cala anche se si inizia a fare sport dopo l'evento.
Del ruolo che l'attività fisica avrebbe nei confronti dei tumori si parla da tempo. Va detto che alcuni tipi di cancro sono sensibili agli effetti del movimento, che ne riduce l'incidenza. La relazione diretta è stata dimostrata per il cancro del colon, dell'endometrio e del seno, mentre per altri, come quello della prostata, i dati non sono ancora sufficienti per trarre conclusioni definitive. Va detto però, com ricorda l'Airc, che il meccanismo per cui lo sport esercita un'azione anticancro non è ancora del tutto chiaro per alcuni tumori. Va ricordato che l'esercizio è utile per la prevenzione delle malattie cardiovascolari e per evitare l'osteoporosi.
Diversi studi in passato hanno messo in relazione lo sport e l'insorgenza di tumori. I ricercatori dell'università di Copenhagen hanno impiantato cellule di melanoma in due gruppi di topi, uno con nella gabbia delle ruote, mentre l'altro senza possibilità di fare esercizio. Gli animali del primo gruppo dopo un mese hanno avuto molti meno tumori e anche meno metastasi. Dalle analisi del sangue è emerso che nei corridori c'era un maggior tasso di adrenalina, di una molecola chiamata interleuchina 6 e di un componente del sistema immunitario. Un esperimento successivo ha stabilito che è proprio l'adrenalina la principale responsabile della protezione, perché con la sua presenza favorisce la formazione delle altre due molecole.
"Con questi risultati dimostriamo che i topi che fanno esercizio fisico hanno visto una riduzione del cancro - spiga Pernille Hojman, ricercatrice dell'università di Copenhagen - . Ma i topi non sono persone ed è impossibile dire se il meccanismo si applica anche all'uomo, anche se è noto che l'esercizio, specialmente quello moderatamente intenso, aumenta la produzione di adrenalina". Oltre che a proteggere parzialmente dal cancro, l'esercizio sembra avere un effetto benefico anche sugli attacchi cardiaci. Secondo un altro studio pubblicato dall'American Journal of Medicine, il rischio di depressione, che è triplo negli infartuati rispetto a chi non ha avuto attacchi, è dimezzato nelle persone atletiche, e cala anche se si inizia a fare sport dopo l'evento.
Del ruolo che l'attività fisica avrebbe nei confronti dei tumori si parla da tempo. Va detto che alcuni tipi di cancro sono sensibili agli effetti del movimento, che ne riduce l'incidenza. La relazione diretta è stata dimostrata per il cancro del colon, dell'endometrio e del seno, mentre per altri, come quello della prostata, i dati non sono ancora sufficienti per trarre conclusioni definitive. Va detto però, com ricorda l'Airc, che il meccanismo per cui lo sport esercita un'azione anticancro non è ancora del tutto chiaro per alcuni tumori. Va ricordato che l'esercizio è utile per la prevenzione delle malattie cardiovascolari e per evitare l'osteoporosi.
Bilancio Expo, i conti tornano. C'è il rebus dello smantellamento
Bilancio Expo, i conti tornano. C'è il rebus dello smantellamento
I
numeri dell'Esposizione. Il 2015 chiuso con un patrimonio netto
attivo di 14,2 milioni. Il nodo dei 48 milioni del 2016
di
Giovanni Pons per Repubblica.it
MILANO -
Per stabilire se l'Expo sia stata un successo non basta guardare il
dato puntuale della vendita di biglietti da maggio a ottobre 2015,
pari a 21,4 milioni. Occorre analizzare i dati di bilancio e a questi
affiancare l'impatto dell'evento sull'economia italiana, assai
difficile da quantificare (la Camera di Commercio di Milano ha
commissionato uno studio alla Bocconi su questo tema). Dalla
relazione che il consiglio di amministrazione di Expo ha presentato
all'assemblea si possono trarre giudizi importanti sulla gestione
affidata all'amministratore delegato Beppe Sala, ora candidato
sindaco di Milano per il centrosinistra alle prossime
Comunali.
Sala ha portato come elemento probante della sua buona gestione il fatto che la società prevede di chiudere l'esercizio 2015 con un patrimonio netto positivo di 14,2 milioni, dopo aver realizzato lo scopo per cui era stata costituita nel 2008 da Stato, Regione Lombardia, Comune di Milano, Provincia di Milano e Camera di Commercio. In parole povere Sala non ha speso tutti i 1.241 milioni di euro che gli sono arrivati dai soci per costruire il sito e realizzare l'Esposizione, ma ha avanzato 14,2 milioni. E ciò è stato possibile perché nel novembre 2011 ha rivisto il piano di investimenti tagliandolo di 300 milioni. "Qualitativamente hanno realizzato un progetto difficile, la mission era non spendere più di quanto gli è stato dato - conferma Marco Greco, analista indipendente con alle spalle 11 anni a capo dell'ufficio studi di Mediobanca - Nel periodo 2009-2015 la società ha realizzato investimenti per 968,2 milioni, accumulato perdite per 110,8 milioni a fronte di 1.093 milioni entrati sotto forma di contributi e capitale sociale. L'avanzo è di 14,2 anche se forse si poteva fare di più nella vendita dei biglietti avvenuta sotto prezzo".
Dunque al momento non ci sono buchi di bilancio anche se il conto economico del 2015 si chiuderà con una perdita di 32,6 milioni, contrariamente al budget approvato il 19 marzo 2015 che prevedeva "un utile d'esercizio significativo, derivante da ricavi stimati di vendita dei biglietti per il semestre espositivo che è atteso tale da consentire la copertura delle perdite di gestione dei precedenti esercizi". Come mai il budget 2015 è stato disatteso? Probabilmente perché, al fine di portare più visitatori a Milano, si sono venduti biglietti sotto prezzo, soprattutto nelle ore serali. L'incasso medio per biglietto è stato infatti di 17,4 euro, ben sotto il prezzo standard che era compreso tra 32 e 39 euro. Ma anche perché, come lo stesso Sala evidenzia nella sua relazione, sono emerse spese impreviste e contributi non versati. In totale sono mancati 102,2 milioni tra i 58,6 milioni che la Camera di Commercio di Milano non ritiene di dover versare, 7,4 milioni di mancato contributo dalla Provincia, 14,1 milioni di spese in più per la sicurezza imposta dopo gli attentati terroristici internazionali e 15 milioni per la costruzione dei parcheggi che Expo si è dovuta accollare. È chiaro che senza questi imprevisti il conto economico 2015 avrebbe chiuso in attivo e si sarebbero potuti coprire i costi del post Expo e anche distribuire dividendi ai soci. Ma proprio questa mancanza di fondi ha innescato una discussione, non ancora risolta, sulla gestione del dopo Expo.
È lo stesso cda che chiede ai soci di chiarire se l'oggetto sociale della Expo spa sia da considerarsi concluso con la fine dell'evento o, come sostiene il collegio sindacale con parere del magistrato della Corte dei Conti, quando terminerà l'attività del "dismantling" dei padiglioni dei Paesi partecipanti, cioè a giugno quando si dovrà consegnare il sito alla società Arexpo, proprietaria dei terreni. Per l'attività di questi sei mesi il budget di spesa preventivato è di 58 milioni e non è ancora chiaro chi se ne dovrà far carico. Sala, forte anche di un parere dell'Anac di Raffaele Cantone, tende a dire che la sua gestione si è chiusa il 31 dicembre 2015 (ha già dato le dimissioni), e che l'attività che Expo sta svolgendo rappresenta un anticipo ad Arexpo per il futuro del sito. Ma l'assemblea, in maniera pilatesca, non ha chiarito la controversia. Da una parte ha messo in liquidazione la società segnando quindi una discontinuità rispetto al 31 dicembre, ma allo stesso tempo "ha autorizzato l'esercizio provvisorio dell'impresa ivi compresa l'attività derivante dagli impegni già assunti o in fase di perfezionamento" con il fine della conservazione del valore dell'azienda. A ciò si è aggiunta l'iniziativa del Fast post Expo, fortemente voluta da Roberto Maroni, che prevede di riaprire alcune parti del sito di Rho a maggio per ospitare la Triennale del Design.
Questa confusione non può che riflettersi nella situazione finanziaria di Expo spa che a fine giugno si prevede abbia cassa negativa per 88,4 milioni, senza contare l'attività di smantellamento ma tenendo in conto la liquidazione di tutto il personale. Deve però incassare 86 milioni da Arexpo per il valore residuo delle opere e pagare una serie di fornitori. Per chiudere il tutto in bonis i soci Expo saranno chiamati a breve a versare 48 milioni aggiuntivi. Se questi 48 milioni in più si devono accollare alla gestione Sala allora il bilancio finale dell'evento non potrà più essere considerato a patrimonio netto positivo. Se invece sono da considerarsi degli anticipi sull'attività futura, allora Sala potrà continuare a rivendicare l'esito economicamente positivo dell'evento.
Sala ha portato come elemento probante della sua buona gestione il fatto che la società prevede di chiudere l'esercizio 2015 con un patrimonio netto positivo di 14,2 milioni, dopo aver realizzato lo scopo per cui era stata costituita nel 2008 da Stato, Regione Lombardia, Comune di Milano, Provincia di Milano e Camera di Commercio. In parole povere Sala non ha speso tutti i 1.241 milioni di euro che gli sono arrivati dai soci per costruire il sito e realizzare l'Esposizione, ma ha avanzato 14,2 milioni. E ciò è stato possibile perché nel novembre 2011 ha rivisto il piano di investimenti tagliandolo di 300 milioni. "Qualitativamente hanno realizzato un progetto difficile, la mission era non spendere più di quanto gli è stato dato - conferma Marco Greco, analista indipendente con alle spalle 11 anni a capo dell'ufficio studi di Mediobanca - Nel periodo 2009-2015 la società ha realizzato investimenti per 968,2 milioni, accumulato perdite per 110,8 milioni a fronte di 1.093 milioni entrati sotto forma di contributi e capitale sociale. L'avanzo è di 14,2 anche se forse si poteva fare di più nella vendita dei biglietti avvenuta sotto prezzo".
Dunque al momento non ci sono buchi di bilancio anche se il conto economico del 2015 si chiuderà con una perdita di 32,6 milioni, contrariamente al budget approvato il 19 marzo 2015 che prevedeva "un utile d'esercizio significativo, derivante da ricavi stimati di vendita dei biglietti per il semestre espositivo che è atteso tale da consentire la copertura delle perdite di gestione dei precedenti esercizi". Come mai il budget 2015 è stato disatteso? Probabilmente perché, al fine di portare più visitatori a Milano, si sono venduti biglietti sotto prezzo, soprattutto nelle ore serali. L'incasso medio per biglietto è stato infatti di 17,4 euro, ben sotto il prezzo standard che era compreso tra 32 e 39 euro. Ma anche perché, come lo stesso Sala evidenzia nella sua relazione, sono emerse spese impreviste e contributi non versati. In totale sono mancati 102,2 milioni tra i 58,6 milioni che la Camera di Commercio di Milano non ritiene di dover versare, 7,4 milioni di mancato contributo dalla Provincia, 14,1 milioni di spese in più per la sicurezza imposta dopo gli attentati terroristici internazionali e 15 milioni per la costruzione dei parcheggi che Expo si è dovuta accollare. È chiaro che senza questi imprevisti il conto economico 2015 avrebbe chiuso in attivo e si sarebbero potuti coprire i costi del post Expo e anche distribuire dividendi ai soci. Ma proprio questa mancanza di fondi ha innescato una discussione, non ancora risolta, sulla gestione del dopo Expo.
È lo stesso cda che chiede ai soci di chiarire se l'oggetto sociale della Expo spa sia da considerarsi concluso con la fine dell'evento o, come sostiene il collegio sindacale con parere del magistrato della Corte dei Conti, quando terminerà l'attività del "dismantling" dei padiglioni dei Paesi partecipanti, cioè a giugno quando si dovrà consegnare il sito alla società Arexpo, proprietaria dei terreni. Per l'attività di questi sei mesi il budget di spesa preventivato è di 58 milioni e non è ancora chiaro chi se ne dovrà far carico. Sala, forte anche di un parere dell'Anac di Raffaele Cantone, tende a dire che la sua gestione si è chiusa il 31 dicembre 2015 (ha già dato le dimissioni), e che l'attività che Expo sta svolgendo rappresenta un anticipo ad Arexpo per il futuro del sito. Ma l'assemblea, in maniera pilatesca, non ha chiarito la controversia. Da una parte ha messo in liquidazione la società segnando quindi una discontinuità rispetto al 31 dicembre, ma allo stesso tempo "ha autorizzato l'esercizio provvisorio dell'impresa ivi compresa l'attività derivante dagli impegni già assunti o in fase di perfezionamento" con il fine della conservazione del valore dell'azienda. A ciò si è aggiunta l'iniziativa del Fast post Expo, fortemente voluta da Roberto Maroni, che prevede di riaprire alcune parti del sito di Rho a maggio per ospitare la Triennale del Design.
Questa confusione non può che riflettersi nella situazione finanziaria di Expo spa che a fine giugno si prevede abbia cassa negativa per 88,4 milioni, senza contare l'attività di smantellamento ma tenendo in conto la liquidazione di tutto il personale. Deve però incassare 86 milioni da Arexpo per il valore residuo delle opere e pagare una serie di fornitori. Per chiudere il tutto in bonis i soci Expo saranno chiamati a breve a versare 48 milioni aggiuntivi. Se questi 48 milioni in più si devono accollare alla gestione Sala allora il bilancio finale dell'evento non potrà più essere considerato a patrimonio netto positivo. Se invece sono da considerarsi degli anticipi sull'attività futura, allora Sala potrà continuare a rivendicare l'esito economicamente positivo dell'evento.
28 feb 2016
Il premier: «Taglierò le tasse con o senza ok di Bruxelles»
Il
premier: «Taglierò le tasse con o senza ok di Bruxelles»
«Le
cose si stanno mettendo bene, ma il prossimo anno servirà uno
scontone...». A palazzo Chigi, nel day after del pranzo della pace
tra Matteo Renzi e Jean-Claude Juncker, già guardano oltre. Tirano
fuori dal cassetto il piano per tagliare le tasse nei prossimi due
anni: l’Ires, l’imposta sui redditi delle società, ridotta dal
27,5% al 24% nel 2017. E la riforma dell’Irpef l’anno successivo,
riducendo le aliquote e alzando la base imponibile dello scaglione
sul quale si applica il prelievo del 38%: «Ci sono troppe storture
che penalizzano la classe media, a chi ha 29mila euro di reddito è
folle far pagare il 38% di tasse», dice uno dei consiglieri
economici, «ma per sforbiciare Ires e Irpef servono tanti soldi. Per
fortuna dopo anni di recessione il vento è girato, in Europa ora si
parla di crescita e meno di austerità». Che il clima sia cambiato,
Renzi l’ha potuto costatare di persona venerdì durante l’incontro
con Juncker. Dopo tre lunghi mesi di liti e di scontri, il premier
italiano ha strappato al presidente della Commissione europea il via
libera a definire la trattativa sulla legge di stabilità e,
soprattutto, a una nuova dose di flessibilità sul deficit anche nel
2017.
di
di
Alberto Gentili
per IL Messaggero.it
Iran, i riformisti espugnano Teheran
Iran, i riformisti espugnano Teheran
La lista riformista e moderata conquista la Capitale.Dati ufficiali non prima di martedì.
Lo
spoglio deve ancora concludersi, ma a Teheran ormai è ufficiale:
i riformisti
e moderati hanno avuto la meglio sui conservatori.TEHERAN
INCORONA RAFSANJANI. Il
primo eletto nell'Assemblea degli Esperti, composta da 88 membri in
carica per otto anni che ha il compito di scegliere al suo interno la
prossima Guida Suprema nel caso Ali Khamenei muoia o si dimetta, è
infatti l'intramontabile ayatollah Akbar Hascemi Rafsajani.
Con oltre 600 mila preferenze nel collegio della capitale, torna a muovere i fili del palcoscenico politico iraniano.FALCHI UMILIATI. Non solo ha sbaragliato e umiliato gli attuali 'falchi', cioè religiosi del calibro di Ahmad Janati, presidente del Consiglio dei Guardiani (arrivato in decima posizione), o dell'ayatollah Mohammed Taqi Mesbah Yazdi, definito «l'uomo per cui il popolo non conta nulla» (arrivato 12esimo) , ma è riuscito a piazzare ben 13 uomini della sua lista sui 16 eletti nella capitale iraniana.
Con oltre 600 mila preferenze nel collegio della capitale, torna a muovere i fili del palcoscenico politico iraniano.FALCHI UMILIATI. Non solo ha sbaragliato e umiliato gli attuali 'falchi', cioè religiosi del calibro di Ahmad Janati, presidente del Consiglio dei Guardiani (arrivato in decima posizione), o dell'ayatollah Mohammed Taqi Mesbah Yazdi, definito «l'uomo per cui il popolo non conta nulla» (arrivato 12esimo) , ma è riuscito a piazzare ben 13 uomini della sua lista sui 16 eletti nella capitale iraniana.
Se
il voto nelle altre città iraniane confermerà le scelte fatte nella
capitale, si tratterebbe di una vera rivoluzione.
Finora il «club per vecchi ragazzi», come è scherzosamente chiamato data l'età media di 71 anni, è stato infatti dominato dai fondamentalisti.
L'ALLEANZA CON ROHANI. Rafsajani potrà contare sull'alleanza con il presidente Hassan Rohani, arrivato al secondo posto dietro di lui, con la differenza di una manciata di voti. Anzi, in ipotetici scenari futuri, potrebbe essere proprio il più giovane Rohani il candidato di Rafsajani per il posto di leader supremo.
Rohani e l'ex presidente Rafsanjani fanno infatti parte della stessa lista di area moderato-riformista.
L'EX ACCORDO CON KHAMENEI. Già nel 1989 alla morte di Khomeini, Rafsajani, allora politico radicale della Rivoluzione islamica, pilotò una divisione dei poteri con Khamenei.
Rafsajani divenne presidente della Repubblica, e Khamanei, nominato in tutta fretta ayatollah, fu scelto come Guida Suprema.
Il tandem si incrinò definitivamente nel 2009, quando Rafsajani, nel frattempo tornato ad essere presidente del parlamento, prese posizione in favore delle proteste della Rivoluzione Verde contro i brogli che portarono alla nuova elezione del presidente ultraconservatore e populista Ahmadinejad.
UNO SQUALO ADDOMESTICATO. Nato nel 1934 da una famiglia di coltivatori di pistacchio e considerato uno degli uomini più ricchi dell'Iran, Rafsajani si è trasformato in un moderato, pur mantenendo il soprannome di «squalo» che gli era stato affibbiato al tempo delle purghe anti-rivoluzionarie del 1981.
Eppure, subito dopo l'elezione, non ha mostrato i denti. «È finito il tempo dello scontro, ora è il momento della collaborazion», ha detto, pensando probabilmente anche al suo futuro e a quello dei suoi alleati.
La rimonta dei moderati si rispecchia anche nei risultati del voto per il parlamento. A Teheran, 1,3 milioni di elettori hanno votato per la Lista della Speranza che è riuscita a conquistare 29 seggi su 30.
Non è ancora chiaro tuttavia chi otterrà il 50% + 1 dei 290 seggi parlamentari.
DATI DEFINITIVI SOLO MARTEDÌ. Molto resta ancora nella nebbia, perché i dati ufficiali arrivano con il contagocce e per avere un quadro definitivo, ha avvertito il ministero degli Interni, bisognerà aspettare fino a martedì prossimo, quando tutti i milioni di voti deposti nei 52 mila seggi sparpagliati per il Paese saranno stati scrutinati e controfirmati dal Consiglio dei Guardiani, l'organismo giuridico-religioso che controlla l'attività parlamentare, seleziona le candidature e mette il timbro anche sui risultati di ogni voto popolare.
IPOTESI BALLOTTAGGI. E neanche allora sarà finita del tutto, in quanto in alcuni collegi elettorali nessun candidato ha raggiunto il quorum, ovvero il 25% dei voti, e sarà necessario andare al ballottaggio, previsto per fine aprile. Anche una manciata di deputati dell'ultima ora potrebbe cambiare i rapporti di forza in Parlamento.
Allo stesso modo non sono ancora ufficiali i dati relativi all'affluenza. Le prime rilevazioni parlano di almeno 33 milioni di iraniani andati alle urne, il 60% degli aventi diritto. La cifra però si riferisce a 40 mila seggi su 52 mila.
La percentuale al momento sarebbe di poco inferiore al 62% delle elezioni del 2012, quando i riformisti avevano invitato la popolazione al boicottaggio in seguito alla repressione sanguinosa della Rivoluzione verde del 2009.
Finora il «club per vecchi ragazzi», come è scherzosamente chiamato data l'età media di 71 anni, è stato infatti dominato dai fondamentalisti.
L'ALLEANZA CON ROHANI. Rafsajani potrà contare sull'alleanza con il presidente Hassan Rohani, arrivato al secondo posto dietro di lui, con la differenza di una manciata di voti. Anzi, in ipotetici scenari futuri, potrebbe essere proprio il più giovane Rohani il candidato di Rafsajani per il posto di leader supremo.
Rohani e l'ex presidente Rafsanjani fanno infatti parte della stessa lista di area moderato-riformista.
L'EX ACCORDO CON KHAMENEI. Già nel 1989 alla morte di Khomeini, Rafsajani, allora politico radicale della Rivoluzione islamica, pilotò una divisione dei poteri con Khamenei.
Rafsajani divenne presidente della Repubblica, e Khamanei, nominato in tutta fretta ayatollah, fu scelto come Guida Suprema.
Il tandem si incrinò definitivamente nel 2009, quando Rafsajani, nel frattempo tornato ad essere presidente del parlamento, prese posizione in favore delle proteste della Rivoluzione Verde contro i brogli che portarono alla nuova elezione del presidente ultraconservatore e populista Ahmadinejad.
UNO SQUALO ADDOMESTICATO. Nato nel 1934 da una famiglia di coltivatori di pistacchio e considerato uno degli uomini più ricchi dell'Iran, Rafsajani si è trasformato in un moderato, pur mantenendo il soprannome di «squalo» che gli era stato affibbiato al tempo delle purghe anti-rivoluzionarie del 1981.
Eppure, subito dopo l'elezione, non ha mostrato i denti. «È finito il tempo dello scontro, ora è il momento della collaborazion», ha detto, pensando probabilmente anche al suo futuro e a quello dei suoi alleati.
La rimonta dei moderati si rispecchia anche nei risultati del voto per il parlamento. A Teheran, 1,3 milioni di elettori hanno votato per la Lista della Speranza che è riuscita a conquistare 29 seggi su 30.
Non è ancora chiaro tuttavia chi otterrà il 50% + 1 dei 290 seggi parlamentari.
DATI DEFINITIVI SOLO MARTEDÌ. Molto resta ancora nella nebbia, perché i dati ufficiali arrivano con il contagocce e per avere un quadro definitivo, ha avvertito il ministero degli Interni, bisognerà aspettare fino a martedì prossimo, quando tutti i milioni di voti deposti nei 52 mila seggi sparpagliati per il Paese saranno stati scrutinati e controfirmati dal Consiglio dei Guardiani, l'organismo giuridico-religioso che controlla l'attività parlamentare, seleziona le candidature e mette il timbro anche sui risultati di ogni voto popolare.
IPOTESI BALLOTTAGGI. E neanche allora sarà finita del tutto, in quanto in alcuni collegi elettorali nessun candidato ha raggiunto il quorum, ovvero il 25% dei voti, e sarà necessario andare al ballottaggio, previsto per fine aprile. Anche una manciata di deputati dell'ultima ora potrebbe cambiare i rapporti di forza in Parlamento.
Allo stesso modo non sono ancora ufficiali i dati relativi all'affluenza. Le prime rilevazioni parlano di almeno 33 milioni di iraniani andati alle urne, il 60% degli aventi diritto. La cifra però si riferisce a 40 mila seggi su 52 mila.
La percentuale al momento sarebbe di poco inferiore al 62% delle elezioni del 2012, quando i riformisti avevano invitato la popolazione al boicottaggio in seguito alla repressione sanguinosa della Rivoluzione verde del 2009.
da
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