Assicurazioni
stradali: trucchi, bugie
e ritardi. Ecco perché in Italia
l'assicurato non vince mai
di
Elisabetta Ambrosi pe L' Espresso.it
Calano sinistri e risarcimenti, ma i costi per gli assicurati continuano ad aumentare. Un ex liquidatore che conosce il settore dall'interno ora rivela in un libro perché in caso di incidente è davvero difficile ottenere ciò che è giusto. Con qualche consiglio per non farsi fregare dai colossi del settore
Da
un lato calano sinistri e risarcimenti. Dall’altro aumentano i
costi per gli assicurati (più 245 per cento dagli anni Novanta, più
21 per cento solo nel 2014, più 10 per cento fino alla metà del
2015). Come spiegare questo dato in apparenza contraddittorio, così
come il fatto che il settore assicurativo in questi anni difficili, e
nonostante le continue proteste da parte delle assicurazioni sulle
presunte truffe, non abbia dato segnali di crisi (anzi, può vantare
un utile che nel 2013 ha superato i 5 miliardi di euro)?
Semplice:
grazie a un’abissale differenza tra quanto promesso in suadenti
spot di assicurazioni che invadono treni, autobus, metropolitane e la
triste verità dei risarcimenti effettivi. È proprio di questa
verità che parla l’acceso pamphlet Assicurazioni a delinquere,
appena uscito per Chiare Lettere. L’autore, Massimo Quezel, è ex
liquidatore che proprio in seguito ad un incidente ha deciso di
aprire una propria rete di studi di infortunistica , cioè di studi
professionali che si occupano di gestire tutto il percorso successivo
ad un incidente, con lo scopo di garantire il giusto risarcimento
dalla compagnia assicurativa.
Perché
a vederla da vicino la realtà italiana del mondo delle assicurazioni
è soprattutto questa: trucchi, bugie e ritardi ingiustificati sono
all’ordine del giorno, mentre otto volte su dieci le compagnie non
riconoscono in prima battuta il giusto risarcimento al cliente, anche
a fronte di prove e perizie dettagliate, costringendolo eventualmente
a rivolgersi a un giudice per ottenere quanto gli spetta.
Questo
accade perché nella maggior parte dei casi il cliente accetta
passivamente quanto propostogli, accontentandosi di cifre molto
inferiori rispetto a quanto dovuto per timore di cause lunghissime.
Cause che generano ansia nel danneggiato, mentre per la compagnia il
fattore tempo è determinante: più tardi paga, più guadagna. Per
dirla più brutalmente, negli ultimi anni il diktat imposto dai
grandi gruppi assicurativi ai propri liquidatori è: “Pagare il
meno possibile, se non addirittura niente, ritardare al massimo i
pagamenti, sfiancando i danneggiati e costringendoli ad accettare
proposte di risarcimento del tutto inadeguate”.
SE
LA NORMATIVA AIUTA LE LOBBY
Gli
stratagemmi delle assicurazioni per non pagare i clienti si avvalgono
anche di precise agevolazioni normative, come l’introduzione
dell’art. 32 della legge 27/2012, che prevede che anche le lesioni
di lieve entità debbano essere accertate strumentalmente (ad esempio
via tac o risonanza), aumentando i costi per i cittadini e rendendo
accessorio il parere del medico.
Anche
il “risarcimento diretto”, introdotto nell’estate del 2005 con
le lenzuolate di Bersani, si è rivelato essere l’ennesima arma
nelle mani della compagnia. Si tratta di una speciale procedura per
la liquidazione di un sinistro stradale, che obbliga il danneggiato a
richiedere il risarcimento direttamente alla propria compagnia. Ma
quella che doveva essere una protezione si rivela il suo contrario:
il cittadino si trova solo a confrontarsi con un gruppo assicurativo,
in un ristrettissimo lasso di tempo che non consente a nessuno,
compagnia a parte, di valutare se l’offerta sia congrua oppure no.
Inoltre se il sinistro “vale” di più di quanto recuperabile
dalla compagnia di chi ha la responsabilità del sinistro, la
compagnia della vittima tenderà a una corsa al ribasso, per non
spendere di più e se possibile guadagnarci.
Nei
contratti assicurativi si nascondono poi clausole di ogni tipo,
spesso difficilmente riconoscibili per l’assicurato. Una delle più
subdole prevede il cosiddetto “risarcimento in forma specifica”,
l’obbligo di far riparare il veicolo incidentato presso
un’autofficina convenzionata con la compagnia stessa, con un
esborso ovviamente maggiore per gli assicurati (nel corso del 2015
questo tipo di risarcimento era stato inserito nel disegno di legge
“Concorrenza”, ma per fortuna la norma, che sarebbe stata una
pacchia per le lobby, non è mai passata).
L’altro
cavallo di battaglia utilizzato dalle compagnie per aumentare le
polizze e diminuire i risarcimenti è la lamentela sull’incremento
esponenziale delle truffe a loro carico, un pretesto che, ad esempio,
ha falcidiato i rimborsi a lesioni come il colpo di frusta. La
verità, scrive l’autore, è che se lo volessero le compagnie
avrebbero a disposizione sistemi di controllo talmente avanzati da
fare piazza pulita dei veri furbi. Peccato che non abbiano alcun
interesse a fermare questa tendenza, che consente loro di tenere alti
i premi assicurativi. In ogni caso basta citare un dato per capire
l’inesistenza del problema: secondo la stessa Ania le denunce
complessive presentate sono state circa 7.007, lo 0,2 per cento dei
sinistri totali. Una percentuale minuscola, che parla da sé.
CONTROLLORI CHE NON CONTROLLANO
E che succede quando un veicolo non assicurato provoca un incidente o quando si viene investiti da un pirata della strada? Entra in gioco il cosiddetto “Fondo di garanzia”. Il fondo è gestito dalla Consap, controllata dal ministero dell’Economia, e alimentata con soldi pubblici. Il problema è che la Consap demanda ogni volta la gestione regionale della riserva a uno specifico gruppo assicurativo, che di conseguenza agisce con i meccanismi usuali, con la conseguente difficoltà a ottenere quanto dovuto.
Nel
frattempo i costi delle assicurazioni hanno raggiunto livelli
talmente elevati da non consentire a tutti la possibilità di
accedervi, come invece sarebbero tenute a fare le compagnie secondo
all’articolo 132 del Codice delle assicurazioni, che prevede un
“obbligo a contrarre”: come chi possiede un auto è costretto a
stipulare una polizza, così le assicurazioni devono consentire a
chiunque di poter godere del servizio. Così non è, tanto che
l’Italia ha la maglia nera dei veicoli non assicurati a causa dei
premi troppo alti (1250 euro di media contro la metà per gli altri
paesi europei) .
Ma
non c’è una forma di controllo sulle assicurazioni? Sì, anche se
nessuno ne conosce l’esistenza: è un organo di vigilanza sulle
assicurazioni che si chiama Ivass (il cui presidente è il direttore
generale di Bankitalia) e che ha tra i suoi compiti quello di
verificare il comportamento delle varie società nei confronti dei
clienti e stabilire sanzioni salate in caso di comportamenti
scorretti. Quasi tutte le compagnie sono state sanzionate (solo nel
2014 sono state inflitte multe da oltre 23 milioni di euro). Eppure a
loro conviene collezionare multe, spesso più sostenibili di quelle
inflitte ai semplici agenti, piuttosto che comportarsi correttamente;
basta un aumento dei costi delle polizze per farci rientrare anche le
sanzioni.
La
verità, conclude l’autore, è che in questi anni c’è stata la
sistematica riduzione dei diritti di chi ha la sventura di incappare
in un incidente stradale: punteggi di invalidità permanente più
bassi, tabelle di calcolo del danno biologico più favorevoli alle
compagnie, graduale erosione di un decoroso ristoro dei microdanni.
Sullo sfondo, le nuove tabelle unificate delle macrolesioni che
“infliggeranno il colpo mortale a un intero settore”. Resta solo
la giustizia a tutelare i cittadini, con sentenze che danno ragione
quasi sempre all’assicurato rispetto alla compagnia. Se si ha la
pazienza di aspettare anni, quando non decenni.
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