Caro
D’Alema, non c’è il rewind
Comunque
non sarà possibile confinare questa stagione in una anomala
parentesi
Non
so se davvero Massimo D’Alema abbia pronunciato quelle precise
parole “luciferine” o no. E non ho nessuna autorità per entrare
nel ricorrente dibattito giornalistico sull’uso dei retroscena.
Questo
pensiero, però, “buttiamo giù Renzi, chiudiamo questa parentesi,
riprendiamo da dove abbiamo lasciato”, rispecchia uno stato d’animo
che alberga, più o meno esplicitato, in una parte della sinistra. E
questo è esattamente il punto. Io credo, quale che sia il giudizio
che ciascuno può dare di Matteo Renzi e della sua leadership, che
non si potrà più tornare indietro, che non sarà possibile
confinare questa stagione in una anomala parentesi, chiusa la quale
una presunta ortodossia riprenda da dove il percorso è stato
interrotto.
La
sfida di declinare l’idea di sinistra e le modalità stesse
dell’azione politica in termini culturalmente nuovi, la cifra di
Renzi, ha inciso nel profondo, cogliendo un bisogno non sempre
compiutamente espresso ma fortemente diffuso. Cito alla rinfusa ma
l’ambizione di istituzioni, a partire dal governo, che si
confrontano con i processi di cambiamento in atto, che accettano di
esserne sollecitati e perfino contaminati ma sempre riaffermando il
ruolo centrale e primario della politica nel governarli; il
superamento di ogni tentazione di inseguire il populismo sul suo
terreno immaginando di riassorbirlo con una sorta di trattamento
omeopatico; il conflitto frontale e quotidiano per far prevalere
l’idea che la politica è capacità di riforme e cambiamento ed il
populismo difesa interessata dello status quo; la consapevolezza del
logoramento di categorie interpretative, logiche, steccati, poteri di
veto, riti, posizionamenti ed il rifiuto di considerarli colonne
d’Ercole che circoscrivono il raggio d’azione; la spinta a
misurarsi in termini innovativi nel cuore del conflitto sociale,
cercando una più attuale sintesi di opportunità bisogni merito e
diritti; la cura di un rapporto continuo con la pubblica opinione su
terreni e con modalità inedite come condizione decisiva per il
successo di un progetto politico. Ecco, da tutto questo e altro
ancora è nato un nuovo approdo, a sua volta non definitivo ma da cui
non si torna, non si potrà più tornare indietro.
Se
l’azione di governo di Renzi fosse riconducibile ad astratta
propaganda o poco più, come talvolta si tenta di sostenere,
probabilmente sarebbe possibile ma non è così.
Per
non usare il tema della riforma costituzionale, vero nostro banco di
prova, lo dico con un esempio che seguo più direttamente. Abbiamo
ereditato un paese che su digitale e connettività era ultimo in
Europa. Con la propria rete di telecomunicazioni privatizzata (per
scelta del centrosinistra). La linea scelta da Renzi e seguita dal
governo è stata quella di rendere prioritario il digitale nelle
politiche pubbliche, di investire più risorse di chiunque prima, di
realizzare un accordo statoregioni su un progetto paese, di garantire
con una avanzata rete pubblica le migliaia di comuni giudicati non
interessanti dal mercato, di rifiutare la logica di un paese a due
velocità dove il mercato decide chi ha sviluppo ed opportunità e
chi no.
Ed
esempi dello stesso segno potrei farli per molti altri temi.
Tutto
questo ha creato un rapporto nuovo, con un popolo più ampio, di
diversa provenienza culturale. Che guarda, misura, giudica, tifa,
chiede, critica. Ma che ha voglia di buttarsi in questa sfida, di
“essere costretto” ad ammettere che c’è una politica a cui si
può credere, che prova a cambiare davvero le cose, che ha il
coraggio di definirsi anche come ricerca e non sempre come verità
assoluta e dogmatica, che assume il rischio di decidere.
Per
me, che non credo affatto alla caduta di ogni distinzione tra destra
e sinistra, significa declinare il senso e la funzione della sinistra
che testimonia la propria vocazione riformatrice accettando di
ridefinirsi continuamente proprio per non perdere la propria più
profonda identità. Ed affermare secondo questa visione il ruolo
delle istituzioni nel garantire opportunità e trasformare i bisogni
in diritti.
Tutto
bene quindi? No, è una sfida difficile e non scontata quella tra
politica e populismo. E, aggiungo, non sostengo affatto che Matteo
Renzi, la nostra azione politica e di governo siano esenti da limiti
o errori.
Dico
solo che il terreno di confronto interno al Pd è questo, se il Pd
vuole cercare di identificare il proprio progetto con le esigenze del
paese e nessuna nostalgia di una presunta ortodossia culturale a cui
tornare potrà cambiare le cose. Aggiungo: per fortuna.
Non
credo di essere il solo a pensarlo: non mi sfuggono certo le
posizioni ed il lavoro di quanti, nella sinistra interna, muovendo da
posizioni critiche o anche marcatamente diverse, coltivano
legittimamente l’ambizione di batterci e di superare Matteo Renzi.
Ma su questo terreno. Non certo considerando questa stagione una
anomala parentesi.
Per
usare i versi di un artista come Jovanotti “non si può tornare
indietro. Nemmeno di un minuto. È la regola di questo gioco”.
di
Antonello Giacomelli Sottosegretario ministero Sviluppo
economico
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