18 giu 2016

Caro D’Alema, non c’è il rewind

Caro D’Alema, non c’è il rewind

Comunque non sarà possibile confinare questa stagione in una anomala parentesi


Non so se davvero Massimo D’Alema abbia pronunciato quelle precise parole “luciferine” o no. E non ho nessuna autorità per entrare nel ricorrente dibattito giornalistico sull’uso dei retroscena.


Questo pensiero, però, “buttiamo giù Renzi, chiudiamo questa parentesi, riprendiamo da dove abbiamo lasciato”, rispecchia uno stato d’animo che alberga, più o meno esplicitato, in una parte della sinistra. E questo è esattamente il punto. Io credo, quale che sia il giudizio che ciascuno può dare di Matteo Renzi e della sua leadership, che non si potrà più tornare indietro, che non sarà possibile confinare questa stagione in una anomala parentesi, chiusa la quale una presunta ortodossia riprenda da dove il percorso è stato interrotto.


La sfida di declinare l’idea di sinistra e le modalità stesse dell’azione politica in termini culturalmente nuovi, la cifra di Renzi, ha inciso nel profondo, cogliendo un bisogno non sempre compiutamente espresso ma fortemente diffuso. Cito alla rinfusa ma l’ambizione di istituzioni, a partire dal governo, che si confrontano con i processi di cambiamento in atto, che accettano di esserne sollecitati e perfino contaminati ma sempre riaffermando il ruolo centrale e primario della politica nel governarli; il superamento di ogni tentazione di inseguire il populismo sul suo terreno immaginando di riassorbirlo con una sorta di trattamento omeopatico; il conflitto frontale e quotidiano per far prevalere l’idea che la politica è capacità di riforme e cambiamento ed il populismo difesa interessata dello status quo; la consapevolezza del logoramento di categorie interpretative, logiche, steccati, poteri di veto, riti, posizionamenti ed il rifiuto di considerarli colonne d’Ercole che circoscrivono il raggio d’azione; la spinta a misurarsi in termini innovativi nel cuore del conflitto sociale, cercando una più attuale sintesi di opportunità bisogni merito e diritti; la cura di un rapporto continuo con la pubblica opinione su terreni e con modalità inedite come condizione decisiva per il successo di un progetto politico. Ecco, da tutto questo e altro ancora è nato un nuovo approdo, a sua volta non definitivo ma da cui non si torna, non si potrà più tornare indietro.


Se l’azione di governo di Renzi fosse riconducibile ad astratta propaganda o poco più, come talvolta si tenta di sostenere, probabilmente sarebbe possibile ma non è così.


Per non usare il tema della riforma costituzionale, vero nostro banco di prova, lo dico con un esempio che seguo più direttamente. Abbiamo ereditato un paese che su digitale e connettività era ultimo in Europa. Con la propria rete di telecomunicazioni privatizzata (per scelta del centrosinistra). La linea scelta da Renzi e seguita dal governo è stata quella di rendere prioritario il digitale nelle politiche pubbliche, di investire più risorse di chiunque prima, di realizzare un accordo statoregioni su un progetto paese, di garantire con una avanzata rete pubblica le migliaia di comuni giudicati non interessanti dal mercato, di rifiutare la logica di un paese a due velocità dove il mercato decide chi ha sviluppo ed opportunità e chi no.


Ed esempi dello stesso segno potrei farli per molti altri temi.


Tutto questo ha creato un rapporto nuovo, con un popolo più ampio, di diversa provenienza culturale. Che guarda, misura, giudica, tifa, chiede, critica. Ma che ha voglia di buttarsi in questa sfida, di “essere costretto” ad ammettere che c’è una politica a cui si può credere, che prova a cambiare davvero le cose, che ha il coraggio di definirsi anche come ricerca e non sempre come verità assoluta e dogmatica, che assume il rischio di decidere.


Per me, che non credo affatto alla caduta di ogni distinzione tra destra e sinistra, significa declinare il senso e la funzione della sinistra che testimonia la propria vocazione riformatrice accettando di ridefinirsi continuamente proprio per non perdere la propria più profonda identità. Ed affermare secondo questa visione il ruolo delle istituzioni nel garantire opportunità e trasformare i bisogni in diritti.


Tutto bene quindi? No, è una sfida difficile e non scontata quella tra politica e populismo. E, aggiungo, non sostengo affatto che Matteo Renzi, la nostra azione politica e di governo siano esenti da limiti o errori.


Dico solo che il terreno di confronto interno al Pd è questo, se il Pd vuole cercare di identificare il proprio progetto con le esigenze del paese e nessuna nostalgia di una presunta ortodossia culturale a cui tornare potrà cambiare le cose. Aggiungo: per fortuna.


Non credo di essere il solo a pensarlo: non mi sfuggono certo le posizioni ed il lavoro di quanti, nella sinistra interna, muovendo da posizioni critiche o anche marcatamente diverse, coltivano legittimamente l’ambizione di batterci e di superare Matteo Renzi. Ma su questo terreno. Non certo considerando questa stagione una anomala parentesi.


Per usare i versi di un artista come Jovanotti “non si può tornare indietro. Nemmeno di un minuto. È la regola di questo gioco”.


di Antonello Giacomelli Sottosegretario ministero Sviluppo economico


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