17 mag 2016

Staino: “Bobo ci aiutò ad arrivare preparati alla fine di un mondo”

Staino: “Bobo ci aiutò ad arrivare
 preparati alla fine di un mondo”

Il disegnatore toscano: “I comunisti italiani erano bella gente, fino al 1989 abbiamo retto bene. È dopo che ci siamo rovinati”
In un dibattito sugli sconvolgimenti del 1989, come quello aperto sull’Unità dal saggio di Biagio de Giovanni, non poteva mancare la voce di un militante che quella vicenda ha vissuto, raccontato e patito praticamente giorno per giorno. Anche se poi, tutto sommato, al crollo del muro di Berlino Sergio Staino ritiene di esserci arrivato relativamente “preparato”. Grazie a Bobo, naturalmente. E pensare che quando cominciò a disegnarlo aveva giurato di non occuparsi mai più di politica.


Oggi sembra impensabile: un Bobo senza politica.


Il fatto è che dopo il trauma della primavera di Praga, dopo aver visto i carri armati sovietici che spegnevano il sogno del socialismo dal volto umano, in cui tutti noi giovani comunisti di allora avevamo creduto, invece di concluderne che la strada giusta era il socialismo europeo, insieme con altri della mia generazione mi feci prendere da questa specie di centralismo burocratico all’ennesima potenza che era rappresentato dalla Cina, dall’Albania. E insomma, nel ’69 ero entrato nei marxisti-leninisti, da cui sono uscito nel ’79, dopo dieci anni spaventosi. Ne sono uscito convintamente, anche se con l’accusa di essere un traditore e un venduto…


Va anche detto che nei gruppi marxisti-leninisti di allora l’accusa di tradimento e opportunismo era quasi un intercalare…


Sì. Ora però sta tornando di moda. Oggi mi accusano con gli stessi toni di essere diventato renziano…


Non divaghiamo. Stavamo parlando di come sei arrivato «preparato», nei limiti del possibile, all’89…


Per quanto mi riguarda, penso che la preparazione all’89 parta dal momento in cui comincio a disegnare Bobo. Ero appena uscito da quell’esperienza dei marxisti-leninisti, perché l’alternativa ormai era secca: o riconoscere che avevamo sbagliato tutto, o passare al terrorismo, con quelli che dicevano che era tutto giusto, solo che le masse avevano bisogno di azioni esemplari. Insomma, ne sono uscito e ho giurato di non occuparmi mai più di politica. Mi dico: non ne capisco niente, ho solo sofferto, basta insomma. Quindi comincio a disegnare Bobo, ma per fare una striscia umoristica di carattere sociale: lui con la moglie, la figlia…


E invece?


E invece ero così di sinistra che mi è uscita una striscia che parlava ancora di politica. Anzi, probabilmente, lo faceva più di tutti i manifesti, le scritte sui muri e i volantinaggi che avevo fatto nei dieci anni precedenti.


E all’Unità come ci sei finito?


Chi si è accorto di me è stato Emanuele Macaluso. E io non capivo perché questi del Pci mi volessero con loro, e tanto meno perché proprio i miglioristi. Perché io nel Pci, semmai, guardavo a Ingrao, a Reichlin, non certo all’area di Macaluso e Napolitano.


E che spiegazione ti sei dato?


Secondo me lui aveva capito che questa figurina di Bobo aiutava a rompere una certa cappa, un certo clima da Comintern, sia all’Unità sia nel partito. Io per Macaluso sono stato un grimaldello, un modo per portare il dubbio nelle pagine dell’Unità. Sono stato uno strumento, ovviamente inconsapevole. E infatti me ne ne sono accorto dopo, ripensandoci.


Quando?


Sicuramente mi ha fatto pensare un episodio, durante il congresso di Rimini, quello del cambio di nome del Pci. Ricordo che eravamo a pranzo in un albergo con Violante, Macaluso, Bufalini e vari altri dirigenti, quando entra Natta, mi vede, viene verso di me e mi dice, col dito puntato: “Tu, tu e quel tuo maledetto Tango (l’inserto satirico dell’Unità curato da Staino, ndr), voi ci avete portato in questa situazione”. Lì per lì gli risposi: “Compagno Natta, oh tu mi dai troppa importanza…”. Poi però ci ho pensato e in effetti un aiutino credo di averlo dato.


In che senso?


Nel preparare psicologicamente i nostri militanti, grazie a quel distacco che ti permette di fare dell’ironia e al tempo stesso di vedere più seriamente l’attualità e la storia. Perché quando sulle cose ci ridi sopra, riesci anche a vederle in modo più oggettivo. Del resto, le critiche che facevo nelle mie strisce erano le stesse che facevano tanti militanti nei corridoi delle sezioni, solo che rimanevano lì, mentre con Bobo finivano sul giornale.


Il rapporto con l’Unità non sarà stato sempre tutto rose e fiori, no?


Guarda, la verità è che io all’Unità non ci volevo proprio andare. E però insistevano, mi offrivano tutto: soldi, la striscia bene in vista, pubblicata la domenica, che era il giorno in cuil’Unità con la diffusione militante arrivava dappertutto. E allora dissi a mia moglie: qui l’unico modo per venirne fuori è fare delle strisce cattivissime. Così, alla prima che non mi pubblicano, posso dire che sì, insomma, lo vedete anche voi, non si può fare. Quindi mi sono messo al tavolino da disegno pensando non a quale striscia sarebbe potuta piacere al direttore o al partito, ma a quale li avrebbe fatti incazzare di più. E niente, quelli me le pubblicano tutte.


Morale?


I comunisti italiani erano bella gente. Fino all’89 abbiamo retto bene. È dopo che ci siamo rovinati.


Tu dici che l’ironia ha aiutato a reggere anche il trauma dell’89, perché con l’ironia si assume il giusto distacco e si capisce meglio la politica. Eppure, oggi che il dibattito pubblico è dominato dal partito fondato da un comico, non sembrano abbondare né l’ironia, né il distacco…


Ma questo perché il cabarettista è una carogna, è cattivo…


Chiariamo: stiamo parlando della personalità dei cabarettisti in generale, giusto?


Certo. Il cabarettista gioca con la cattiveria, e quando c’è la cattiveria di fondo… a me hanno sempre detto che Bobo era troppo buono. Ma quella di Bobo non è una bontà pelosa, è un atteggiamento nei confronti della realtà: tu devi essere contento di essere venuto al mondo, devi essere contento che ci siano altre persone con cui puoi parlare, e che probabilmente, se ci parli, ti rendi conto che hanno gli stessi tuoi problemi. Se uno si mette in questo atteggiamento, la vita cambia.


Stiamo ancora parlando di politica, giusto?


Certo. Vedi: uno prima deve essere così, deve essere un generoso, uno che sorride al mondo, e poi, se diventa anche di sinistra, meglio. Mai il contrario.


Tanti ti direbbero che la sinistra è l’esatto contrario: musoni, gente che porta sempre sulle spalle tutto il peso del mondo…


No, no, no. La sinistra è il sol dell’avvenire, è una cosa luminosa. Questo voglio passare ai miei figli. Se c’è questo atteggiamento, allora sì che si può cominciare a unire le forze, a mettersi d’accordo…


A fare politica…


Certo, a fare politica. Ma devi prima essere buono dentro. Se sei cattivo, rancoroso… c’è gente che mi scrive delle cose che denunciano proprio un rancore protofascista. Uno mi ha scritto: sei renziano perché Renzi ti ha riaperto la greppia dell’Unità . La greppia…


Senza arrivare a questo, qualcuno potrebbe dirti che questa retorica del sorriso è berlusconiana.


Il sorriso berlusconiano è un sorriso superficiale, che serve solo a mascherare quel che fa. Il nostro sorriso è un atteggiamento positivo, fraterno e solidale con chi hai accanto. Se poi viene fuori che è una merda lo mandi a quel paese, ovvio, ma devi partire da qui. Vedi, io ormai son quasi cieco, cammino malamente, ma vedessi le persone che mi aiutano, che mi danno una mano alla prima occasione, per strada. C’è una disponibilità tale nel mondo, che se riusciamo raccoglierla e a orientarla in chiave sociale, si fa il partito più bello del mondo.
di Francesco Cundari per L' Unità.TV


Nessun commento:

Posta un commento