Staino:
“Bobo ci aiutò ad arrivare
preparati alla fine di un mondo”
Il
disegnatore toscano: “I comunisti italiani erano bella gente, fino
al 1989 abbiamo retto bene. È dopo che ci siamo rovinati”
In
un dibattito sugli sconvolgimenti del 1989, come quello aperto
sull’Unità dal saggio di Biagio de Giovanni, non poteva mancare la
voce di un militante che quella vicenda ha vissuto, raccontato e
patito praticamente giorno per giorno. Anche se poi, tutto sommato,
al crollo del muro di Berlino Sergio Staino ritiene di esserci
arrivato relativamente “preparato”. Grazie a Bobo, naturalmente.
E pensare che quando cominciò a disegnarlo aveva giurato di non
occuparsi mai più di politica.
Oggi
sembra impensabile: un Bobo senza politica.
Il
fatto è che dopo il trauma della primavera di Praga, dopo aver visto
i carri armati sovietici che spegnevano il sogno del socialismo dal
volto umano, in cui tutti noi giovani comunisti di allora avevamo
creduto, invece di concluderne che la strada giusta era il socialismo
europeo, insieme con altri della mia generazione mi feci prendere da
questa specie di centralismo burocratico all’ennesima potenza che
era rappresentato dalla Cina, dall’Albania. E insomma, nel ’69
ero entrato nei marxisti-leninisti, da cui sono uscito nel ’79,
dopo dieci anni spaventosi. Ne sono uscito convintamente, anche se
con l’accusa di essere un traditore e un venduto…
Va
anche detto che nei gruppi marxisti-leninisti di allora l’accusa di
tradimento e opportunismo era quasi un intercalare…
Sì.
Ora però sta tornando di moda. Oggi mi accusano con gli stessi toni
di essere diventato renziano…
Non
divaghiamo. Stavamo parlando di come sei arrivato «preparato», nei
limiti del possibile, all’89…
Per
quanto mi riguarda, penso che la preparazione all’89 parta dal
momento in cui comincio a disegnare Bobo. Ero appena uscito da
quell’esperienza dei marxisti-leninisti, perché l’alternativa
ormai era secca: o riconoscere che avevamo sbagliato tutto, o passare
al terrorismo, con quelli che dicevano che era tutto giusto, solo che
le masse avevano bisogno di azioni esemplari. Insomma, ne sono uscito
e ho giurato di non occuparmi mai più di politica. Mi dico: non ne
capisco niente, ho solo sofferto, basta insomma. Quindi comincio a
disegnare Bobo, ma per fare una striscia umoristica di carattere
sociale: lui con la moglie, la figlia…
E
invece?
E
invece ero così di sinistra che mi è uscita una striscia che
parlava ancora di politica. Anzi, probabilmente, lo faceva più di
tutti i manifesti, le scritte sui muri e i volantinaggi che avevo
fatto nei dieci anni precedenti.
E
all’Unità come ci sei finito?
Chi
si è accorto di me è stato Emanuele Macaluso. E io non capivo
perché questi del Pci mi volessero con loro, e tanto meno perché
proprio i miglioristi. Perché io nel Pci, semmai, guardavo a Ingrao,
a Reichlin, non certo all’area di Macaluso e Napolitano.
E
che spiegazione ti sei dato?
Secondo
me lui aveva capito che questa figurina di Bobo aiutava a rompere una
certa cappa, un certo clima da Comintern, sia all’Unità sia nel
partito. Io per Macaluso sono stato un grimaldello, un modo per
portare il dubbio nelle pagine dell’Unità. Sono stato uno
strumento, ovviamente inconsapevole. E infatti me ne ne sono accorto
dopo, ripensandoci.
Quando?
Sicuramente
mi ha fatto pensare un episodio, durante il congresso di Rimini,
quello del cambio di nome del Pci. Ricordo che eravamo a pranzo in un
albergo con Violante, Macaluso, Bufalini e vari altri dirigenti,
quando entra Natta, mi vede, viene verso di me e mi dice, col dito
puntato: “Tu, tu e quel tuo maledetto Tango (l’inserto satirico
dell’Unità curato da Staino, ndr), voi ci avete portato in questa
situazione”. Lì per lì gli risposi: “Compagno Natta, oh tu mi
dai troppa importanza…”. Poi però ci ho pensato e in effetti un
aiutino credo di averlo dato.
In
che senso?
Nel
preparare psicologicamente i nostri militanti, grazie a quel distacco
che ti permette di fare dell’ironia e al tempo stesso di vedere più
seriamente l’attualità e la storia. Perché quando sulle cose ci
ridi sopra, riesci anche a vederle in modo più oggettivo. Del resto,
le critiche che facevo nelle mie strisce erano le stesse che facevano
tanti militanti nei corridoi delle sezioni, solo che rimanevano lì,
mentre con Bobo finivano sul giornale.
Il
rapporto con l’Unità non sarà stato sempre tutto rose e fiori,
no?
Guarda,
la verità è che io all’Unità non ci volevo proprio andare. E
però insistevano, mi offrivano tutto: soldi, la striscia bene in
vista, pubblicata la domenica, che era il giorno in cuil’Unità con
la diffusione militante arrivava dappertutto. E allora dissi a mia
moglie: qui l’unico modo per venirne fuori è fare delle strisce
cattivissime. Così, alla prima che non mi pubblicano, posso dire che
sì, insomma, lo vedete anche voi, non si può fare. Quindi mi sono
messo al tavolino da disegno pensando non a quale striscia sarebbe
potuta piacere al direttore o al partito, ma a quale li avrebbe fatti
incazzare di più. E niente, quelli me le pubblicano tutte.
Morale?
I
comunisti italiani erano bella gente. Fino all’89 abbiamo retto
bene. È dopo che ci siamo rovinati.
Tu
dici che l’ironia ha aiutato a reggere anche il trauma dell’89,
perché con l’ironia si assume il giusto distacco e si capisce
meglio la politica. Eppure, oggi che il dibattito pubblico è
dominato dal partito fondato da un comico, non sembrano abbondare né
l’ironia, né il distacco…
Ma
questo perché il cabarettista è una carogna, è cattivo…
Chiariamo:
stiamo parlando della personalità dei cabarettisti in generale,
giusto?
Certo.
Il cabarettista gioca con la cattiveria, e quando c’è la
cattiveria di fondo… a me hanno sempre detto che Bobo era troppo
buono. Ma quella di Bobo non è una bontà pelosa, è un
atteggiamento nei confronti della realtà: tu devi essere contento di
essere venuto al mondo, devi essere contento che ci siano altre
persone con cui puoi parlare, e che probabilmente, se ci parli, ti
rendi conto che hanno gli stessi tuoi problemi. Se uno si mette in
questo atteggiamento, la vita cambia.
Stiamo
ancora parlando di politica, giusto?
Certo.
Vedi: uno prima deve essere così, deve essere un generoso, uno che
sorride al mondo, e poi, se diventa anche di sinistra, meglio. Mai il
contrario.
Tanti
ti direbbero che la sinistra è l’esatto contrario: musoni, gente
che porta sempre sulle spalle tutto il peso del mondo…
No,
no, no. La sinistra è il sol dell’avvenire, è una cosa luminosa.
Questo voglio passare ai miei figli. Se c’è questo atteggiamento,
allora sì che si può cominciare a unire le forze, a mettersi
d’accordo…
A
fare politica…
Certo,
a fare politica. Ma devi prima essere buono dentro. Se sei cattivo,
rancoroso… c’è gente che mi scrive delle cose che denunciano
proprio un rancore protofascista. Uno mi ha scritto: sei renziano
perché Renzi ti ha riaperto la greppia dell’Unità . La greppia…
Senza
arrivare a questo, qualcuno potrebbe dirti che questa retorica del
sorriso è berlusconiana.
Il
sorriso berlusconiano è un sorriso superficiale, che serve solo a
mascherare quel che fa. Il nostro sorriso è un atteggiamento
positivo, fraterno e solidale con chi hai accanto. Se poi viene fuori
che è una merda lo mandi a quel paese, ovvio, ma devi partire da
qui. Vedi, io ormai son quasi cieco, cammino malamente, ma vedessi le
persone che mi aiutano, che mi danno una mano alla prima occasione,
per strada. C’è una disponibilità tale nel mondo, che se
riusciamo raccoglierla e a orientarla in chiave sociale, si fa il
partito più bello del mondo.
di
Francesco Cundari per L' Unità.TV
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