Cingolani: “Attireremo dall’estero i cervelli migliori”
Roberto Cingolani È il direttore scientifico dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova: è suo il piano per il mega-centro
Di
GABRIELE
BECCARIA
per La Stampa.it
Il
direttore scientifico dell’’Istituto Italiano di Tecnologia,
elenca i casi-simbolo in cui il know-how italiano dimostra di essere
leader 
«In
Italia siamo fortissimi». Con entusiasmo Roberto Cingolani,
direttore scientifico dell’Iit, l’Istituto Italiano di
Tecnologia, elenca i casi-simbolo dei mega-test per le onde
gravitazionali, come «Virgo» a Pisa, e per la fisica delle
particelle, come «Lhc» a Ginevra: un intreccio di ricerca teorica e
sperimentale, in cui il know-how italiano dimostra di essere leader.
E ora con lo Human Technopole l’obiettivo è simile: «In questo
settore, dove si mettono insieme discipline diverse, dalla genomica
al Big Data, passando per la nutrizione, possiamo diventare
protagonisti a livello mondiale». 
Salute
e invecchiamento: anche all’estero si investe in queste aree, come
con il Broad Institute negli Usa e il «100.000 Genomes Project» in
Gran Bretagna. Cosa caratterizzerà il vostro progetto?  
«Il
settore non è ancora così trafficato, per quanto sia strategico.
Realizzeremo un lavoro multidisciplinare, con competenze eterogenee:
dai farmacologi ai clinici, dai genetisti ai nanotecnologi, dai
matematici agli ingegneri… Il target è duplice: allungare
l’aspettativa di vita e migliorare le condizioni della terza e
della quarta età». 
Questo
sarà possibile solo attraendo cervelli dall’estero, invertendo un
flusso che allarma la comunità scientifica italiana: come ci
riuscirete?  
«Dopo
aver indicato le linee di lavoro, la prima mossa sarà reclutare i
“principal investigator”, i responsabili delle aree di ricerca, e
poi partirà la campagna di reclutamento dei “junior”, i giovani
scienziati». 
In
pratica come farete?  
«Con
le “call internazionali”: alle persone che verranno qui sarà
garantita grande libertà d’azione nell’ambito della strategia
globale». 
Meritocrazia
spinta?  
«Certo.
Il modello è quello anglosassone, che applichiamo già all’Iit.
Bandi non per profili disciplinari, ma per mansioni scientifiche,
legate a programmi da sviluppare. Mi spiego: se devo andare su Marte,
mi serviranno tanti esperti. Dalle navicelle ai computer. Una logica
simile la applicheremo noi». 
E
i tempi? Avrete ragione della burocrazia?  
«Contiamo
di partire tra pochi mesi. È la logistica che regola l’orologio.
Dobbiamo recuperare spazi già esistenti nell’area dell’Expo». 
Poi,
tra tre anni, farete il primo bilancio?  
«Finita
la fase di start-up, sarà necessaria una valutazione internazionale.
Questo non è un “one man show”, ma un lavoro collettivo: è un
modello che si può applicare a tutta l’Italia». 

 
 
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