Uno Stato sunnita per battere l’Isis
di Massimo
Gaggi per IL Corriere Della
Sera.it
L’idea di dar vita a un «Sunnistan» sulle ceneri di Siria e Iraq garantendo una nazione curda e una enclave alawita
Esplora
il significato del termine: NEW YORK Sconfiggere l’Isis ma non per
tornare alla divisione precedente dei confini tra Siria e Iraq:
meglio costruire un nuovo Stato sunnita nell’area già occupata
dallo Stato Islamico e in quelle che il «califfo» sta cercando di
conquistare. Curiosamente a proporre la creazione di questo Sunnistan
non è un leader movimentista arabo, ma un arci conservatore
americano: John Bolton, l’ex ambasciatore Usa all’Onu ed ex
viceministro degli Esteri di George W. Bush.
Strana
figura di diplomatico pirotecnico che, anziché cercare mediazioni
prende posizioni incendiarie, Bolton è un radicale, anomalo anche
per un mondo politico repubblicano sempre più influenzato
dall’estremismo ideologico. Ma questo personaggio controverso -
all’inizio dello scorso decennio un «neocon» considerato uno
degli architetti della guerra di Bush contro l’Iraq - è anche un
intellettuale raffinato, capace di analisi acute che poi mescola con
proposte sconsiderate. Come quella, formulata qualche mese fa, di un
attacco preventivo contro gli impianti atomici iraniani: una
necessità, secondo Bolton, che non crede agli impegni presi da
Teheran.
La
proposta della creazione di un Sunnistan è anch’essa appoggiata su
una nuvola d’impraticabilità, visto il caos inestricabile che
regna nella regione e la probabile fiera opposizione di alcune
potenze - sicuramente Russia e Iran, ma nemmeno la Turchia sarebbe
felice - a un simile progetto. Eppure l’idea è suggestiva e fa
discutere. Se non altro perché mette in luce una delle cause di
debolezza dell’Occidente: la mancanza di una visione che vada oltre
la distruzione dell’Isis. Cancellare lo Stato Islamico per fare
cosa? Per tornare ai confini dell’accordo Sykes-Picot, il patto tra
due potenze coloniali, Gran Bretagna e Francia, che nel 1916 portò
alla definizione di frontiere irachene tracciate artificialmente da
alcuni burocrati? Da anni molti analisti sostengono che la realtà
attuale del Medio Oriente richiederebbe ben altro, ma nessuno è
stato in grado di mettere in piedi un’iniziativa politica di un
qualche spessore. Delle obiezioni ai vecchi accordi coloniali non si
è, poi, quasi più parlato da quando ad abolire quei confini ci ha
pensato proprio il «califfato» con una dichiarazione politica che
mandava il soffitta il patto del 1916.
Tocca
adesso a un personaggio come Bolton, un po’ apprendista stregone un
po’ dottor Stranamore, riaprire la questione con un ragionamento
che, se non porta verso soluzioni praticabili, ha, comunque, una sua
lucidità. Una volta distrutto lo Stato Islamico che facciamo? si
chiede Bolton. Restituiamo la Siria liberata a Damasco, cioè a un
Assad difficile da eliminare, e le terre irachene al regime
filo-iraniano di Bagdad? Per Bolton bisogna prendere atto che Siria e
Iraq, così come erano state disegnata dopo la dissoluzione
dell’impero ottomanno, non esistono più: la nascita dello Stato
islamico ha portato ormai di fatto alla nascita di uno Stato curdo
indipendente al nord e a una mobilitazione dei sunniti contro il
regime dell’alawita Assad a ovest e contro quello sciita di Bagdad
a est.
L’ex
ambasciatore Usa all’Onu sembra considerare dati ormai consolidati
non solo la realtà curda e l’alleanza Teheran-Bagdad, ma anche la
permanenza al potere di Assad a Damasco. La soluzione per la quale
l’Occidente e anche gli altri Paesi arabi, soprattutto quelli del
Golfo, dovrebbero battersi è, quindi, quella del Sunnistan:
geograficamente una versione allargata dello Stato Islamico che
occuperebbe gran parte dell’attuale territorio della Siria e la
parte occidentale dell’Iraq. Il centro-sud di questo Paese,
comprese Bagdad e Bassora, diventerebbe uno Stato sciita satellite
del regime degli ayatollah, mentre la costa mediterranea della Siria
si trasformerebbe in un piccolo Stato alawita governato da Assad o
dai suoi successori. A nord il Kurdistan.
Difficile
ma non impossibile, secondo Bolton. L’ex ambasciatore, ora tornato
all’«American Enterprise Institute», il principale think tank
della destra americana, ammette che, oltre alla Russia e all’Iran,
anche la Turchia potrebbe avere da ridire. Ma secondo lui alla fine
Ankara accetterebbe la nuova realtà statuale per avere un po’ più
di stabilità ai suoi confini meridionali.
Ma
chi la governerebbe? Il vecchio «esportatore di democrazia» ammette
che il Sunnistan non sarebbe esattamente una Svizzera, «né una
democrazia jeffersoniana. Ma in questa regione non ci sono
alternative a regimi militari e governi autoritari». Verrebbe da
dire che Bolton si è pentito di aver promosso, 12 anni fa, il
rovesciamento del regime di Saddam, se non fosse che anche di recente
l’ex ambasciatore ha detto che sarebbe pronto a ripetere
l’invasione dell’Iraq.
Ma
poi, nell’articolo-proposta pubblicato dal New York Times , Bolton
sostiene che a governare il nuovo Stato dovrebbero essere capi tribù
e leader sunniti presentabili, e anche ex capi del partito Baath.
Cioè gli uomini di Saddam Hussein. Comunque preferibili gli
islamisti radicali, ammette oggi Bolton. NEW YORK Sconfiggere l’Isis
ma non per tornare alla divisione precedente dei confini tra Siria e
Iraq: meglio costruire un nuovo Stato sunnita nell’area già
occupata dallo Stato Islamico e in quelle che il «califfo» sta
cercando di conquistare. Curiosamente a proporre la creazione di
questo Sunnistan non è un leader movimentista arabo, ma un arci
conservatore americano: John Bolton, l’ex ambasciatore Usa all’Onu
ed ex viceministro degli Esteri di George W. Bush.
Strana
figura di diplomatico pirotecnico che, anziché cercare mediazioni
prende posizioni incendiarie, Bolton è un radicale, anomalo anche
per un mondo politico repubblicano sempre più influenzato
dall’estremismo ideologico. Ma questo personaggio controverso -
all’inizio dello scorso decennio un «neocon» considerato uno
degli architetti della guerra di Bush contro l’Iraq - è anche un
intellettuale raffinato, capace di analisi acute che poi mescola con
proposte sconsiderate. Come quella, formulata qualche mese fa, di un
attacco preventivo contro gli impianti atomici iraniani: una
necessità, secondo Bolton, che non crede agli impegni presi da
Teheran.
La
proposta della creazione di un Sunnistan è anch’essa appoggiata su
una nuvola d’impraticabilità, visto il caos inestricabile che
regna nella regione e la probabile fiera opposizione di alcune
potenze - sicuramente Russia e Iran, ma nemmeno la Turchia sarebbe
felice - a un simile progetto. Eppure l’idea è suggestiva e fa
discutere. Se non altro perché mette in luce una delle cause di
debolezza dell’Occidente: la mancanza di una visione che vada oltre
la distruzione dell’Isis. Cancellare lo Stato Islamico per fare
cosa? Per tornare ai confini dell’accordo Sykes-Picot, il patto tra
due potenze coloniali, Gran Bretagna e Francia, che nel 1916 portò
alla definizione di frontiere irachene tracciate artificialmente da
alcuni burocrati? Da anni molti analisti sostengono che la realtà
attuale del Medio Oriente richiederebbe ben altro, ma nessuno è
stato in grado di mettere in piedi un’iniziativa politica di un
qualche spessore. Delle obiezioni ai vecchi accordi coloniali non si
è, poi, quasi più parlato da quando ad abolire quei confini ci ha
pensato proprio il «califfato» con una dichiarazione politica che
mandava il soffitta il patto del 1916.
Tocca
adesso a un personaggio come Bolton, un po’ apprendista stregone un
po’ dottor Stranamore, riaprire la questione con un ragionamento
che, se non porta verso soluzioni praticabili, ha, comunque, una sua
lucidità. Una volta distrutto lo Stato Islamico che facciamo? si
chiede Bolton. Restituiamo la Siria liberata a Damasco, cioè a un
Assad difficile da eliminare, e le terre irachene al regime
filo-iraniano di Bagdad? Per Bolton bisogna prendere atto che Siria e
Iraq, così come erano state disegnata dopo la dissoluzione
dell’impero ottomanno, non esistono più: la nascita dello Stato
islamico ha portato ormai di fatto alla nascita di uno Stato curdo
indipendente al nord e a una mobilitazione dei sunniti contro il
regime dell’alawita Assad a ovest e contro quello sciita di Bagdad
a est.
L’ex
ambasciatore Usa all’Onu sembra considerare dati ormai consolidati
non solo la realtà curda e l’alleanza Teheran-Bagdad, ma anche la
permanenza al potere di Assad a Damasco. La soluzione per la quale
l’Occidente e anche gli altri Paesi arabi, soprattutto quelli del
Golfo, dovrebbero battersi è, quindi, quella del Sunnistan:
geograficamente una versione allargata dello Stato Islamico che
occuperebbe gran parte dell’attuale territorio della Siria e la
parte occidentale dell’Iraq. Il centro-sud di questo Paese,
comprese Bagdad e Bassora, diventerebbe uno Stato sciita satellite
del regime degli ayatollah, mentre la costa mediterranea della Siria
si trasformerebbe in un piccolo Stato alawita governato da Assad o
dai suoi successori. A nord il Kurdistan.
Difficile
ma non impossibile, secondo Bolton. L’ex ambasciatore, ora tornato
all’«American Enterprise Institute», il principale think tank
della destra americana, ammette che, oltre alla Russia e all’Iran,
anche la Turchia potrebbe avere da ridire. Ma secondo lui alla fine
Ankara accetterebbe la nuova realtà statuale per avere un po’ più
di stabilità ai suoi confini meridionali.
Ma
chi la governerebbe? Il vecchio «esportatore di democrazia» ammette
che il Sunnistan non sarebbe esattamente una Svizzera, «né una
democrazia jeffersoniana. Ma in questa regione non ci sono
alternative a regimi militari e governi autoritari». Verrebbe da
dire che Bolton si è pentito di aver promosso, 12 anni fa, il
rovesciamento del regime di Saddam, se non fosse che anche di recente
l’ex ambasciatore ha detto che sarebbe pronto a ripetere
l’invasione dell’Iraq.
Ma
poi, nell’articolo-proposta pubblicato dal New York Times , Bolton
sostiene che a governare il nuovo Stato dovrebbero essere capi tribù
e leader sunniti presentabili, e anche ex capi del partito Baath.
Cioè gli uomini di Saddam Hussein. Comunque preferibili gli
islamisti radicali, ammette oggi Bolton.

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