Il premier Renzi spiazza anche i suoi: “Dimezzare il gap coi tedeschi”
ALESSANDRO
BARBERA per LA STAMPA.IT
ROMA
Nella
manovra almeno 13 miliardi di risparmi e una stangata sui giochi
Come
un pokerista sicuro delle proprie carte, Matteo Renzi alza ancora la
posta: ora scommette sulla cancellazione della componente Irap del
costo del lavoro. Né riduzione, né raddoppio dello sgravio, bensì
la vera e propria abolizione della tassa regionale nella parte che le
imprese pagano per ciascun dipendente. È questa la voce che fa
lievitare da ventiquattro a trenta miliardi l’ammontare della legge
di Stabilità per il 2015 e a diciotto la somma delle riduzioni
fiscali realizzate - se confermate - dall’inizio del governo Renzi.
Il numero è evocativo per due ragioni: la prima, la più popolare, è
che promette di far dimenticare il noto articolo dello Statuto dei
lavoratori. Ma diciotto è anche la metà di trentacinque, ovvero i
miliardi di tasse aggiuntive sul lavoro che oggi paga chi investe in
Italia rispetto a chi lo fa in Germania.
La
scommessa è maturata dopo una lunga riunione - domenica - con il
ministro Padoan e alcuni degli economisti che ha voluto con sé a
Palazzo Chigi. Eppure ieri al Tesoro non mancavano le bocche aperte,
compresa quella del ministro. La decisione di dare per certi quei
numeri Renzi l’ha presa in solitudine. «Ci metto la faccia fino
all’ultimo», diceva a chi l’ha sentito al telefono.
Nell’annuncio
c’è un po’ di verità e un po’ di astuzia politica, perché
per raggiungere i diciotto miliardi bisogna sommare tutti gli
interventi fiscali sul tavolo: i bonus Irpef e Irap di quest’anno e
del prossimo (dieci miliardi), l’ulteriore intervento sull’Irap
(sei miliardi e mezzo), la conferma dei due sgravi per l’edilizia
(un miliardo), lo sconto promesso a chi farà assunzioni a tempo
indeterminato (settecento milioni nel 2015).
Nel
pacchetto Renzi ha anche inserito un bonus Irpef più alto in
relazione al numero di figli, altri 500 milioni di euro. Per
raggiungere quei numeri il governo dovrà fare uno sforzo eccezionale
sul lato dei tagli di spesa, ma soprattutto nei confronti dell’Europa
poiché la manovra sarà in deficit per almeno undici miliardi. Il
controllo sarà «aritmetico», avverte il vicepresidente della
Commissione Katainen. Per avere il sì di Bruxelles, il governo dovrà
salvare l’apparenza della cosiddetta «regola del debito», un paio
di miliardi di minori spese invece dei dieci che Bruxelles chiedeva
qualche mese fa.
Le
ultime indiscrezioni raccolte fra Tesoro e Palazzo Chigi raccontano
che i tagli di spesa potrebbero salire a tredici miliardi (Renzi
parla di sedici), ai quali si aggiungerebbero tre miliardi di misure
fiscali (lotta all’evasione oltre alla cosiddetta reverse charge
limitata ai settori autorizzati dalla Ue), altri due miliardi di
nuove tasse sui premi da scommesse. Poiché il governo vuole tagliare
una tassa che serve per intero a finanziare la spesa sanitaria,
almeno due o tre miliardi dovranno essere risparmiati a quella voce.
Le
Regioni, se vorranno, potranno tagliare altro, ad esempio le sedi di
rappresentanza che ancora molte di loro hanno negli angoli più
remoti del globo. I Comuni dovranno contribuire per un miliardo e
mezzo, quel che resta delle Province per 500 milioni, le
amministrazioni centrali per almeno cinque miliardi di euro fra
riduzioni di spesa dei ministeri (almeno due miliardi) e taglio ai
costi delle forniture di beni e servizi attraverso l’uso sempre più
ampio della centrale degli acquisti, la Consip (altri tre o quattro
miliardi).
Infine
le società partecipate di Comuni e Regioni. Fino alla scorsa
settimana al Tesoro si studiavano norme che spingessero ad una loro
aggregazione, ma non avrebbero dovuto garantire risparmi importanti,
non nel breve periodo. Ora si torna al piano Cottarelli: a meno di
non allargare ancora le maglie del deficit, il governo dovrà imporre
chiusure, almeno per quelle più inutili.

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