Venditti tifa Renzi: «Finalmente uno veloce. Sulla scuola fa bene, ma deve coinvolgere di più»
di
Mario Ajello per IL Messaggero.it
Non
solo «Compagno di scuola» e tante altre canzoni famosissime. Anche
«Tortuga», l'ultimo disco di Antonello Venditti, parla della
scuola, del suo liceo - il Giulio Cesare di Roma - e del bar lì di
fronte dove «Nietzsche e Marx si davano la mano, e parlavano insieme
dell'ultima festa e del vestito nuovo».
Antonello, le piace questa riforma della scuola?
«Non l'ho letta tutta. Comunque gli anni del mio liceo erano un inferno rispetto a questi. C'era la classe docente, lontana e staccata da tutto, un mondo a sè. C'erano gli studenti, soli davanti agli insegnanti. E le famiglie completamente fuori dalla scuola. Adesso, mettere in comunicazione queste tre componenti fondamentali, più i bidelli e tutti gli altri che vivono nella comunità scolastica, mi sembra una cosa confortante. Ci siamo finalmente posti il problema che la situazione di un Paese si vede da poche cose: e una di queste è la scuola».
Si può cambiare la scuola?
«Qualora ci fosse una scuola come edificio, direi di sì».
La ristrutturazione e l'adeguamento dell'edilizia scolastica infatti sono una priorità.
«A me, sembrano cose importantissime. Dobbiamo cominciare dai luoghi della scuola, poi da come si sta nella scuola e poi da quello che ci si aspetta dalla scuola. Io penso ancora che il fine della scuola sia culturale. E che quindi, fino a una certa età, si debba studiare senza pensare a ciò che si farà da grandi. Io il liceo lo intendo così. Le specializzazioni verranno dopo».
Antonello, le piace questa riforma della scuola?
«Non l'ho letta tutta. Comunque gli anni del mio liceo erano un inferno rispetto a questi. C'era la classe docente, lontana e staccata da tutto, un mondo a sè. C'erano gli studenti, soli davanti agli insegnanti. E le famiglie completamente fuori dalla scuola. Adesso, mettere in comunicazione queste tre componenti fondamentali, più i bidelli e tutti gli altri che vivono nella comunità scolastica, mi sembra una cosa confortante. Ci siamo finalmente posti il problema che la situazione di un Paese si vede da poche cose: e una di queste è la scuola».
Si può cambiare la scuola?
«Qualora ci fosse una scuola come edificio, direi di sì».
La ristrutturazione e l'adeguamento dell'edilizia scolastica infatti sono una priorità.
«A me, sembrano cose importantissime. Dobbiamo cominciare dai luoghi della scuola, poi da come si sta nella scuola e poi da quello che ci si aspetta dalla scuola. Io penso ancora che il fine della scuola sia culturale. E che quindi, fino a una certa età, si debba studiare senza pensare a ciò che si farà da grandi. Io il liceo lo intendo così. Le specializzazioni verranno dopo».
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l' intervista completa sul Messaggero
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