Il
«fronte africano»:
l’altra guerra della Franciadi Guido
Olimpio per IL Corriere Della Sera.it
All’indomani
degli attentati, di Parigi prima e in Mali poi, Hollande ha chiesto
aiuto agli alleati. Obiettivo: fronteggiare la minaccia terrorista in
Siria ma anche in Africa, dove da anni i francesi sono impegnati a
contenere il jihadismo su un territorio di 4 mila chilometri. Con
risorse scarse ma non pochi successi
WASHINGTON
— La Francia, sotto attacco, ha chiesto aiuto agli alleati. La
Germania ha risposto promettendo 650 soldati che saranno schierati
nel Sahel, uno dei tanti fronti jihadisti dove Parigi ormai da tempo
ha un ruolo guida. Non disponendo del possente apparato americano ed
anche per scelta strategica, il governo Hollande ha privilegiato il
format della guerra leggera. Circa tremila e uomini, 200 blindati, 8
caccia e 5 droni inquadrati nell’Operazione Barkhane, continuazione
della Serval, scattata nel gennaio 2013 per fermare l’avanzata nel
nord del Mali di tuareg islamisti e al Qaeda. Un dispositivo esiguo,
tanto più se si considera che è sparpagliato su un territorio di 4
mila chilometri (nella foto sotto,
l’immagine satellitare del fortino di Madama, in Niger; qui sopra,
la mappa dell’operazione).

L’attentato di Bamako: un segnale
Il
tricolore dunque sventola in Burkina Faso, Ciad, Mauritania e Niger.
In appoggio ci sono gli 11 mila caschi blu, anche se è evidente che
la punta di lancia sono i francesi (nella
foto sotto, lancio di materiale francese da aerei). Quindi
istruttori dell’Unione Europea, inclusi degli italiani, e gli Stati
Uniti, con aliquote di Special Forces, velivoli-spia e droni ospitati
in una serie di aeroporti — come Niamey, Agadez — e in Marocco.
L’intervento non ha debellato la minaccia, non poteva farlo.
L’attentato al Radisson Blu di Bamako è un segnale di come i
militanti siano pericolosi e pronti a usare la tattica che prende di
mira bersagli poco protetti, dai ristoranti ai locali pubblici. Un
punto in comune con quanto avvenuto a Mumbai e nella stessa capitale
francese, unione del modus operandi dell’Isis con quello di al
Qaeda (nel link sull’icona blu, alcuni
video delle forze francesi sulle operazioni Serval e Barkhane).

Azione di contenimento
Difficile
prevedere però che cosa sarebbe accaduto se la Francia non avesse
schierato i militari. Certamente ha recuperato terreno, ha costretto
i terroristi a disperdersi nella vicina Libia, nella parte
settentrionale del Niger e nella fortezza naturale rappresentata
dall’Adrar des Ifoghas, area montagnosa e desertica dove è
difficile entrare (nella foto sotto il
Passo di Salvador, snodo di traffici e punto spesso usato dai
jihadisti). Se vogliamo fare un paragone con la lotta allo
Stato Islamico è un’azione di contenimento, ma molto più dinamica
e non affidata solo all’arma aerea.

L’operazione «Vignemale»
Pochi
giorni fa, è terminata una vasta manovra, nome in codice Vignemale,
con l’intento di interrompere alcuni canali di comunicazione degli
estremisti. Seicento militari hanno agito tra Kidal (Mali) e alcuni
settori nigerini dove è noto il transito di colonne di pick up pieni
di armati e materiale bellico. Target una «katiba» composta da
50-60 insorti, molto mobili e grandi conoscitori del territorio.
Dunque serve una tattica altrettanto rapida.
I blitz
I
francesi di solito ricorrono ad un elisbarco per posizionare i
commandos sulle alture. Cecchini, militari responsabili di mantenere
i collegamenti con l’aviazione, team pronti a sostenere con il loro
fuoco un reparto che avanza via terra a bordo di fuoristrada e blindo
ruotati. In alcune occasioni ci sono stati lanci di
paracadutisti (come nella foto sotto,
diAfp / Getty Images), incursioni in profondità, dietro
la «linea della sabbia» per chiudere vie di fuga. Anche in questo
caso i parà hanno teso trappole mentre un’unità di fanteria
motorizzata hanno svolto il ruolo di battitori. È un lavoraccio. Non
sempre nella rete resta qualcosa. E lo sforzo non è da poco. Le
condizioni climatiche, le piste, la polvere richiedono grandi sforzi
degli addetti ai mezzi.

L’avamposto francese
Diversi
blitz sono stati sferrati a partire da Madama, località sperduta nel
nord del Niger e non distante dal Passo di Salvador, la porta che
conduce al sud della Libia, ventre molle dello scacchiere in quanto
rifugio di briganti, contrabbandieri e jihadisti. Proprio a
Madama (nella foto sotto) i
francesi hanno riattivato, insieme ai locali, il vecchio fortino
della Legione mentre il Genio ha costruito una striscia per
permettere l’atterraggio degli aerei da trasporto. Complicato
rifornire l’avamposto che davvero ricorda altre epoche, con le mura
«rosse» e un ambiente circostanze incredibile.

I quattro centri operativi
La
postazione non è l’unica, anche se la Francia non dispone del
treno logistico degli Stati Uniti, quindi si è dovuta arrangiare e,
si può dire, con buoni risultati. Una recente analisi ha
sottolineato come siano partiti per Serval e poi Barkhane senza avere
tutto il necessario, però hanno rimediato. Contava mettere gli
scarponi sul terreno e in fretta. Chiusa la prima fase, Parigi ha
aperto 4 centri operativi: Gao (Mali), N’Djamena (Ciad), Niamey
(Niger), Ouagadougou (Burkina). Terminali importanti dai quali
rifornire poche dozzine soldati a Tessalit (Mali), Madama(nella
foto sotto, una delle postazioni) e Faya Largeau
(Ciad), quest’ultima pensata per monitorare la Libia.

Droni e informatori
Nell’attività
di contrasto due «assetti» hanno un ruolo particolare. Intanto i
droni, in grado di garantire pattugliamenti a lungo raggio. Sono loro
ad avvistare movimenti sospetti o veicoli in angoli dove non mette
piede nessuno. La loro segnalazione è esaminata, a volte incrociata
con quella di informatori — un pastore, un capo villaggio — e
girata alla stazione di controllo. Il colpo successivo è affidato al
celebre Cos, il comando operazioni speciali di Villacoublay, spesso
chiamato ad agire in coppia con i servizi segreti. Sono stati questi
reparti, sotto il Raggruppamento Sabre, a uccidere due importanti
figure estremiste nel nord del Mali e, in seguito, a liberare un
ostaggio olandese nelle mani di al Qaeda nella terra del Maghreb, una
delle tante sigle che destabilizzano da sempre questa regione.

Le altre formazioni
Dietro
le dune, nascosti in gole lunari, favoriti dalle condizioni del
«teatro» si muovono molte formazioni. Oltre ai qaedisti, ci sono i
Murabitun di Mokhtar Belmokhtar (nella
foto sopra, Afp), personaggio che ben sintetizza
l’intreccio tra crimine e violenza politica. Il guercio — questo
il suo soprannome — o detto anche l’intoccabile per la capacità
di sfuggire alla morte e alla cattura, si è finanziato con il
trasporto di sigarette-benzina-droga (nella
foto sotto, droga sequestrata dai soldati francesi).
Storia criminale unita dalla fede nella guerra santa e dal desiderio
di conservare comunque una certa autonomia. Non meno pericolosi
quelli di Ansar Dine, tuareg separatisti entrati nell’orbita della
Jihad e spesso alleati dei seguaci di Osama. A sud invece il Fronte
di Liberazione di Macina.

Guardare a nord (ma non solo)
La
Francia deve guardare a nord ma non deve perdere di vista neppure
quanto avviene nel settore Nigeria-Camerun-Ciad messo in pericolo
dalla macchina distruttrice dei nigeriani di Boko Haram, ora alleati
dell’Isis. Luoghi e nomi che paiono distanti dell’emergenze
recenti, con i boulevard parigini insanguinati. Ma in realtà sono
più vicini di quello che pensiamo e richiedono a volte una reazione
immediata.
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