28 nov 2015

Il «fronte africano»: l’altra guerra della Francia

Il «fronte africano»:
l’altra guerra della Francia
di Guido Olimpio per IL Corriere Della Sera.it

All’indomani degli attentati, di Parigi prima e in Mali poi, Hollande ha chiesto aiuto agli alleati. Obiettivo: fronteggiare la minaccia terrorista in Siria ma anche in Africa, dove da anni i francesi sono impegnati a contenere il jihadismo su un territorio di 4 mila chilometri. Con risorse scarse ma non pochi successi
WASHINGTON — La Francia, sotto attacco, ha chiesto aiuto agli alleati. La Germania ha risposto promettendo 650 soldati che saranno schierati nel Sahel, uno dei tanti fronti jihadisti dove Parigi ormai da tempo ha un ruolo guida. Non disponendo del possente apparato americano ed anche per scelta strategica, il governo Hollande ha privilegiato il format della guerra leggera. Circa tremila e uomini, 200 blindati, 8 caccia e 5 droni inquadrati nell’Operazione Barkhane, continuazione della Serval, scattata nel gennaio 2013 per fermare l’avanzata nel nord del Mali di tuareg islamisti e al Qaeda. Un dispositivo esiguo, tanto più se si considera che è sparpagliato su un territorio di 4 mila chilometri (nella foto sotto, l’immagine satellitare del fortino di Madama, in Niger; qui sopra, la mappa dell’operazione).

L’attentato di Bamako: un segnale

Il tricolore dunque sventola in Burkina Faso, Ciad, Mauritania e Niger. In appoggio ci sono gli 11 mila caschi blu, anche se è evidente che la punta di lancia sono i francesi (nella foto sotto, lancio di materiale francese da aerei). Quindi istruttori dell’Unione Europea, inclusi degli italiani, e gli Stati Uniti, con aliquote di Special Forces, velivoli-spia e droni ospitati in una serie di aeroporti — come Niamey, Agadez — e in Marocco. L’intervento non ha debellato la minaccia, non poteva farlo. L’attentato al Radisson Blu di Bamako è un segnale di come i militanti siano pericolosi e pronti a usare la tattica che prende di mira bersagli poco protetti, dai ristoranti ai locali pubblici. Un punto in comune con quanto avvenuto a Mumbai e nella stessa capitale francese, unione del modus operandi dell’Isis con quello di al Qaeda (nel link sull’icona blu, alcuni video delle forze francesi sulle operazioni Serval e Barkhane).





Azione di contenimento

Difficile prevedere però che cosa sarebbe accaduto se la Francia non avesse schierato i militari. Certamente ha recuperato terreno, ha costretto i terroristi a disperdersi nella vicina Libia, nella parte settentrionale del Niger e nella fortezza naturale rappresentata dall’Adrar des Ifoghas, area montagnosa e desertica dove è difficile entrare (nella foto sotto il Passo di Salvador, snodo di traffici e punto spesso usato dai jihadisti). Se vogliamo fare un paragone con la lotta allo Stato Islamico è un’azione di contenimento, ma molto più dinamica e non affidata solo all’arma aerea.

L’operazione «Vignemale»

Pochi giorni fa, è terminata una vasta manovra, nome in codice Vignemale, con l’intento di interrompere alcuni canali di comunicazione degli estremisti. Seicento militari hanno agito tra Kidal (Mali) e alcuni settori nigerini dove è noto il transito di colonne di pick up pieni di armati e materiale bellico. Target una «katiba» composta da 50-60 insorti, molto mobili e grandi conoscitori del territorio. Dunque serve una tattica altrettanto rapida.

I blitz

I francesi di solito ricorrono ad un elisbarco per posizionare i commandos sulle alture. Cecchini, militari responsabili di mantenere i collegamenti con l’aviazione, team pronti a sostenere con il loro fuoco un reparto che avanza via terra a bordo di fuoristrada e blindo ruotati. In alcune occasioni ci sono stati lanci di paracadutisti (come nella foto sotto, diAfp / Getty Images), incursioni in profondità, dietro la «linea della sabbia» per chiudere vie di fuga. Anche in questo caso i parà hanno teso trappole mentre un’unità di fanteria motorizzata hanno svolto il ruolo di battitori. È un lavoraccio. Non sempre nella rete resta qualcosa. E lo sforzo non è da poco. Le condizioni climatiche, le piste, la polvere richiedono grandi sforzi degli addetti ai mezzi.

L’avamposto francese

Diversi blitz sono stati sferrati a partire da Madama, località sperduta nel nord del Niger e non distante dal Passo di Salvador, la porta che conduce al sud della Libia, ventre molle dello scacchiere in quanto rifugio di briganti, contrabbandieri e jihadisti. Proprio a Madama (nella foto sotto) i francesi hanno riattivato, insieme ai locali, il vecchio fortino della Legione mentre il Genio ha costruito una striscia per permettere l’atterraggio degli aerei da trasporto. Complicato rifornire l’avamposto che davvero ricorda altre epoche, con le mura «rosse» e un ambiente circostanze incredibile.

I quattro centri operativi

La postazione non è l’unica, anche se la Francia non dispone del treno logistico degli Stati Uniti, quindi si è dovuta arrangiare e, si può dire, con buoni risultati. Una recente analisi ha sottolineato come siano partiti per Serval e poi Barkhane senza avere tutto il necessario, però hanno rimediato. Contava mettere gli scarponi sul terreno e in fretta. Chiusa la prima fase, Parigi ha aperto 4 centri operativi: Gao (Mali), N’Djamena (Ciad), Niamey (Niger), Ouagadougou (Burkina). Terminali importanti dai quali rifornire poche dozzine soldati a Tessalit (Mali), Madama(nella foto sotto, una delle postazioni) e Faya Largeau (Ciad), quest’ultima pensata per monitorare la Libia.

Droni e informatori

Nell’attività di contrasto due «assetti» hanno un ruolo particolare. Intanto i droni, in grado di garantire pattugliamenti a lungo raggio. Sono loro ad avvistare movimenti sospetti o veicoli in angoli dove non mette piede nessuno. La loro segnalazione è esaminata, a volte incrociata con quella di informatori — un pastore, un capo villaggio — e girata alla stazione di controllo. Il colpo successivo è affidato al celebre Cos, il comando operazioni speciali di Villacoublay, spesso chiamato ad agire in coppia con i servizi segreti. Sono stati questi reparti, sotto il Raggruppamento Sabre, a uccidere due importanti figure estremiste nel nord del Mali e, in seguito, a liberare un ostaggio olandese nelle mani di al Qaeda nella terra del Maghreb, una delle tante sigle che destabilizzano da sempre questa regione.

Le altre formazioni

Dietro le dune, nascosti in gole lunari, favoriti dalle condizioni del «teatro» si muovono molte formazioni. Oltre ai qaedisti, ci sono i Murabitun di Mokhtar Belmokhtar (nella foto sopra, Afp), personaggio che ben sintetizza l’intreccio tra crimine e violenza politica. Il guercio — questo il suo soprannome — o detto anche l’intoccabile per la capacità di sfuggire alla morte e alla cattura, si è finanziato con il trasporto di sigarette-benzina-droga (nella foto sotto, droga sequestrata dai soldati francesi). Storia criminale unita dalla fede nella guerra santa e dal desiderio di conservare comunque una certa autonomia. Non meno pericolosi quelli di Ansar Dine, tuareg separatisti entrati nell’orbita della Jihad e spesso alleati dei seguaci di Osama. A sud invece il Fronte di Liberazione di Macina.

Guardare a nord (ma non solo)

La Francia deve guardare a nord ma non deve perdere di vista neppure quanto avviene nel settore Nigeria-Camerun-Ciad messo in pericolo dalla macchina distruttrice dei nigeriani di Boko Haram, ora alleati dell’Isis. Luoghi e nomi che paiono distanti dell’emergenze recenti, con i boulevard parigini insanguinati. Ma in realtà sono più vicini di quello che pensiamo e richiedono a volte una reazione immediata.


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