13 giu 2015

Maria Grazia Mattei: «Ecco l'identikit dei nativi digitali»....Ecco l'uomo del terzo millennio .

Maria Grazia Mattei: «Ecco l'identikit dei nativi digitali»

L'innovazione digitale ha portato a un vero cambiamento antropologico. I nativi sono più collaborativi, pronti alla sfida e protagonisti. Ma hanno bisogno di nuove vie d'apprendimento. E l'Italia in cui la scuola non è mai cambiata rischia di perdere la sfida.

Quando ancora in Italia la rivoluzione digitale era tutta da dimostrare, lei la praticava, portando in Italia quelli che la rivoluzione l’avevano precorsa, cavalcata e capita prima degli altri.
Maria Grazia Mattei fondatrice della comunità di Meet the media guru, una piattaforma di eventi che dal 2005 porta il pubblico a faccia a faccia con i pensatori, gli scienziati, ma anche gli artigiani del terzo millennio, festeggia i 10 anni di attività con una edizione dedicata al futuro, 
Future way of livings, con incontri lungo tutto il mese di giugno.«TROPPA TECNOLOGIA, POCO PENSIERO». «Nel corso della nostra storia», dice Mattei a Lettera43.it, «l’innovazione tecnologica ha lasciato poco spazio per pensare, ma nei prossimi 10 anni le novità non verranno dalla tecnologia. Ma dall’uso che la società saprà farne».
La nuova frontiera sarà soprattutto l’innovazione sociale e l’Italia ha bisogno di colmare un enorme gap culturale.
IN ITALIA DIGITALE SOLO PER LE ÉLITE. Facebook, spiega Mattei, nel 2000 ha avuto lo stesso ruolo della televisione negli Anni 50: è stato un eccezionale veicolo di alfabetizzazione di massa al digitale.
Ma in Italia solo le 
élite hanno veramente capito le caratteristiche e le opportunità del nuovo mondo.
La posta in gioco, dice la fondatrice di Meet the media guru ripercorrendo il pensiero dei tanti protagonisti incontrati in questi anni, non è solo la competitività, ma anche la capacità di colmare l’abisso tra le vecchie generazioni e i nativi digitali, una frattura sociale enorme che rischia d scapparci di mano. «L’Italia dovrebbe chiedersi chi è l’uomo del terzo millennio» perché vuol dire chiedersi chi sono i suoi figli. 
  • Maria Grazia Mattei (Meet the media guru).

1. Cambiamento antropologico: nativi digitali sempre connessi

«Nessuno ha in mano il ritratto dell’uomo del Terzo millennio», dice Mattei, «ma qualche tratto si può già delineare». Il sociologo Derrick De Kerckove, direttore dal 1983 al 2008 del Mc Luhan Program in culture & technology dell'università di Toronto, ha teorizzato la nascita di una coscienza connettiva, divisa tra esseri umani e supporti tecnologici.IN UNA COSTANTE DIMENSIONE DI GRUPPO. I ragazzi di oggi riversano nella Rete parte della loro identità e del loro inconscio. Delegano alla tecnologia il recupero di informazioni, nozioni e conoscenze. Vivono una costante dimensione di gruppo, di tribù, attraverso i social network. E hanno l’immediata possibilità di prendere posizione, esprimersi, mostrarsi in uno spazio aperto.
Questo cambia il rapporto che i nativi digitali hanno con se stessi e con gli altri. «Non si compiono più azioni in isolamento: l'innovazione digitale ha portato a un vero e proprio cambiamento antropologico».

2.  Le nuove specificità: capacità di collaborazione e apertura alla sfida

«I cosiddetti mutanti digitali, quelli nati con i videogame e la Rete, mostrano, rispetto alle altre generazioni, alcune precise caratteristiche».
Mattei le ha scoperte invitando a Milano nel 2011 la game designer Jane Mc Gonigal, studiosa della generazione dei gamers e delle potenzialità sviluppate grazie alla famigliarità con il mondo di internet, l'abitudine a calarsi in sfide e realtà virtuali assieme ad altri giocatori sconosciuti e loro pari.
PORTATI ALLA SPERIMENTAZIONE. «I nativi digitali non sono solo capaci di lavorare su più fronti insieme e gestire una grande complessità di informazioni», riassume Mattei, «ma sono anche portati a collaborare, sono persone a cui piace essere sfidate e che non hanno paura a provare le cose, a sperimentare. Lo dimostrano persino i dati biochimici: chi è abituato al gioco e alla sfida, hanno una maggiore adrenalinae sviluppa uno stress positivo».RISORSA PER LE IMPRESE. Questo ne fa una risorsa incredibile, «da coinvolgere in imprese, operazioni e disfide sociali», osserva Mattei.
Un esempio? «Mc Gonigal ci presentò, Evoke, un gioco da lei creato per la banca mondiale attraverso il quale i ragazzi del continente africano si sfidavano a  pensare soluzioni innovative per far fronte alla scarsità d’acqua e altri problemi del territorio: funzionò perfettamente e i progetti sono stati finanziati». 

3. I rischi della nuova generazione: perdita della capacità critica

L'altra faccia della medaglia è quella raccontata dal sociologo Zygmunt Bauman, secondo il quale i ragazzi nati e cresciuti nelle tribù della Rete «cercano il simile e si rifugiano in un mondo in qualche modo rassicurante», osserva la fondatrice di Meet the Media guru, «rifiutano quelli che a loro non appartengono, se la politica è corrotta allora ne prendono semplicemente le distanze. Rischiano poi di perdere il senso delle radici e della memoria, in un mondo in cui Google è diventata la nostra memoria collettiva».
Una delle sfide, è quindi mantenere l'abilità  di «usare la memoria e provare e emozioni, che sono forme di conoscenza da cui ne derivano altre e che nutrono la capacità critica».
PERICOLO SBORNIA DA TECNOLOGIA. Se manca il dialogo intergenerazionale, però, «anche quelli che hanno una pulsione naturale verso il digitale rischiano il disorientamento, l'appiattimento, la superficialità , colmata da un effetto sbornia di tecnologia, ma che nasconde un vuoto da riempire».
A darle ragione, sono i dati sui neet (
not in education, employment, or training)aumentati dal 2007 al 2013 dal 19% al 26% secondo i dati Eurostat e in crescita anche nella ricca Lombardia. «Le cause sono diverse» spiega Mattei, «il lavoro, la motivazione sociale, la crescita culturale. Ma la prima causa non è la disoccupazione, è il disagio sociale. C’è una scuola che non li incontra più. Si è creata una voragine. ll nostro Paese ha abdicato al futuro questo è evidente: un dato di fatto».

4. Il bisogno di nuove vie di apprendimento: ma la scuola è rimasta indietro

Secondo Mimi Ito, antropologa giapponese di Stanford che ha studiato gli effetti dell'innovazione digitale sull'apprendimento, il ragazzo di oggi ha traiettorie, strade, e strategie nemmeno immaginabili da chi è cresciuto nell'era analogica. Ma, commenta Mattei, «ha bisogno di trovare nuove modalità di azione nella collettività perché come abbiamo spiegato il digitale ti dà «una forte spinta verso la connettività».SI PERDE LA SPINTA PROPULSIVA. La domanda che Mattei si pone è: «Come può fare se paradossalmente in 20 anni è cambiato tutto ma le aule delle scuole sono rimaste uguali?». In Italia la dicotomia tra padri analogici e figli digitali è profonda. E questa mancanza di dialogo può portare a perdere la sfida sui giovani. Se quest’operazione non viene fatta, si rimane disorientati, padri e anche figli. E viene a mancare quella spinta propulsiva verso il futuro: «Rischiamo di perdere», conclude «forse la terza generazione di millenials». 

5. Lo scenario positivo: autogovernance e innovazione sociale

La diffusione capillare della cultura digitale per la Mattei porterà a un cambiamento nella struttura sociale. Finita la fase dell’impatto puro della tecnologia, dobbiamo rivolgere la nostra attenzione all’uomo. «La nuova fase è quella della social innovation», «cioè di gruppi e reti che di fronte ai problemi hanno gli strumenti in mano per risolverli e si inventano nuove soluzioni. Uno scenario in cui c’è meno Stato e più protagonismo, in una parola autogovernance.UN MONDO DI REGOLE NUOVE. Gli esempi secondo l'ideatrice di Meet the media guru già ci sono: basta pensare al nuovo paradigma dei creative commons creato da Lawrence Lessig che ha capito che non funzionava il far west ma nemmeno i vecchi steccati del diritto d'autore e, mentre Napster veniva chiuso, si è immaginato un mondo capace di procedere con regole nuove.
In questo mondo non si possono applicare i vecchi schemi, dice Mattei, «se noi non vinciamo la sfida del gap culturale rischiamo di trovarci non solo indietro, ma anche con uno Stato sfasato rispetto alla sua società». Ed è questa la partita da giocare nei prossimi anni: «Una volta che abbiamo la smart city, dobbiamo avere gli smart citizens».

Da Lettera43.it

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