Referendum
costituzionale, cinque
domande a Marco Travaglio
I
punti che abbiamo sollevato toccano tutti gli aspetti esaminati dai
56 costituzionalisti. Sono riassumibili in 5 punti e pongono
altrettante domande, molto semplici, nette e chiare, sia a loro sia
al direttore del Fatto
Marco
Travaglio sul Fatto di ieri ci ha dedicato un immeritato fiume di
parole, secondo il suo stile. Come altri che lo hanno preceduto,
parla del tono del nostro pezzo pubblicato il giorno prima su
l’Unità, dei conti fatti sull’età dei 56 costituzionalisti del
“NO” e della nostra notorietà. Si lamenta per la mancanza di
contenuti, che fa finta di non vedere, solo perché gli risultano un
po’ fastidiosi e forse difficili da maneggiare. Ci spiace se
l’articolo sia risultato offensivo. Il dibattito pubblico ha le sue
asprezze e richiede anche un po’ di vivacità. Toni affilati che
non dovrebbero scandalizzare proprio il direttore del Fatto. Forse ne
abbiamo abusato, certo non per gettare discredito sui 56 illustri
colleghi del NO.
Comunque,
il confronto con gli articoli di Travaglio, non solo quello che ci
riguarda, fanno capire anche ai più sensibili tra loro come, nella
comparazione, il nostro sia puro stile british dei tempi della regina
Vittoria. In effetti, abbiamo posto un problema riguardo alla
composizione del gruppo dei 56 perché ci sembra evidente sia parte
del messaggio che loro stessi hanno deciso di comunicare e che non a
caso Travaglio enfatizza. Abbiamo citato la loro età media come un
indicatore dei criteri di autoselezione del gruppo che riflettono
alcune caratteristiche delle élite del nostro paese. Per farci
capire meglio, avremmo potuto forse notare che tra i 56 solo 4 sono
donne. Ma ben più dei due terzi dell’articolo sono dedicati al
merito delle posizioni da loro espresse sulla riforma.
I
punti che abbiamo sollevato toccano tutti gli aspetti esaminati dai
56. Sono riassumibili in 5 punti e pongono altrettante domande, molto
semplici, nette e chiare, sia a loro sia al direttore del Fatto.
1)
Dopo una attenta lettura della riforma costituzionale, i 56 illustri
colleghi sollevano alcune critiche al progetto, su aspetti minori che
riguardano la ripartizione della competenze tra Camera e Senato, tra
Stato e Regioni. Il risultato dell’attento «esame» a cui hanno
sottoposto il testo è quindi del tutto incompatibile con la teoria
della “svolta autoritaria” che Travaglio e il Prof. Zagrebelsky
hanno sostenuto con veemenza fino a pochi giorni prima e che
Travaglio continua a sostenere. Ci sbagliamo? I Proff. Cheli, De
Siervo, Casavola, Onida, Lanchester, di cui abbiamo infinita stima,
credono forse che la riforma apra le porte ad una involuzione
antidemocratica?
2)
Il documento del 56 chiede un Senato più forte e un processo
legislativo più semplice, due obiettivi palesemente contradittori.
Dove ci sbagliamo? I 56 sarebbero in condizione di scrivere e di
accordarsi tra loro su una norma corrispondente, contestualmente, a
queste due linee guida?
3)
Il documento fa chiaramente intendere che quel Senato più forte
dovrebbe essere composto dai Presidenti di Regione e da loro
delegati. Ci sbagliamo? C’è un altro senso che si può dare alle
loro affermazioni a questo riguardo? Se questa fosse, come a noi
pare, l’unica interpretazione plausibile delle loro tesi, cosa ne
pensa Travaglio? O meglio, cosa ne avrebbe detto se fosse stata
inclusa nel progetto Boschi?
4)
Secondo i 56 la riforma avrebbe dovuto prevedere un altro Cnel al
posto del Cnel, non considerare la riduzione del numero dei
parlamentari come una priorità, dare maggiori poteri alle Regioni
(ma non ci dicono esattamente quali). Travaglio è d’accordo?
5)
Il documento sottovaluta le difficili condizioni di necessità in cui
è stata finalmente varata una riforma promessa da decenni, e i
rischi a cui verrebbe sottoposto il Paese se ci dovessimo ritrovare,
con il nostro sistema politico attuale, nelle condizioni della
Spagna. Con tutta probabilità, per Travaglio non sarebbe un
problema. Ma sono così sicuri, i 56, che perseguire un ottimo non
meglio definito, su cui avrebbero difficoltà a concordare anche tra
loro se dovessero trascriverlo in norma, sia da preferire al bene
oggi possibile per il Paese?
di
Elizabetta Gualmini per l' Unità.TV
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