L’omicidio
Di Rosa e le
responsabilità “nere” mai punite
Il
ruolo del deputato del Msi Saccucci, una pagina cancellata da una
sentenza vergognosa
Il
toccante articolo della signora Mariella Di Rosa che pubblichiamo sul
nostro sito Unità.tv riporta alla memoria quella tragica giornata di
40 anni fa a Sezze Romano, piccolo e gradevole paese in provincia di
Latina, quando un gruppetto di fascisti aprì il fuoco uccidendo
Luigi Di Rosa, che era iscritto della Federazione giovanile
comunista.
Il
gravissimo episodio cadeva poche settimane prima delle elezioni
politiche del 1976, quelle del “massimo storico” del Pci, in un
clima politico accesisissimo, a metà di quei Settanta segnati
dall’incredibile intreccio di espansione della democrazia e dei
diritti (dal divorzio alle assemblee, dalle conquiste sindacali al
crescere dei movimenti giovanili e femminili) e violenza diffusa,
“rossa” e “nera”.
Nella
memoria, erano tempi belli e brutti nello stesso tempo. Per chi, come
chi scrive, era giovanissimo, non si viveva che di lotta politica:
con tutte le ingenuità di quegli anni. Lotta voleva dire proprio
lotta. Purtroppo anche fisica. Sotto scuola, nei quartieri. A Roma e
non solo, la Fgci del povero Di Rosa era fra due fuochi, quello dei
neofascisti e quello degli autonomi, la punta più dura galassia
dell’estremismo “rosso”, ugualmente violento.
Nel
capitolo della violenza – oggi se n’è un po’ persa memoria-
c’è appunto il lugubre paragrafo “nero”, l’azione
squadristica di gruppi più o meno legati al Movimento Sociale di
Giorgio Almirante (il capo del Msi a cui Giorgia Meloni vorrebbe
intitolare una strada di Roma). Il Msi siedeva in parlamento da lungo
tempo e lo stesso Almirante aveva modi signorili, grande eloquio e
parecchia furbizia politica, e come lui altri esponenti di quel
partito. Ma i militanti delle sezioni missine non andavano per il
sottile, e con essi gli universitari del Fuan, per non parlare dei
gruppi para-terroristici che via via si sono susseguiti. Venivano
fuori le compromissioni fra Ordine nuovo e Avanguardia nazionale e
ambienti stragisti.
Intanto
morivano giovani quasi quotidianamente. Giovani di sinistra, giovani
fascisti, giovani agenti.
A
Sezze, per l’appunto, la squadraccia si accompagnava a quel Sandro
Saccucci, già di Ordine nuovo e all’epoca dei fatti deputato del
Msi, che Giorgio Amendola – in una manifestazione della Fgci per Di
Rosa tenutasi a Roma il giorno dopo i fatti(ricordo che c’era
l’allora segretario della Fgci di Roma, il compianto Gianni Borgna)
– apostrofò con grandissimo sdegno.
Saccucci
quel giorno, nel suo comizio, tanto per far capire l’aria che
tirava, circondato dai suoi, a un certo punto tirò fuori la pistola:
e infatti poco dopo fu la tragedia. Incredibilmente, fu assolto in
Cassazione, con una di quelle sentenze che gridano vendetta: tutta
Sezze vide, tutta l’Italia giudicò.
40
anni dopo, la sorella di Luigi Di Rosa chiede ancora giustizia. Ha
ragione. E’ troppo facile, troppo sbrigativo, troppo banale, dire
che i conti con quella stagione di violenza sono stati saldati. La
giustizia ha fallito, nel caso del giovane di Sezze Romano. Almeno il
giudizio storico sui responsabili di quell’omicidio sia senza
sconti, 40 anni dopo.
di
Mario Lavia per L' Unità.TV
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