Un museo per ricordare la vita degli ebrei in un luogo che non fu solo di morte
A Varsavia un nuovo edificio dedicato alcontributo che i cittadini di religione ebraica
hanno dato alla storia della Polonia
Varsavia
è un grande laboratorio urbanistico. Dopo il 1989 la città è stata
ripensata. Il
passaggio dall’epoca del comunismo a quella scandita da democrazia
e mercato è stato plasmato anche dall’architettura. Alcuni
elementi, nel tessuto urbano, hanno la stessa forma di ieri, ma
cambiano le funzioni. L’esempio classico, in questo senso, è
quello del Palazzo della cultura e della scienza: una volta era la
casa del comunismo, adesso è un grande contenitore di consumo
culturale, pieno com’è di cinema, locali, musei e teatri. Altre
cose sono state costruite al posto di strutture preesistenti. Ci sono
infine edifici che hanno colmato uno spazio vuoto. È il caso
del Polin,
il museo sulla storia degli ebrei polacchi.
La sua sezione permanente è stata inaugurata nell’ottobre del
2014.
Il
Polin è un grosso cubo di vetro e acciaio, dall’aspetto molto
moderno. Si trova nel quartiere Muranow. Dove c’era il ghetto. Fu
raso al suolo dai nazisti dopo la tragica insurrezione del 1943. Il
grande spiazzo vuoto dove è planata la massa voluminosa del Polin ha
testimoniato a lungo, simbolicamente, il dolore e la morte. Il
museo invece vuole raccontare la vita. La
vicenda degli ebrei di Polonia non è presa dal lato dell’Olocausto,
che ne decimò la presenza nel paese (erano tre milioni) e a Varsavia
(all’epoca la città europea con la più alta componente ebraica).
Si tratta di narrare i mille anni – tanti sono – della
civilizzazione ebraica in Polonia. Lo ribadisce con nettezza Grzegorz
Tomczewski, responsabile stampa del museo.
Il
nome stesso del museo esprime questa volontà. Polin
in ebraico significa Polonia, ma anche “stare qui”.
Indica quindi un radicamento, una scelta di insediamento. Nelle sue
molte sale, illustrate con tecniche multimediali e visive
all’avanguardia, se ne ripercorrono le principali tappe. Dal
principio, intorno all’anno 1000. Fu allora che gli ebrei si
stabilirono in Polonia e iniziarono a incidere la tavola della
biografia nazionale del paese.
La
visita è ricca e interessante. Tuttavia emerge qualche dubbio in
merito al passaggio,
forse troppo rapido, dedicato alle discriminazioni, anche pesanti,
che lo Stato polacco operò a scapito degli ebrei a
cavallo delle due guerre. Il che ricorda che i rapporti tra i
polacchi e gli ebrei non sono stati, nel loro svilupparsi,
linearmente positivi. L’antisemitismo è stato un fenomeno che ha
attraversato la storia del Paese, anche durante i decenni del
comunismo. Nel 1968 il regime, incalzato da proteste e malcontento,
azionò proprio questa leva, riuscendo a scacciare l’attenzione dei
polacchi dalla crisi sistemica che lo stava piegando.
La
questione ebraica, durante la stagione del comunismo, si legò alla
manipolazione dell’Olocausto da parte del regime. Auschwitz fu
presentata soprattutto come l’evidenza dell’umiliazione
della nazione polacca dalla Germania,
più che come l’esperimento genocida perpetrato dai nazisti. Questo
perché, per ovvie ragioni ideologiche, occorreva edulcorare l’altro
lato amaro della storia polacca: l’occupazione e la successiva
annessione delle regioni dell’est da parte sovietica, processo
aggravato dalla strage
di Katyn.
È il luogo dove i sovietici sterminarono più di ventimila polacchi.
Queste distorsioni crearono risentimento tra ebrei e polacchi. I
primi ce l’avevano con i secondi perché non davano il giusto
risalto all’Olocausto, i secondi con i primi perché Auschwitz
imprigionava la discussione su Katyn.
Oggi
si può parlare di Aushwitz e Katyn. E una volta tolto il tappo alla
questione ebraica, la
Polonia ha riscoperto il contributo che i suoi “coinquilini”
hanno fornito alla storia nazionale.
Grzegorz Tomczewski ragiona proprio intorno a questo punto, lasciando
intendere che il Polin è una conseguenza di questo processo,
confinato non soltanto a Varsavia. Le tracce della civilizzazione
ebraica vengono analizzate e valorizzate in tutto il Paese.
Un
passo incoraggiante. Che non deve illudere (la Polonia deva ancora
elaborare e manifestare maggiore apertura e tolleranza verso
l’altro), ma permette di capire che l’associazione
tra nazionalismo e Polonia è a volte bruscamente automatica e non
tiene conto delle sfumature,
delle gradazioni o delle buone notizie, come la nascita del Polin.
Di
Matteo
Tacconi per L' Unità.TV
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