Noi della generazione Erasmus non accettiamo la fine dell’Europa
Lo
stop di Schengen è un campanello d’allarme per il nostro futuro
La crisi di Schengen rappresenta il sintomo più evidente della crisi di coscienza ed identità dell’Unione Europea. Non lo diciamo da ora. Come Giovani Democratici, già sei mesi fa, inviammo alle principali personalità del socialismo europeo una lettera di allarme su questo tema. Era il 20 giugno, occasione della Giornata mondiale del rifugiato.
Con
il documento intitolato “Cari compagni, noi di confini non ne
vediamo” chiedevamo ai leader del progressismo continentale
una risposta all’emergenza umanitaria che fosse all’altezza
dei valori che poniamo al centro del nostro impegno politico.
Da
troppo tempo l’apparente resa nei confronti delle politiche
conservatrici sta segnando l’azione di molti dei
governi socialdemocratici europei.
È
dai tempi della Seconda guerra mondiale che non si registra un numero
così elevato di persone che fuggono violenze e persecuzioni.
Queste persone chiedono solo la tutela della vita personale e
dei propri cari, garanzia di diritti fondamentali, speranza di un
futuro migliore. Gran parte di questa mole enorme di donne ed
uomini, per l’esattezza l’85%, trova rifugio in Paesi in via
di sviluppo, quasi sempre Stati confinanti rispetto a quello
di provenienza.
Il
caso più eclatante è il Libano, un fazzoletto di terra, un decimo
della superficie dell’Ue, che ospita oggi più di un milione
di rifugiati del conflitto in Siria.
Gli
Stati europei, invece, davanti a questa crisi umanitaria, hanno
scelto per la chiusura.
Invece
di mettere in campo da subito politiche migratorie e d’asilo
condivise, coordinate, vincolanti e adeguate alla situazione,
hanno preferito cimentarsi nel gioco dello “scaricabarile”
di questioni che toccano la vita di decine di migliaia di persone.
Invece
che superare “Dublino” e favorire una presa in carico comune
delle frontiere esterne, così da non lasciare soli i Paesi più
coinvolti, hanno mostrato il loro volto più duro e nazionalista,
arrivando a contrapporre alla faticosa conquista di secoli delle
libertà civili e delle politiche d’accoglienza,
un’intensificazione delle misure di sicurezza spinti dalla
paura degli atti terroristici che negli ultimi anni hanno
riguardato diversi Stati europei.
Vari
governi hanno messo in campo provvedimenti tesi a disincentivare
l’afflusso nel proprio Paese, più che puntare a una gestione
equilibrata del fenomeno, e sono state riscoperte pratiche
che pensavamo di aver abbandonato nel passato più buio; ci
riferiamo al “jewellery bill” danese, che consente la
confisca di beni ai rifugiati, alla disposizione data alla polizia
ceca di identificare i migranti marchiandoli con un numero sul
braccio o all’Ungheria dove chi aiuta un rifugiato è
perseguibile dalla legge. Abbiamo visto rialzarsi frontiere che
credevamo di aver abbattuto.
Riteniamo
che la libertà di circolazione delle persone sia un conquista
irrinunciabile: essa, infatti, è arrivata dopo secoli in cui
sul suolo continentale si sono consumate immani tragedie ed è
per questo la risposta migliore della civiltà contro la barbarie.
L’anniversario
di Schengen è stato celebrato con l’inasprimento dei controlli
alle frontiere e il rigurgito degli egoismi nazionali. Dai
migranti bloccati alla frontiera italo-francese e sgomberati
dagli scogli di Ventimiglia al filo spinato posto a dividere croati e
sloveni in Istria, una terra martoriata dai conflitti etnici,
passando per le richieste di diversi Stati membri di sospendere
la libertà di circolazione. Andando avanti di questo passo, l’Europa
ha i giorni contati.
I
giovani europei non possono rassegnarsi a questo stato di cose. Siamo
la generazione dell’Erasmus, dell’interrail, delle vacanze
nelle capitale europee. Siamo una generazione europea per
nascita e che deve avere gli Stati Uniti d’Europa come
proprio orizzonte.
I
Giovani Democratici saranno, come sempre, in testa a questa battaglia
“non per riordinare il mondo, non per rifarlo, ma per amarlo”.
Di
Michele
Masulli Mattia
Zunino per L' Unità.TV
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