30 apr 2016

Gozi: “In Europa siamo entrati in una nuova fase. Vi spiego perché”

Gozi: “In Europa siamo entrati in
 una nuova fase. Vi spiego perché”
Il sottosegretario con delega agli Affari europei: “Il nostro Paese sta portando avanti politiche nuove su crescita, immigrazione e asilo: è interesse della Commissione europea avere un’Italia con un ruolo così innovativo”
Le difficoltà economiche e sociali che l’Europa ha attraversato nell’ultimo periodo sta portando a dei profondi cambiamenti nei rapporti tra Stati e creando di volta in volta alleanze nuove anche a seconda dei temi da affrontare. È un’Europa in profonda trasformazione quella in cui l’Italia può giocare un ruolo da protagonista su temi centrali e attuali come la crescita, l’immigrazione e l’asilo: “un ruolo attivo e innovativo a livello europeo” fondamentale per “passare a nuove politiche a livello europeo”, come spiega il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega agli Affari europei Sandro Gozi. Centrale è la gestione dei flussi migratori partendo dalla collaborazione con l’Austria fino ad arrivare a una cooperazione europea che punti alla stabilizzazione della Libia, lavorando “insieme per bloccare sin dall’inizio – spiega Gozi – i trafficanti di esseri umani”.


Sottosegretario Gozi, cosa è cambiato in questi giorni nel rapporto tra Austria e Italia, soprattutto dopo gli ultimi incontri tra i due governi?


Intanto è stata fatta chiarezza: non ci saranno muri o barriere; queste misure saranno applicate solo in caso di flussi che riteniamo non verranno mai. E questo è un primo dato di chiarezza molto importante e positivo. È ovvio che noi comunque continueremo sia a lavorare a livello politico bilaterale sia a livello politico con la Commissione europea perché qualsiasi misura su cui l’Austria sta lavorando deve essere non solo annunciata ma anche indicata in maniera precisa e su questo occorre che la Commissione europea faccia il suo lavoro, cioè valuti il pieno rispetto delle regole di Schengen. Noi chiediamo – e questo è anche il senso dell’incontro che Renzi avrà con Junker – che la Commissione europea vigili sul pieno rispetto delle regole di Schengen. Noi a livello bilaterale continueremo a fare la nostra parte; oggi negli hotspot si identificano il 100% degli arrivi e stiamo rafforzando anche i centri per l’identificazione e le misure per i rimpatri. Per questo, le ipotesi e le misure di prevenzione alle quali l’Austria sta pensando non saranno mai necessarie.


Ma se l’Austria dovesse insistere?


In ogni caso, siamo in uno Stato di diritto, in prospettiva se l’Austria dovesse andare in direzioni diverse c’è sempre la possibilità di ricorrere alla Corte di giustizia. Gli strumenti in uno Stato di diritto come l’Unione europea ci sono ed è evidente che bisogna evitare qualsiasi atto unilaterale e occorre la Commissione valuti in maniera molto specifica anche perché le misure di chiusura non sarebbero legittime perché non sussiste un pericolo reale di incremento dei flussi tra Italia e Austria e non sarebbero necessarie né proporzionate. Le regole di Schengen prevedono che in certi casi di flussi eccezionali, si può comunicare e lavorare in maniera collegiale per prendere delle misure di emergenza, questo non è il caso. Riteniamo che un’eventuale chiusura del Brennero non sarebbe legittima.


E quindi cosa dice oggi Roma a Vienna?


All’Austria e agli altri diciamo “non sbagliamoci di frontiera”; quella su cui dobbiamo lavorare non è quella tra Italia e Austria, ma la frontiera esterna. L’Austria ci aiuti a definire in maniera rapida la decisione di creare il corpo di polizia europeo delle frontiere esterne che è la vera risposta se vogliamo cominciare a governare insieme anziché subire i flussi migratori e di rifugiati.


Parlando di Europa, la Germania è ancora la leader incontrastata o in questo momento ha delle difficoltà di leadership?


Oggi c’è un nuovo contesto politico in Europa perché ci sono diversi governi che chiedono una svolta sia in materia di politica economica che di politica delle migrazioni. Intorno al tavolo c’è l’Italia di Renzi, c’è Antonio Costa, nostro alleato portoghese e non c’è più il leader conservatore, c’è Alexis Tsipras con tutte le difficoltà della Grecia e non c’è più Samaras e quindi gli equilibri di forza tra conservatori e progressisti stanno cambiando e questo incide anche nelle dinamiche del Consiglio europeo. Credo che Angela Merkel continui ad avere una posizione centrale, ma siamo in una nuova fase politica ed è necessario che anche l’Europa cambi rapidamente e sta cominciando a farlo.


In cosa si sostanzia questa nuova fase?


A cambiare devono essere le sue politiche economiche e andare molto di più nella politica degli investimenti, della crescita e di norme che favoriscano le riforme e che acceleri anche una vera politica comune dell’immigrazione, un sistema d’asilo comune. Basta austerity e più Europa per rispondere ai problemi che solo l’Europa può risolvere come l’asilo e l’immigrazione. Poi è chiaro che in questo contesto anche le convergenze cambiano: sull’economia abbiamo una visione diversa da quella tradizionale della Germania.


L’altro nodo è l’immigrazione.


Anche grazie al lavoro che l’Italia ha svolto in questi due anni, abbiamo stabilito un’alleanza molto importante con Berlino e con Stoccolma. Mentre prima l’Italia era da una parte e la Germania e la Svezia dall’altra, noi parlavamo di politiche comuni mentre in altre capitali si pensava che il Mediterraneo fosse un problema italiano, oggi Roma, Stoccolma e Berlino sono quelle che spingono di più per andare nella direzione di un controllo europeo delle frontiere, di una revisione degli accordi di Dublino di un sistema di asilo comune, di un forte e nuovo partenariato tra Europa e Africa con il Migration compact. Non solo è cambiato il contesto politico, ma siamo in una situazione particolare per la quale le alleanze sono di tipo diverso a seconda dei temi. Il rapporto tra Italia e Germania è importante ma credo anche che in questa nuova dinamica l’Italia possa giocare un ruolo centrale, di leadership che non esercitava da tantissimo tempo.


La settimana prossima si terrà l’incontro tra Renzi e Junker, un incontro fondamentale che avviene durante un periodo di particolare difficoltà. Quali possibilità ci sono di far avanzare le richieste italiane e aumentare il peso dell’Italia in Europa?


Nei rapporti tra Italia e Commissione europea siamo entrati in una nuova fase: vogliamo che sia molto costruttiva e proficua. Certamente sono molto importanti le proposte che la Commissione europea ha fatto in materia di asilo, di immigrazione, di controllo delle frontiere esterne che vanno esattamente nella direzione auspicata dall’Italia. Sono lontani i tempi in cui la Commissione apriva le procedure di infrazione su Eurodac proprio nei confronti dell’Italia. Siamo in una fase positiva e anche il dialogo in materia di politica economica sta procedendo bene. Quindi credo che sia interesse della Commissione europea stessa ad avere un’Italia che svolga un ruolo attivo e innovativo a livello europeo perché su temi come la crescita, l’immigrazione e l’asilo bisogna passare a nuove politiche e l’Italia questo ruolo lo sta svolgendo. Ora bisogna andare avanti e serve che a queste premesse seguano poi dei risultati concreti.


Tra le proposte, sul tema dell’immigrazione c’è quella italiana per gli eurobond: pur non convincendo la Germania potrebbe passare in Europa?


Credo che la cosa importante ora sia registrare un ampio consenso e un forte interesse delle istituzioni europee e di tutti i governi per gli obiettivi del Migration compact e per la volontà di realizzare veramente quello scambio virtuoso tra europei e africani con l’Europa che da una parte che si impegni con più investimenti per lo sviluppo dell’Africa, e con l’Africa che dall’altra si assuma maggiori responsabilità assieme a noi nella gestione dei flussi migratori e contro i trafficanti di esseri umani. È chiaro che questo richiede anche nuovi strumenti finanziari e nuove risorse a quelli già esistenti nel bilancio europeo. Il dibattito è aperto, non so se arriveremo a creare degli eurobond, sono convinto però che questo dibattito ci permetterà di arrivare a identificare dei nuovi strumenti finanziari aggiuntivi rispetto a quelli che abbiamo e se altri partner europei hanno altre idee su come reperire le risorse noi siamo certamente interessati ad ascoltarle.


Gozi, l’ultima domanda: come si sta preparando l’Italia a fronteggiare gli arrivi massicci di questa estate?


L’Italia ha già preso delle misure importanti. Negli hotspot che abbiamo creato ora le identificazioni sono al 100% e abbiamo raddoppiato il numero delle commissioni territoriali che esaminano le richieste d’asilo. Prima ci volevano fino a due anni per le richieste ora in qualche mese, in alcuni casi anche in un paio di mesi, le procedure vengono espletate; abbiamo anche rafforzato il sistema Strar, cioè la cooperazione tra governo e Comuni per assicurare una gestione capillare su tutto il territorio degli arrivi dei potenziali richiedenti asilo; proprio giovedì il ministro Alfano ha proposto anche assieme ai nostri partner europei di lavorare nelle identificazioni direttamente sulle navi che monitorano il Mediterraneo. Credo che queste siano delle misure importanti che erano spesso invocate in passato e che siamo riusciti a introdurre. La soluzione politica di fondo, però, passa attraverso una stabilizzazione della Libia, e l’Italia, con gli altri partner, è interessata e pronta a collaborare con il governo libico perché la vera svolta nel controllo delle partenze è poter lavorare insieme per bloccare sin dall’inizio i trafficanti di esseri umani.
di Silvia Gernini per L' Unità.TV


“Ripresa per tutte le classi d’età, ora acceleriamo”. Parla il ministro Poletti

Ripresa per tutte le classi d’età, ora
 acceleriamo”. Parla il ministro Poletti
Il ministro del Lavoro: «La riduzione dell’incentivo è stataassorbita da imprese. Ci impegniamo a renderlo strutturale, decideremo presto con quale strumento»
Alla vigilia del Primo maggio e nonostante sia convalescente da un’operazione che lo tiene a casa nella sua Mordano (Romagna bolognese), il ministro Giuliano Poletti ci tiene a commentare i dati Istat sull’occupazione riferiti al mese di marzo.


Ministro Poletti, dopo due mesi di calo il numero di occupati torna a crescere e il tasso di disoccupazione cala di quattro decimali in un solo mese. Come se lo spiega?
«Penso che si vada consolidando una direzione chiaramente positiva. Veniamo da una fase molto lunga di crisi – abbiamo perso il 20 per cento dell’apparato produttivo – ora siamo tornati a crescere con una certa continuità e per questo aumenta anche l’occupazione. I numeri sono sia causa che effetto di questa situazione: la scelta che abbiamo fatto con la decontribuzione delle assunzioni a tempo indeterminato e quella di renderle più semplici col Jobs act. Ciò che era accaduto a dicembre è abbastanza ovvio: l’esplosione del numero dei contratti – il quadruplo della media dei mesi precedenti – era chiaramente spinta dalla decontribuzione. Un imprenditore valutava che assumere entro l’anno era conveniente, visto che dal primo gennaio la decontribuzione sarebbe scesa al 40 per cento. Ma è abbastanza evidente che questo ragionamento per un imprenditore vale per un mese o due. E difatti se a gennaio o a febbraio le assunzioni sono scese, ora tornano a salire. In questo momento dunque la spinta ad assumere è fisiologica e non più dovuta all’effetto dell’incentivo della decontribuzione. E’ chiaro, però, che siamo ancora in una fase non chiaramente stabilizzata e che abbiamo bisogno di una dinamica della crescita più rapida: non è un caso che tutte le politiche del governo spingano in questo senso».


Guardando alla scomposizione per classi d’età dei dati Istat se da un lato salta all’occhio finalmente il calo della disoccupazione giovanile, dall’alto il segno meno rimane sensibile per quella 35-49 anni. Come se lo spiega?
«E’ evidente che l’innalzamento della età pensionabile opera in maniera pressoché meccanica: è normale che i lavoratori che non riescono ad uscire dal mercato aumentino il loro peso sul totale. In più l’anno passato è avvenuto un fenomeno che ha una sua logica: le imprese che sono ripartite dopo la crisi hanno deciso, in gran parte, di riprendere le persone che lavoravano lì prima o comunque persone con esperienza. E questo ha oggettivamente sfavorito i giovani. Oggi invece ritengo che, anche grazie a Garanzia giovani – fra qualche settimana presenteremo il resoconto con informazioni sull’aumento del tasso di occupabilità – abbiamo portato dentro la ripresa anche i giovani. In più, come conferma il rapporto Almalaurea, nell’ultimo periodo a trovare lavoro sono più facilmente i giovani con titoli di studio più alti: un miglioramento qualititativo delle assunzioni che mi fa molto piacere».


La riduzione al 40 per cento degli incentivi alle imprese dunque non inciderà sui prossimi mesi? Nel Def si propone di renderli strutturali. Lei è d’accordo?
«L’incentivo della decontribuzione continua ad avere una sua efficacia sulla scelta di tipologia del contratto. Seppur ridotto, anche nel 2016 un contratto a tempo indeterminato costa di meno di un tempo determinato. Mentre prima del Jobs act succedeva esattamente il contrario: in modo completamente paradossale, alle imprese costavano meno i contratti precari. Per quanto riguarda il futuro dobbiamo trovare la modalità attraverso la quale il vantaggio si realizzi in modo definitivo».


Ci sta dicendo che cambierà lo strumento? Non ci sarà più l’incentivo della decontribuzione?
«E’ un tema che stiamo valutando. Non si può mantenere l’incentivo alla decontribuzione. Vedremo di trovare la soluzione migliore. Ricordo, però, che una parte del lavoro la abbiamo già fatta: togliendo il costo del lavoro a tempo indeterminato dall’imponibile Irap, il contratto a tempo indeterminato costa già il 5 per cento in meno rispetto al tempo determinato. Se si aggiunge quasi un punto che riguarda gli oneri previdenziali, si arriva ad un costo inferiore di quasi il 6 per cento. Una cifra non irrisoria che vogliamo però aumentare sensibilmente».


Rimanendo sempre ad Def, il governo mette nero su bianco che l’obiettivo del tasso di disoccupazione è del 10 per cento nel 2018. Un dato ora raggiungibile ma che rimarrà sempre molto sopra la media europea.
«Sì, ma noi dobbiamo costruire degli scenari credibili. Il Fondo monetario internazionale ci ha sempre detto che recupereremo i livelli di occupazione pre-crisi in 20 anni. Ora, invece, alla velocità di 260mila posti in più ogni anno, possiamo riuscirci in tre o quattro. Poi è chiaro che abbiamo obiettivi più ambiziosi. Quelli indicati nel Def sono la conseguenza razionale e logica dei dati economici (Pil, parametri europei). Lavoriamo per far scendere più velocemente il tasso di disoccupazione. Questo significa impegnarsi per accelerare il ritmo di crescita e favorire lo sviluppo delle imprese esistenti e la nascita di nuove. Per questo lavoriamo coi giovani per l’auto imprenditorialità e sul digitale: con Garanzia Giovani abbiamo coinvolto 50mila giovani per rendere più digitali gli artigiani».


Passiamo al tema dei voucher. Il boom del loro utilizzo è sotto gli occhi di tutti. Lei ha promesso che “stringerà i bulloni” del sistema. Ci spiega come?
«Entro qualche settimana introdurremo un meccanismo di tracciabilità: le imprese, prima di attivare i voucher, dovranno mandare all’Inps una mail o un sms. La richiesta sarà personalizzata col nominativo del lavoratore e per quel determinato periodo: per quante ore e quanti giorni. Attualmente la dichiarazione andava fatta a fine mese. Se qualcuno voleva fare il furbo, utilizzava il voucher solo quando arrivavano i controlli. La norma farà parte del primo decreto correttivo al Jobs act che siamo tenuti a fare. Il testo è già pronto».


I sindacati denunciano però che perfino nei cantieri edili i voucher sono esplosi. E spesso le imprese li erogano solo dopo un’infortunio, come ammette perfino l’Inail. Non sarebbe il caso di tornare alla legge Biagi che ne delimitava l’uso del lavoro accessorio a pochi settori?
«Intanto c’è un punto. Non possiamo parlare solo degli utilizzi patologici dei voucher. Anche nel caso che lei citava ci sono elementi di positività: i voucher incorporano un’assicurazione contro gli infortuni. Non dobbiamo avere una doppia coscienza: parlare di voucher scandalo e poi tollerare il lavoro nero. In più dico: noi col Jobs act i voucher li abbiamo tolti ed esclusi dagli appalti».


Quindi nessun ripensamento? Si va avanti così?
«Io credo vada fatta una valutazione e una lettura puntuale di quello che succede. Noi ora sappiamo che i voucher hanno avuto un largo utilizzo nei settori del turismo e dei servizi, che prima utilizzavano maggiormente la tipologia del lavoro a chiamata. Dunque al momento possiamo sostenere che i voucher hanno in buona parte sostituito questa tipologia. Dopo di che, con il meccanismo della tracciabilità avremo dati ancora più precisi per valutare assieme all’Inps la situazione in maniera più generale. Se ci sono situazioni come quella che lei citava nell’edilizia, non sono contrario a rivalutare l’utilizzo in quel settore. Ma i cambiamenti possono essere fatti se ci sono elementi reali e convincenti che li motivano. Infine, ricordo che fra poche settimane partirà l’unificazione di tutti gli ispettori: Ministero del Lavoro, Inail, Inps, nuclei dei Carabinieri insieme avranno un maggiore potenziale di analisi e valutazione per controlli mirati e specifici. Per avere più lavoro servono più imprese; ma imprese sane, che rispettano la legge, che non sfruttano i lavoratori. Se da una parte aiutiamo le imprese, dall’altra in maniera irriducibile e feroce andremo contro chi non è regolare e mette in difficoltà chi segue le regole. Siamo partiti con i controlli sulle cooperative e ora andremo avanti speditamente, rendendo immediatamente pubblici i dati».


Ultima domanda, il Contratto dei metalmeccanici pare lontano…
«Non entro nel merito delle difficoltà. Ma constato con piacere che i contenuti delle piattaforme che entrambe le parti hanno presentato sono i più innovativi che si sono visti in questa tornata di rinnovo. Poi, ad ognuno il suo: l’accordo spetta alle parti. Posso solo dire che noi come governo non interverremo in alcun modo».
di Massimo Franchi per L' Unità.TV


Referendum costituzionale, cinque domande a Marco Travaglio

Referendum costituzionale, cinque
 domande a Marco Travaglio
I punti che abbiamo sollevato toccano tutti gli aspetti esaminati dai 56 costituzionalisti. Sono riassumibili in 5 punti e pongono altrettante domande, molto semplici, nette e chiare, sia a loro sia al direttore del Fatto


Marco Travaglio sul Fatto di ieri ci ha dedicato un immeritato fiume di parole, secondo il suo stile. Come altri che lo hanno preceduto, parla del tono del nostro pezzo pubblicato il giorno prima su l’Unità, dei conti fatti sull’età dei 56 costituzionalisti del “NO” e della nostra notorietà. Si lamenta per la mancanza di contenuti, che fa finta di non vedere, solo perché gli risultano un po’ fastidiosi e forse difficili da maneggiare. Ci spiace se l’articolo sia risultato offensivo. Il dibattito pubblico ha le sue asprezze e richiede anche un po’ di vivacità. Toni affilati che non dovrebbero scandalizzare proprio il direttore del Fatto. Forse ne abbiamo abusato, certo non per gettare discredito sui 56 illustri colleghi del NO.


Comunque, il confronto con gli articoli di Travaglio, non solo quello che ci riguarda, fanno capire anche ai più sensibili tra loro come, nella comparazione, il nostro sia puro stile british dei tempi della regina Vittoria. In effetti, abbiamo posto un problema riguardo alla composizione del gruppo dei 56 perché ci sembra evidente sia parte del messaggio che loro stessi hanno deciso di comunicare e che non a caso Travaglio enfatizza. Abbiamo citato la loro età media come un indicatore dei criteri di autoselezione del gruppo che riflettono alcune caratteristiche delle élite del nostro paese. Per farci capire meglio, avremmo potuto forse notare che tra i 56 solo 4 sono donne. Ma ben più dei due terzi dell’articolo sono dedicati al merito delle posizioni da loro espresse sulla riforma.


I punti che abbiamo sollevato toccano tutti gli aspetti esaminati dai 56. Sono riassumibili in 5 punti e pongono altrettante domande, molto semplici, nette e chiare, sia a loro sia al direttore del Fatto.


1) Dopo una attenta lettura della riforma costituzionale, i 56 illustri colleghi sollevano alcune critiche al progetto, su aspetti minori che riguardano la ripartizione della competenze tra Camera e Senato, tra Stato e Regioni. Il risultato dell’attento «esame» a cui hanno sottoposto il testo è quindi del tutto incompatibile con la teoria della “svolta autoritaria” che Travaglio e il Prof. Zagrebelsky hanno sostenuto con veemenza fino a pochi giorni prima e che Travaglio continua a sostenere. Ci sbagliamo? I Proff. Cheli, De Siervo, Casavola, Onida, Lanchester, di cui abbiamo infinita stima, credono forse che la riforma apra le porte ad una involuzione antidemocratica?


2) Il documento del 56 chiede un Senato più forte e un processo legislativo più semplice, due obiettivi palesemente contradittori. Dove ci sbagliamo? I 56 sarebbero in condizione di scrivere e di accordarsi tra loro su una norma corrispondente, contestualmente, a queste due linee guida?


3) Il documento fa chiaramente intendere che quel Senato più forte dovrebbe essere composto dai Presidenti di Regione e da loro delegati. Ci sbagliamo? C’è un altro senso che si può dare alle loro affermazioni a questo riguardo? Se questa fosse, come a noi pare, l’unica interpretazione plausibile delle loro tesi, cosa ne pensa Travaglio? O meglio, cosa ne avrebbe detto se fosse stata inclusa nel progetto Boschi?


4) Secondo i 56 la riforma avrebbe dovuto prevedere un altro Cnel al posto del Cnel, non considerare la riduzione del numero dei parlamentari come una priorità, dare maggiori poteri alle Regioni (ma non ci dicono esattamente quali). Travaglio è d’accordo?


5) Il documento sottovaluta le difficili condizioni di necessità in cui è stata finalmente varata una riforma promessa da decenni, e i rischi a cui verrebbe sottoposto il Paese se ci dovessimo ritrovare, con il nostro sistema politico attuale, nelle condizioni della Spagna. Con tutta probabilità, per Travaglio non sarebbe un problema. Ma sono così sicuri, i 56, che perseguire un ottimo non meglio definito, su cui avrebbero difficoltà a concordare anche tra loro se dovessero trascriverlo in norma, sia da preferire al bene oggi possibile per il Paese?
di Elizabetta Gualmini per l' Unità.TV


Civitavecchia: il M5S non abbassa le tasse. Che fine hanno fatto i soldi dell’Enel?

Civitavecchia: il M5S non abbassa le
 tasse. Che fine hanno fatto i soldi
 dell’Enel?
Civitavecchia è una delle città più tassate d’Italia ma i soldi incassati dal Comune da Enel non servono a diminuire la pressione fiscale
Sorda a qualsiasi tipo di allarme e indifferente alle lamentele dei cittadini, la maggioranza a Cinquestelle del consiglio comunale di Civitavecchia è andata nuovamente fuori strada, approvando alcuni giorni fa le nuove aliquote fiscali e lasciando praticamente invariata la tassazione lacrime e sangue che ha dato il patentino alla nostra Civitavecchia di essere una delle città più tassate d’Italia.


Una scelta deprecabile, quella operata dai Cinque Stelle e dal Sindaco Cozzolino, che arriva peraltro dopo l’incasso dei soldi dell’Enel che a questo punto ci chiediamo dove siano andati a finire. Non si comprende infatti la logicità di mantenere fissa una delle pressioni fiscali più alte d’Italia a fronte di un finanziamento esterno che ha sicuramente ridato ossigeno alle casse comunali. E’ bene ricordare che Cozzolino, nella sua campagna elettorale, si era più volte scagliato contro l’azienda e la centrale Enel in nome della salubrità e della tutela dell’ambiente, ma alla fine aveva deciso di sottoscrivere una nuova convenzione pluriennale con Enel a favore del comune da lui amministrato ed usare quei soldi per opere pubbliche. Invece vengono utilizzati per la spesa corrente. E le tasse rimangono invariate.


La decisione presa è chiaramente penalizzante per le centinaia di famiglie che in città hanno forti difficoltà ad arrivare alla fine del mese ed è stata adottata con una leggerezza tale che rende l’idea di come la sorte dei cittadini stia a cuore a questa giunta.


Con questo voto siamo di nuovo di fronte alla politica che si erge a prepotenza, dove le tasse aumentano a dismisura, dove la maggioranza non ascolta ciò che consiglia la minoranza e dove i soldi dell’Enel spariscono fagocitati nel grande burrone della finanza del Pincio.


In tutto ciò, ovviamente, non va dimenticata la disastrosa situazione delle società partecipate, sull’orlo del baratro, senza ancora un briciolo di piano di risanamento, sebbene promesso a suo tempo, e con i lavoratori senza stipendi da sette mesi. A questo vanno aggiunti in questi giorni i lavoratori della Helyos, società che gestisce i servizi di bidelleria ed accoglienza presso gli uffici comunali, anche essi senza stipendio da qualche mese ed in procinto di scioperare. In definitiva, un panorama disastroso, un futuro altrettanto disastroso, con una giunta che, chiusa a riccio, continua a tassare, senza logica, con il presunto obiettivo di risanare distruggendo ogni barlume di speranza di amministrare secondo efficienza, come legge e Costituzione vogliono.


Il grande interrogativo resta: che fine hanno fatto i soldi dell’Enel?


E’ chiaro che, a prescindere dalla risposta, la spina a questa giunta va staccata, per il bene della città e per il suo futuro. Che se ne convincano i consiglieri di maggioranza, se non vogliono essere complici dello scempio in atto.
di Claudia Feuli per L' Unità.TV


29 apr 2016

I conti di Expo sono anche meglio del previsto. Pd: “Ora tocca a Parisi”

I conti di Expo sono anche meglio del
 previsto. Pd: “Ora tocca a Parisi”
Bussolati e Majorino: “Sala ha reso pubblica la sua dichiarazione dei redditi, perché Parisi non fa lo stesso con la sua e quella delle sue società?”
La campagna elettorale milanese entra nel vivo e, a poco più un mese dal voto, uno degli argomenti principali dei detrattori di Giuseppe Sala, ex ad di Expo ora candidato sindaco del centrosinistra, sembra destinato ad un inesorabile sgonfiamento. A fine 2015 è di 30,7 milioni di euro il patrimonio netto della società Expo, rettificato alla data di messa in liquidazione della società in 23 milioni di euro. Lo comunica Expo Spa in una nota diffusa alla vigilia della riunione dell’assemblea dei soci che dovrà presentare i conti della società al collegio dei liquidatori, insediatosi il 18 febbraio scorso.


Sala ha consegnato il rendiconto sulla gestione, il conto economico e lo stato patrimoniale della società al 31 dicembre 2015 e la relativa integrazione fino al 18 febbraio 2016, data di effettivo insediamento dei liquidatori. Al termine della riunione del 21 dicembre 2015 del Consiglio di amministrazione di Expo, convocato per presentare i dati preliminari del bilancio 2015, era stata comunicata una previsione di patrimonio netto di 14,2 milioni di euro.


Con l’ennesima certificazione della bontà dei conti di Expo, che sono addirittura meglio del previsto, gufi e avvoltoi possono tornare a rintanarsi”. Cosi’ il segretario del Partito Democratico di Milano, Pietro Bussolati, ha commentato le anticipazioni sul rendiconto dell’esposizione universale di Milano, diffusi ieri dalla società. Adesso secondo Bussolati “tocca a Stefano Parisi“, candidato sindaco del centrodestra a Milano, “mostrare i redditi degli ultimi cinque anni, come fatto da Beppe Sala, magari anche quelli della sua società”. Da quanto letto “in questi mesi sui giornali – ha concluso – sembra che più che Expo il buco l’abbia fatto Chili Tv”, la società fondata da Parisi.


Spero che da oggi si chiuda questa polemica – gli fa eco Pierfrancesco Majorino, capolista del Partito Democratico – e si continui a considerare preziosa l’eredità di Expo per la nostra città. La palla ora passa dall’altra parte del campo, dove si percepisce una certa nebbia. Mi chiedo perché Parisi non faccia altrettanto e non sia disponibile a dare le liste che lo sostengono alla commissione antimafia“.
di Stefano Cagelli per L' U'nità.TV


Lee Konitz and Warne Marsh Full Album


Marcus Miller - North Sea Jazz 2015


Internet day, Renzi: il web crea posti di lavoro, è una sfida senza colore politico

Internet day, Renzi: il web crea posti di 
lavoro, è una sfida senza colore politico
Con Internet c’è creazione di posti di lavoro. Il mondo della manifattura 4.0 provocherà un cambiamento radicale: lo sta già provocando nei fatti. Finalmente ci sono segnali importanti di crescita dell’occupazione. Ma da qui a dieci anni molti settori saranno travolti dalle nuove tecnologie. E l’Italia deve essere all’avanguardia: non ci accontentiamo aver ridotto la disoccupazione ai minimi negli ultimi quattro anni, ancora non basta”. Lo ha detto il presidente del Consiglio in collegamento video con l’Internet day di Pisa, in occasione del 30° anniversario della prima connessione web in Italia che avvenne dal Centro universitario per il calcolo elettronico (CNUCE) di Pisa fino alla stazione di Roaring Creek in Pennsylvania, negli Stati Uniti.


Internet è uno straordinario strumento che allarga i diritti”, sottolinea Renzi, ricordando l’impegno per il Freedom of information act (Foia). “La prima cosa – aggiunge – è che il governo semplifichi”. Lo Spid, il sistema pubblico d’identità digitale che con un pin unico permette di accedere ai servizi della pubblica amministrazione, “è il primo passo”: “I nostri progetti sono partiti anche se possiamo fare meglio”.


Anche l’energia – osserva – sarà trasformata dalla tecnologia, come con i nuovi contatori intelligenti di Enel che daranno lavoro a migliaia di elettricisti nei prossimi anni”.


Siamo in presenza – conclude il premier – di una vera rivoluzione e dobbiamo scommettere sul capitale umano. Questa sfida non ha colore politico, anche per questo e’ incomprensibile la polemica e la contestazione di oggi. Il futuro è di chi arriva prima e lo prende per prima, io voglio che l’Italia sia in prima linea e grazie all’aiuto di tutti ce la faremo”.
da Partito Democratico Amministrazione


“L’Italia ha salvato la dignità dell’Europa”. L’editoriale della Süddeutsche Zeitung

L’Italia ha salvato la dignità dell’Europa”.
 L’editoriale della Süddeutsche Zeitung
L’autorevole quotidiano tedesco si schiera con Roma: “La costruzione del muro del Brennero sarebbe il fallimento dell’Europa”
Non c’è solo la Germania dell’egoismo, rappresentata oggi dalle parole dal ministro dell’Interno Thomas de Maiziere. C’è una Germania che capisce il dramma che sta vivendo l’Europa e che sa valutare i rischi che la situazione di oggi può portare con sé. “La costruzione di un muro sul Brennero potrebbe diventare il simbolo del fallimento dell’ Europa nella politica dei profughi”. Lo scrive oggi la Süddeutsche Zeitung, secondo cui fra muri e barriere, “simbolicamente”, non c’e’ differenza, bocciando la decisione austriaca.


Dietro le prese di posizione di Vienna, ancora una volta, ci sono gli interessi nazionali (elettorali in particolare), sempre anteposti a quelli collettivi. Commentando il risultato ottenuto dalla destra del Fpoe in Austria, il quotidiano sottolinea che la politica interna potrebbe giocare un ruolo purtroppo decisivo: “Il governo cerca di limitare i danni con le sue decisioni. Ma questo non migliora la situazione, al contrario”.


A proposito delle stime sul flusso di migranti verso l’Italia, il quotidiano bavarese sentenzia che sono una certezza. E poi afferma: “Gli austriaci non credono che gli italiani possano riuscire a stoppare il flusso migratorio”. Anche questa previsione “è giusta”, scrive Sz, “come potrebbero farcela gli italiani, anche se volessero? La frontiera blu, quella in mare, non si lascia chiudere, neppure con una barriera. Piuttosto, negli anni passati gli italiani hanno salvato decine di migliaia di profughi dall’emergenza del mare. E con questo anche la dignità dell’Europa”, si legge ancora.


Lo hanno fatto in un tempo in cui l’Europa si voltava dall’altra parte e ignorava le tragedie del Mediterraneo, come se fosse una questione solo italiana”. Sz aggiunge che è vero anche che l’Italia ha violato l’accordo di Dublino: facendo passare i migranti senza registrarli. “Ma come si può prendersela con loro per questo? I loro appelli alla solidarietà nell’Ue e alla condivisione del problema e alla giusta divisione svanivano. Rimbalzavano di fronte agli egoismi nazionali“.
di Stefano Cagelli per L 'Unità.TV


Berlino a gamba tesa: la responsabilità dei flussi è tutta dell’Italia

Berlino a gamba tesa: la responsabilità 
dei flussi è tutta dell’Italia
In una conferenza stampa congiunta con l’omologo austriaco, il ministro dell’Interno tedesco scarica su Roma le responsabilità dei flussi e delle trattative con il nuovo governo libico
Il governo tedesco entra nel dibattito tra Italia e Austria sulla questione del Brennero. E lo fa a gamba tesa. Dopo un incontro con l’omologo austriaco Wolfgang Sobotka, avvenuto a Potsdam, nell’est della Germania, il ministro dell’Interno tedesco Thomas de Maiziere ha invitato l’Italia a controllare i flussi dei migranti. “Roma è consapevole della gravità del problema, la questione dei controlli al Brennero è soprattutto nelle sue mani. Deve aprire delle trattative con il governo libico“. Ancora una volta, insomma, la condivisione di responsabilità europea tanto agognata, alla luce di queste parole, rimane una prospettiva lontana.


Come se non bastasse, il ministro tedesco ha anche fissato un limite entro il quale l’Italia non ha diritto a chiedere aiuto. Rispondendo alla domanda di un cronista che gli chiedeva se non temesse che il nostro Paese potesse essere invaso da un flusso enorme di migranti, de Maiziere ha risposto con un paragone con la Grecia: “Quest’ultima – ha detto – ha 10 milioni di abitanti e ha accolto 60mila rifugiati, l’Italia con 60 milioni per arrivare alla stessa proporzione dovrebbe accoglierne 350mila prima di poter chiedere aiuto, numero da cui siamo molto lontani”. De Maiziere ha anche detto di condividere il parere dell’Austria sul fatto che “al confine dell’Italia verso nord non debba crearsi una situazione come quella della rotta balcanica” e che non debba essere attuata “una politica del lasciar passare”.


Sobotka, che ieri era a Roma per colloqui con il ministro degli Interni Angelino Alfano, ha ribadito che “è un dovere dell’Italia” impedire un flusso di migranti verso il Nord dell’Europa dopo la chiusura della cosiddetta “rotta dei Balcani”. L’Austria – il cui governo ha inasprito in modo molto netto la politica migratoria, tanto da destare la preoccupazione del segretario generale delle Nazioni unite Ban Ki-moon – ha deciso che da fine maggio potrebbe reintrodurre controlli alla frontiera del Brennero.


Alle parole di de Maiziere risponde a distanza il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’Europa Sandro Gozi: “La frontiera su cui agire è la frontiera esterna dell’Unione Europea, per questo abbiamo proposto un corpo di polizia comunitario che agisca proprio su questo. Tutti siamo preoccupati dell’aumento dei flussi, lo siamo anche noi. Allora ci diano una mano a mettere in sicurezza la frontiera esterna, tutti lavorino alla stabilizzazione della Libia. La palla è in mano alla Commissione europea: Schengen vuole dire libertà e l’Italia non può essere lasciata sola“.
di Stefano Cagelli per L' Unità.TV


Fisco, si cambia: nel mirino solo le grandi evasioni: basta interventi sui piccoli errori

Fisco, si cambia: nel mirino solo le grandi
 evasioni: basta interventi sui piccoli errori
ROMA - Basta controlli sugli errori formali che fruttano pochi soldi, meno disinvoltura nell'attribuire ai contribuenti redditi presunti, cautela nell'utilizzo delle indagini finanziarie. E poi più comunicazioni per segnalare eventuali anomalie prima che parta un vero e proprio accertamento, intensificazione della lotta alle grandi frodi comprese quelle internazionali. La lotta all'evasione prova a cambiare passo, come spiega la stessa Agenzia delle Entrate nel presentare l'importante circolare con cui come ogni anno...
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Pd-Ala, Guerini: “Escludo ingressi in maggioranza, normale incontro parlamentare”

Pd-Ala, Guerini: “Escludo ingressi in
 maggioranza, normale incontro 
parlamentare”
La sinistra attacca. Cuperlo: “Qual è la prospettiva?”
La notizia data stamane da Huffington Post su un incontro, domani, fra Pd e Ala – il gruppo di Verdini – sta suscitando interrogativi, soprattutto nella minoranza dem che vi legge con preoccupazione un ulteriore passaggio in vista di un ingresso organico dei verdiniani nella maggioranza di governo. Se Roberto Speranza parla di “follia”, Gianni Cuperlo riflette: “Il gruppo dirigente del Pd incontra chi vuole, noi abbiamo preso atto da tempo che la maggioranza che sostiene il governo comprende anche quelle forze. Io ho posto un problema diverso, se quella è la prospettiva politica per il dopo”.


Ma, a parte la precisazione che l’incontro non avverrà al Nazareno (in una sorta di remake in sedicesimo del famoso Patto fra Renzi e Berlusconi del gennaio di due anni fa), perché sarà a Montecitorio, dal quartier generale del Pd arriva anche una secca precisazione di Lorenzo Guerini, vicesegretario del partito: “Escludo ingressi in maggioranza, si tratta di un normale incontro fra gruppi parlamentari sui prossimi provvedimenti”.


Un ridimensionamento in piena regola, dunque, di quello che era stato dipinto come un Nazareno 2.


Non è un mistero però che al Senato i numeri della maggioranza siano molto risicati e che in più di un’occasione (non tantissime, per la verità) il soccorso della truppa verdiniana è stato importante quando non decisivo. Anche perché – è un dato di fatto – talvolta il sì della minoranza pd è venuto a mancare rendendo indispensabili altri apporti. Di qui l’esigenza di verificare i rapporti parlamentari; ed è un tema che inevitabilmente si incrocia con le scelte di Ala (il cui gruppo al Senato è arrivato a quota 20).


Per questo, l’incontro di domani. Un passaggio non irrilevante, certo, ma che non segna la nascita di una nuova maggioranza politica.
di Mario Lavia per L' Unità.TV


28 apr 2016

Napoli. M5S in tribunale: il Movimento propone il reintegro, gli espulsi rifiutano: «Rifacciamo le Comunarie»

Napoli. M5S in tribunale: il Movimento
 propone il reintegro, gli espulsi rifiutano:
 «Rifacciamo le Comunarie»
E venne il giorno del faccia a faccia. Gli espulsi del Movimento 5 Stelle sono in fibrillazione: si è sparsa la voce che per il ricorso che hanno presentato una decina di giorni fa potrebbero vedersela con Beppe Grillo in persona. Alla fine, nella stanza del giudice Graziano, alla VII sezione civile del tribunale di Napoli, a rappresentare i Cinquestelle si presenta la deputata Roberta Lombardi.
Ascoltate le ragioni delle parti, il giudice sonda le reciproche disponibilità per un accordo bonario. A sorpresa, Lombardi accetta la proposta di ritirare le espulsioni, reintegrando così i 23 ricorrenti, messi alla porta con l'accusa di aver fondato su Facebook il gruppo segreto Napoli Libera. Il "no" degli ex attivisti, però, è netto. "Vogliamo che si rifacciano le Comunarie", ribadisce Luca Capriello, uno degli aspiranti candidati sindaco. "Non ci sono i tempi tecnici", replica Lombardi. Il giudice potrebbe decidere già domani.
di Davide Carbone per il Mattino di Napoli


Iniziato il concorsone per 63mila cattedre. Ma i sindacati faranno sciopero

Iniziato il concorsone per 63mila cattedre.
 Ma i sindacati faranno sciopero

In palio 63 mila cattedre: 150 minuti di tempo per conquistare i posti banditi dal ministero dell’Istruzione
Giornata campale per decine di migliaia di insegnanti, è il giorno del concorso per docenti previsto dalla “Buona scuola”: in palio 63.712 cattedre. Si è cominciato stamattina con storia dell’arte, laboratori di liuteria e scienze agrarie. Il Ministero dell’Istruzione ha fatto sapere, replicando alle voci diffuse sui social di un “caos” nell’avvio della selezione nazionale per i docenti che “il concorso è partito regolarmente”.


Dopo tanti anni si torna alla Costituzione: l’abilitazione è un titolo fondamentale ma non è il concorso. La cattedra si ottiene con una selezione pubblica come, appunto, prevede la Costituzione”. Così il ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, parlando a RaiNews24 del concorso per gli insegnanti che inizia questa mattina con la prova scritta. Sono circa 165mila gli insegnanti che partecipano alla selezione per 73mila assunzioni. “L’abilitazione – ha aggiunto Giannini – è diventata una forma di accesso al precariato. Questo è il primo di un ciclo di concorsi” e, come sottolinea il ministro, “si tratta del concorso più grande che la scuola italiana abbia mai organizzato dopo tantissimi anni di concorsi bloccati”.


Le prove scritte andranno avanti fino al 31 maggio prossimo. Imponente la macchina organizzativa. Sono infatti oltre 2.500 le sedi d’esame, 139 le classi di concorso coinvolte a fronte delle 31 della selezione del 2012. Per gli scritti sono state elaborate 93 tipologie di prova. La prova prevede 8 domande che riguardano la materia di insegnamento di cui 2 in lingua straniera (inglese, francese, tedesco o spagnolo, obbligatoriamente l’inglese per la primaria). L’età media dei candidati è di 38,6 anni, ma tra gli iscritti c’è anche chi è ormai a fine carriera.


I quesiti saranno: 6 a risposta aperta (di carattere metodologico/didattico e non nozionistico) e 2 (quelle in lingua) a risposta chiusa. Lo scritto avrà una durata di 150 minuti. Mentre sono previsti 45 minuti per l’orale: 35 per una lezione simulata e 10 di interlocuzione fra candidato e commissione. Nella valutazione dei titoli si valorizzeranno, fra l’altro, i titoli abilitanti, il servizio pregresso, il dottorato di ricerca, le certificazioni linguistiche. Per consentire ai candidati di familiarizzare con la procedura d’esame nella giornata di oggi il Miur ha messo a disposizione un video tutorial sul proprio canale YouTube.
Sono prove innovative – ha sottolineato ancora il ministro Giannini – tengono conto che gli aspiranti docenti che faranno questo concorso a partire da oggi sono tutti abilitati e quindi abbiamo già avuto modo di controllare verificare le loro competenze la loro conoscenza delle materie su cui si presentano. Quello che ci interessa è verificare come sanno insegnare, quindi sia nell’orale che nello scritto sarà prevalente la metodologia, la volontà di vedere se saranno dei buoni insegnanti”.


Ma i sindacati danno battaglia e annunciano lo sciopero della categoria per il 23 maggio per protestare contro una selezione ritenuta «iniqua, farraginosa e non adeguata alle esigenze dei territori e dei docenti» e per chiedere il rinnovo del contratto degli insegnanti, hanno annunciato uno sciopero generale, in tutta Italia. «Il ministro Giannini dice che il meglio deve ancora venire? Ebbene il meglio glielo organizziamo noi. Il 23 maggio faremo uno sciopero generale in tutta Italia, se questo è quello che vogliono da noi, glielo daremo».
di Maddalena Carlino


25 apr 2016

Manhattan Jazz Quintet - Caravan


Manhattan Jazz Quintet - Autumn Leaves


Delrio: «Opere pubbliche prioritarie, pronto il piano con le Regioni»

Delrio: «Opere pubbliche prioritarie,
 pronto il piano con le Regioni»
Ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio, a che punto è il piano delle opere pubbliche con le Regioni, il primo di questo genere?
«Ci abbiamo lavorato per mesi ed ora il piano è pronto. Sono state messe a punto le priorità per quanto riguarda strade, ferrovie, intermodalità, porti e aeroporti. Per mettere in fila le cose da fare. C’è stata una ricognizione dei fabbisogni, penso ai pendolari ad esempio, e delle criticità da risolvere. Opere utili, da completare o da fare, con risorse certe e tempi certi. Tra le priorità, che le posso anticipare, ci sono opere come la Pedemontana in Piemonte, la Orte-Civitavecchia con il porto di Civitavecchia e la statale Jonica in Calabria».


Facciamo il punto sulle risorse in campo?
«E’ stata modificata l’impostazione degli anni passati, con una programmazione pluriennale, per progetti chiari e trasparenti. Con scadenze e tempi certi di realizzazione. Tornando alle risorse, nella finanziaria sono state stanziate per il programma pluriennale Anas 6 miliardi di euro, mentre altri 4 miliardi arriveranno nel biennio successivo. Complessivamente quindi nel periodo 2016-2020 le risorse stradali ammonteranno a 10 miliardi per le opere più rilevanti».


Un cambio importante rispetto al passato, con la fine degli interventi a pioggia?
«Sì. C’è una programmazione chiara, con tappe precise, come avviene del resto negli altri Paesi europei. Abbiamo superato la legge obiettivo e le sue storture con un sistema radicalmente nuovo».


L’obiettivo è creare un sistema infrastrutturale a rete, organico, con una visione unitaria per integrare strade, porti, aeroporti, grandi linee metropolitane?
«L’obiettivo è quello di connettere i vari punti della rete, far dialogare Ferrovie e Anas, autostrade e aeroporti, completando quegli snodi intermodali che ora mancano. Con piani sinergici e progetti condivisi per dare servizi migliori ai cittadini e alle imprese, favorendo la crescita economica. L’obiettivo finale, strategico, è poi quello di passare sempre più dalla strada alle ferrovie, con una cura del ferro molto forte, il 20% in più nei prossimi 4 anni. L'aggiornamento del contratto di programma con Rfi, 9 miliardi nel 2015 e 8,2 nel 2016, consente di dare sostanza a questa cura del ferro di cui c'è bisogno. Tenga presente, che entro il 2030 va spostato il 40% delle merci dalla strada al ferro».
di Umberto Mancini per IL Messaggero.it
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